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Guarda la stella, invoca Maria
di SERGIO GASPARI
«O Regina degli angioli...»
«O Regina degli angioli, o Maria, / ch’adorni il ciel con tuoi lieti sembianti, / e stella in mar dirizzi i naviganti / a porto e segno di diritta via, / per la gloria ove sei, Vergine pia, / ti prego guardi a miei miseri pianti; / increscati di me, to’mi davanti / l’insidie di colui che mi travia.
Io spero in te e ho sempre sperato: / vagliami il lungo amore e riverente, / il qual ti porto e ho sempre portato.
Dirizza il mio cammin, fammi possente / di divenir ancora dal destro lato / del tuo Figliuol, fra la beata gente»
(Giovanni Boccaccio, in F. Castelli,Testi mariani del secondo millennio, 8. Poesia e prosa letteraria,Città Nuova 2002, p. 87).
In questo mese di novembre il nostro pensiero di credenti corre veloce ai defunti, alla certezza della nostra morte, al giudizio di Dio, come ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi (nn. 41-
Non ci si meravigli se abbiamo scelto Giovanni Boccaccio (1313-
Maria, regina del cielo, è invocata dal Petrarca, ma anche dal Boccaccio in due sonetti mariani, come antidoto dell’amore terreno, passeggero e sensuale. Mentre oggi, da scrittori e scenegggiatori di film, la Vergine viene strumentalizzata come mero pretesto per parlare della donna in chiave di radicale anticonformismo, palese disobbedienza e sfrenata libertà. Boccaccio si convertirà e si abbandonerà fiducioso alla «Regina degli angioli». Non invano egli vorrà l’immagine materna di Maria nella sua casa, nella sua chiesa e sulla sua tomba.
Cenni biografici. Con Boccaccio scrittore e poeta scompare l’impegno religioso e morale di Dante, la malinconica coscienza del male di Petrarca, pur imbrigliato negli onori e amori della terra, e si apre un mondo dove domina il piacere, l’interesse personale, l’energia dell’intelletto, la scaltrezza e la forza dell’individuo, realtà poi codificate dal Machiavelli. Il senso del peccato e della grazia neppure sfiora il Decameron, scritto tra il 1349 e il 1353: La peste e le 100 novelle contro la morte. Al pari del suo contemporaneo Petrarca, Boccaccio è attaccato alla terra. Ciò che conta è questa vita. Ambedue vedono nel mondo il proprio regno. Ma se Petrarca non dimentica gli ideali religiosi, in Boccaccio questi sono spenti. Soltanto attorno al 1361-
Il poeta mariano. Nel ’300, con Dante e Petrarca, la poesia raggiunge un’altezza di ispirazione e di bellezza formale finora insuperata. A grande distanza segue Boccaccio considerato come poeta. Toccato dalla grazia, si abbandona alla Madre di Dio affinché gli sia di guida e di sostegno sulla via della salvezza. All’ombra della Vergine lo scaltro e scanzonato autore del Decameron diventa un pellegrino sulle strade dell’Eterno, umile e devoto. Come la Vergine guida Dante e Petrarca verso il sommo Dio, così è sollecitata a guidare Boccaccio neo-
Tra le sue poche Rime religiose sono compresi due mirabili sonetti mariani, sebbene non di alta qualità poetica. Nel primo il certaldese canta la «dolce Maria, Madre di grazia» nella sua beata Concezione esaltandone l’umiltà, tratto morale del tutto superiore alla bellezza visibile. In virtù della sua umiltà, Maria, divenuta madre del Verbo, «poté romper ogni antico sdegno tra Dio e noi», e umiltà chiede per sé alla Vergine per seguirla nel «beato regno».
«O Regina degli angioli, o Maria». In quest’altro sonetto il poeta descrive sé stesso come il peccatore pentito, anche se ancora assediato dalla tentazione; invoca la Vergine, luce sul suo cammino, perché lo guidi presso il suo «Figliuol, fra la beata gente», in virtù della riverenza che per la Vergine egli ha sempre avuto: «Io spero in te ed ho sempre sperato: / vagliami il lungo amore e riverente, / il qual ti porto e ho sempre portato».
Dante, Petrarca e Boccaccio, così diversi tra loro, hanno un linguaggio comune, poiché in comune hanno la confidenza verso la Vergine Madre per le lotte interiori, cosicché la loro comune fragilità umana è vinta dalla protezione efficace della Vergine. Boccaccio, «il terzo astro della letteratura italiana nascente», è lontano dall’altezza stilistica di Dante e di Petrarca nelle lodi a Maria, ma la sua pietà è profonda, gli accenti suonano confidente abbandono in colei che è luce sicura e costante. Questo sonetto, in cui risuonano invocazioni semplici e genuine, resta un’accorata preghiera alla Vergine gloriosa in cielo, perché si muova a compassione di lui, in vita e in morte.
Nel sonetto Boccaccio esalta in Maria due attributi principali: la regalità e l’intercessione che si fondono insieme. Ornamento del cielo con i suoi «lieti sembianti», Maria è la «Regina degli angioli», colei che gode della gloria tributatale degli esseri celesti. Ma pur nella gloria della sua Assunzione, ella resta la "Vergine pia", umile e ricolma di pietà, quindi attenta ai fedeli che invocano il suo ausilio. Ella è la Stella del mare, che illumina le vie tortuose degli uomini peccatori e guida i naviganti nel mare burrascoso della vita terrena verso il porto sicuro della salvezza celeste.
Provato dalla vita, Boccaccio fa leva sulle sue sofferenze e le tante lacrime versate: «Ti prego guardi a miei miseri pianti»; invoca la bontà del tenero cuore della Vergine: «Increscati di me», e la supplica di liberarlo dal diavolo tentatore: «To’mi davanti / l’insidie di colui che mi travia», toglimi davanti le insidie di colui che mi fa deviare dalla retta via. Fiducioso, anche se preoccupato, termina chiedendo un posto in Paradiso: «Dirizza il mio cammin, fammi possente», perché sia in grado di raggiungere il lato destro del tuo Figliolo, tra i beati del cielo.
Sergio Gaspari, smm