La Passione del Figlio e la Compassione della Madre - Cuorinaviganti

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La Passione del Figlio e la Compassione della Madre

Rubrica religiosa > Guarda la Stella

Guarda la stella, invoca Maria

di SERGIO GASPARI

 
La Passione del Figlio e la Compassione della Madre (Jacopone da Todi )
  

In attesa di incontrare Dante Alighieri, che tramite san Bernardo ci presenterà, in aprile, tempo di Pasqua, Maria la donna gloriosa al centro del fulgore beatificante del Paradiso, per la Quaresima e la Pasqua presentiamo un penitente che chiede alla Madre Addolorata di far suoi i dolori di Cristo sulla croce: Jacopone da Todi (1230-1306). Jacopo de’ Benedetti, chiamato Jacopone, si converte nel 1268 e dieci anni dopo entra come frate laico tra i Minori francescani, appoggiando la causa degli spirituali contro i conventuali. Oltre ad un trattato ascetico, e un libro di detti in volgare umbro, ha scritto 93 laudi e alcuni componimenti latini, tra cui gli viene attribuito lo Stabat Mater.

La lauda medievale. La forma più alta della lauda del secolo XIII è raggiunta proprio da Jacopone nel suo capolavoro: la lauda VII, Donna di Paradiso, nota come Pianto della Madonna. La lauda, come dice il termine stesso, è una lode delle virtù e dei meriti di Maria; canto vivo, impegno di vita, nostalgia dell’Eden da parte del fedele. Queste laudi liriche, che manifestano un apprezzabile fondo dogmatico ed evidenti antecedenti liturgici (antifone, responsori, inni) esaltano Maria Mediatrice della salvezza, dalla nascita di Cristo alla sua gloria in cielo.

Ma se nei secoli XII-XIII si evidenziava il tema di Maria gloriosa, «sopra al cielo esaltata» (ricordiamo san Francesco e san Bernardo), dalla metà circa del secolo XIII al XIV si passa al tema dell’Addolorata sul Calvario. In Donna di Paradiso, mentre Jacopone racconta la Passione di Cristo, presenta il dramma della Madre crocifissa nello spirito, che piange il Figlio crocifisso nel corpo. Nella Preghiera di Maria a Gesù pel peccatore, egli accentua la maternità spirituale della Mediatrice, la speranza più certa per ogni peccatore pentito. Così, se per un verso la lauda lirica in Jacopone si trasforma in lauda drammatica (con cori e solisti, dialoghi e monologhi: primo nucleo delle sacre rappresentazioni), per l’altro assume una tonalità di impronta marcatamente penitenziale.


Lo Stabat Mater. La sequenza dello Stabat Mater, nata in un contesto di intensa religiosità popolare, narra il martirio della Vergine accanto a Cristo sulla croce. L’autore descrive in uno stile altamente poetico il dolore della Madre davanti al supplizio del Figlio. E chiede alla Madre un amore ardente per il Figlio "moriente": «Fa’ ch’egli arda il cor mio / In amare Cristo Dio» (str. 10). Si dichiara pronto ad assumere egli stesso i dolori di Cristo: «Santa Madre, fammi questo, / Le sue piaghe io abbia presto» (str.11), ma implora l’aiuto della Vergine dopo la sua morte: «Quando il corpo sarà morto, / Fa’ che l’anima abbia porto / Di Paradiso e gloria» (str. 20).

Il testo è contenuto, in redazioni varie, in molti libri liturgici dei secoli XIVXV. Si ignora la versione originale. Il testo ufficiale oggi è quello che Benedetto XIII nel 1727 introdusse nel Messale Romano. È composto di 20 strofe, e può esser diviso in 3 parti: 1) introduzione: la Vergine ai piedi della Croce, trafitta dalla spada del dolore (str. 1-4); 2) parte centrale: il poeta implora ripetutamente la grazia di esser reso partecipe della Passione del Figlio e della Compassione della Madre (str. 5-18); 3) nella parte conclusiva, il poeta, per il merito di tanto dolore, domanda la grazia delle grazie: la sua salvezza eterna (str. 19-20).

Lo Stabat Mater è sequenza, se pur facoltativa, nella liturgia delle ore e nella liturgia della Parola della messa del 15 settembre, festa della Beata Vergine Maria Addolorata; figura nella III edizione del Messale Romano per la solenne azione liturgica del Venerdì santo; è utilizzato nel pio esercizio della Via crucis e nei canti; è stato musicato da Palestrina, Scarlatti, Pergolesi, Rossini, Verdi, Dvorak... È bene cantarlo, almeno in parte, nella liturgia del Venerdì santo. Il Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (2002 = DPPL) della sacra Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, per il Venerdì santo ricorda: «Per la sua importanza dottrinale e pastorale, si raccomanda di non trascurare la memoria dei dolori della beata Vergine Maria» (n. 145).

Difatti In preghiera con Maria la Madre di Gesù. Sussidio per le celebrazioni dell’Anno mariano 1987-1988 (a cura del Comitato nazionale per l’Anno mariano 1987-88, Città del Vaticano 1987) suggerisce che, terminata l’adorazione della croce, davanti all’icona mariana «può aver luogo nella stessa Celebrazione della Passione del Signore una sobria memoria della presenza della Vergine e del discepolo presso la croce» (p. 77). È la memoria di Maria Madre dell’umanità, in quanto associata alla Passione del Figlio e Regina dei martiri.


Rilievi liturgico-pastorali. La pietà popolare nel secondo millennio cristiano ha dato grande rilievo ai dolori della Vergine. E il DPPL, nel delineare la memoria dell’Addolorata, per il Venerdì santo ricorda due pii esercizi: il Planctus Mariae e l’Ora della Desolata (n.145). In questa cornice mariana si collocano le laudi medievali, le passioni e i lamenti..., e altre devozioni mariane, come la Corona dell’Addolorata o dei Sette dolori, il rito processionale della Via Matris Dolorosae, diffusissimo oggi in America Latina, e il pio esercizio ivi recitato nei venerdì di quaresima.

L’iconografia, che tinge di colori smaglianti i riti liturgici, rappresenta la Madre Addolorata come Pietà, mentre sostiene sulle sue ginocchia il Figlio staccato dalla Croce, oppure con il cuore trafitto da sette spade, simbolo dei suoi Sette dolori. Ma il benedettino spagnolo Alessandro Olivar osserva: «Nonostante tutti gli adattamenti (operati dalla riforma liturgica), non è facile trovare una giustificazione del dolore di Maria nella liturgia» (Il Nuovo Calendario liturgico, Torino-Leumann 1973, 151). Secondo Alfredo Cattabiani l’affermazione perentoria di Olivar cancella «secoli di storia liturgica, di teatro religioso e di arte sacra» (Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Milano 1989, 292).

Poi Cattabiani aggiunge: «Ma i conterranei di questo monaco di Monserrat continuano a venerare la Virgen de los Dolores, chiamando le loro figlie Maria Dolores: il sensus fidei del popolo cristiano ha resistito nel corso dei secoli a ben altri riformatori» (ivi). Tanto più noi dobbiamo resistere, per rispetto del sacro e della tradizione cristiana, al rito anticristiano e antistorico, secondo il quale Cristo, prima della sua Pasqua, si sarebbe congedato dalla Madre.

Nei secoli la devozione popolare verso il Santissimo Crocifisso e la Vergine Addolorata è scivolata verso un’impronta luttuosa della Pasqua. Se la Vergine è Avvocata potente, speranza certa dell’uomo peccatore, consolatrice degli afflitti... i misteri dolorosi del Figlio e della Madre vanno celebrati nella beata speranza, ricordando, ad un tempo, con la Vergine causa della nostra letizia, i misteri del gaudio del Natale di Gesù e della gloria della sua risurrezione.


Sergio Gaspari, smm

  

 
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