INTRODUZIONE 1
Ut unum sint! L'appello all'unità dei cristiani, che il Concilio
Ecumenico Vaticano II ha riproposto con così appassionato impegno, risuona con
sempre maggiore vigore nel cuore dei credenti, specie all'approssimarsi dell'Anno
Duemila che sarà per loro un Giubileo sacro, memoria dell'Incarnazione del Figlio
di Dio, che si è fatto uomo per salvare l'uomo. La testimonianza coraggiosa
di tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità
ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica, infonde nuova forza
all'appello conciliare e ci richiama l'obbligo di accogliere e mettere in pratica
la sua esortazione. Questi nostri fratelli e sorelle, accomunati nell'offerta
generosa della loro vita per il Regno di Dio, sono la prova più significativa
che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale
di sé alla causa del Vangelo. Cristo chiama tutti i suoi discepoli all'unità.
L'ardente desiderio che mi muove è di rinnovare oggi questo invito, di riproporlo
con determinazione, ricordando quanto ebbi a sottolineare al Colosseo romano
il Venerdì Santo 1994, concludendo la meditazione della Via Crucis, guidata
dalle parole del venerato fratello Bartolomeo, Patriarca ecumenico di Costantinopoli.
Ho affermato in quella circostanza che, uniti nella sequela dei martiri, i credenti
in Cristo non possono restare divisi. Se vogliono veramente ed efficacemente
combattere la tendenza del mondo a rendere vano il Mistero della Redenzione,
essi debbono professare insieme la stessa verità sulla Croce.1 La Croce! La
corrente anticristiana si propone di mortificarne il valore, di svuotarla del
suo significato, negando che l'uomo ha in essa le radici della sua nuova vita;
pretendendo che la Croce non sappia nutrire né prospettive né speranze: l'uomo,
si dice, è soltanto un essere terreno, che deve vivere come se Dio non esistesse.
2. A nessuno sfugge la sfida che tutto ciò pone ai credenti. Essi non possono
non raccoglierla. Come potrebbero, infatti, rifiutarsi di fare tutto il possibile,
con l'aiuto di Dio, per abbattere muri di divisione e di diffidenza, per superare
ostacoli e pregiudizi, che impediscono l'annuncio del Vangelo della salvezza
mediante la Croce di Gesù, unico Redentore dell'uomo, di ogni uomo? Ringrazio
il Signore perché ci ha indotto a progredire lungo la via difficile, ma tanto
ricca di gioia, dell'unità e della comunione fra i cristiani. I dialoghi interconfessionali
a livello teologico hanno dato frutti positivi e tangibili: ciò incoraggia ad
andare avanti. Tuttavia, oltre alle divergenze dottrinali da risolvere, i cristiani
non possono sminuire il peso delle ataviche incomprensioni che essi hanno ereditato
dal passato, dei fraintendimenti e dei pregiudizi degli uni nei confronti degli
altri. Non di rado, poi, l'inerzia, l'indifferenza ed una insufficiente conoscenza
reciproca aggravano tale situazione. Per questo motivo, l'impegno ecumenico
deve fondarsi sulla conversione dei cuori e sulla preghiera, le quali indurranno
anche alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la grazia dello
Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati dall'amore, dal coraggio della
verità e dalla volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono
chiamati ariconsiderare insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che
esso continua purtroppo a provocare anche oggi. Sono invitati dalla forza sempre
giovane del Vangelo a riconoscere insieme con sincera e totale obiettività gli
errori commessi e i fattori contingenti intervenuti all'origine delle loro deprecabili
separazioni. Occorre un pacato e limpido sguardo di verità, vivificato dalla
misericordia divina, capace di liberare gli spiriti e di suscitare in ciascuno
una rinnovata disponibilità, proprio in vista dell'annuncio del Vangelo agli
uomini di ogni popolo e nazione. 3. Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica
si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica,
ponendosi così all'ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere
attentamente i " segni dei tempi ". Le esperienze, che essa ha vissuto in questi
anni e che continua a vivere, la illuminano ancor più profondamente sulla sua
identità e sulla sua missione nella storia. La Chiesa cattolica riconosce e
confessa le debolezze dei suoi figli, consapevole che i loro peccati costituiscono
altrettanti tradimenti ed ostacoli alla realizzazione del disegno del Salvatore.
Sentendosi costantemente chiamata al rinnovamento evangelico, essa non cessa
dunque di fare penitenza. Al tempo stesso, però, riconosce ed esalta ancora
di più la potenza del Signore il quale, avendola colmata del dono della santità,
l'attira e la conforma alla Sua passione e alla Sua resurrezione. Edotta dalle
molteplici vicende della sua storia, la Chiesa è impegnata a liberarsi da ogni
sostegno puramente umano, per vivere in profondità la legge evangelica delle
Beatitudini. Consapevole che la verità non si impone se non " in forza della
stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente ed insieme con vigore
",2 nulla ricerca per sé se non la libertà d'annunciare il Vangelo. La sua autorità
infatti si esercita nel servizio della verità e della carità. Io stesso intendo
promuovere ogni utile passo affinché la testimonianza dell'intera comunità cattolica
possa essere compresa nella sua integrale purezza e coerenza, soprattutto in
vista di quell'appuntamento che attende la Chiesa alle soglie del nuovo Millennio,
ora eccezionale per la quale essa domanda al Signore che l'unità di tutti i
cristiani cresca fino a raggiungere la piena comunione.3 A questo nobilissimo
scopo mira anche la presente Lettera enciclica, che nella sua indole essenzialmente
pastorale vuol contribuire a sostenere lo sforzo di quanti lavorano per la causa
dell'unità. 4. È questo un preciso impegno del Vescovo di Roma in quanto successore
dell'apostolo Pietro. Io lo svolgo con la convinzione profonda di ubbidire al
Signore e con la piena consapevolezza della mia umana fragilità. Infatti, se
Cristo stesso ha affidato a Pietro questa speciale missione nella Chiesa e gli
ha raccomandato di confermare i fratelli, Egli gli ha fatto conoscere allo stesso
tempo la sua debolezza umana ed il suo particolare bisogno di conversione: "
Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli " (Lc 22, 32). Proprio nell'umana
debolezza di Pietro si manifesta pienamente come, per adempiere questo speciale
ministero nella Chiesa, il Papa dipenda totalmente dalla grazia e dalla preghiera
del Signore: " Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede " (Lc 22,
32). La conversione di Pietro e dei suoi successori trova appoggio sulla preghiera
stessa del Redentore e la Chiesa costantemente partecipa a questa invocazione.
Nella nostra epoca ecumenica, segnata dal Concilio Vaticano II, la missione
del Vescovo di Roma si rivolge particolarmente a ricordare l'esigenza della
piena comunione dei discepoli di Cristo. Il Vescovo di Roma in prima persona
deve far sua con fervore la preghiera di Cristo per la conversione, che è indispensabile
a " Pietro " per poter servire i fratelli. Di cuore chiedo che partecipino a
questa preghiera i fedeli della Chiesa cattolica e tutti i cristiani. Insieme
a me, tutti preghino per questa conversione. Sappiamo che la Chiesa nel suo
peregrinare terreno ha sofferto e continuerà a soffrire di opposizioni e persecuzioni.
La speranza che la sostiene è tuttavia incrollabile, come è indistruttibile
la gioia che da tale speranza scaturisce. Infatti, la roccia salda e perenne,
su cui essa è fondata, è Gesù Cristo suo Signore. I L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA
CHIESA CATTOLICA Il disegno di Dio e la comunione 5. Assieme a tutti i discepoli
di Cristo, la Chiesa cattolica fonda sul disegno di Dio il suo impegno ecumenico
di radunare tutti nell'unità. Infatti " la Chiesa non è una realtà ripiegata
su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica,
perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere
il mistero di comunione che la costituisce: raccogliere tutti e tutto in Cristo;
ad essere per tutti "sacramento inseparabile di unità" ".4 Già nell'Antico Testamento,
riferendosi a quella che era allora la situazione del popolo di Dio, il profeta
Ezechiele, ricorrendo al semplice simbolo di due legni prima distinti, poi accostati
l'uno all'altro, esprimeva la volontà divina di " radunare da ogni parte " i
membri del suo popolo lacerato: " Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio
popolo. Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele " (cfr
37, 16-28). Il Vangelo giovanneo, da parte sua, e di fronte alla situazione
del popolo di Dio a quel tempo, vede nella morte di Gesù la ragione dell'unità
dei figli di Dio: " Doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto,
ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi " (11, 51-52).
Infatti, spiegherà la Lettera agli Efesini, " abbattendo il muro di separazione,
[...] per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia ", di ciò
che era diviso egli ha fatto una unità (cfr 2, 14-16). 6. L'unità di tutta l'umanità
lacerata è volontà di Dio. Per questo motivo Egli ha inviato il suo Figlio perché,
morendo e risorgendo per noi, ci donasse il suo Spirito d'amore. Alla vigilia
del sacrificio della Croce, Gesù stesso chiede al Padre per i suoi discepoli,
e per tutti i credenti in lui, che siano una cosa sola, una comunione vivente.
Da ciò deriva non soltanto il dovere, ma anche la responsabilità che incombe
davanti a Dio, di fronte al suo disegno, su quelli e quelle che per mezzo del
Battesimo diventano il Corpo di Cristo, Corpo nel quale debbono realizzarsi
in pienezza la riconciliazione e la comunione. Come è mai possibile restare
divisi, se con il Battesimo noi siamo stati " immersi " nella morte del Signore,
vale a dire nell'atto stesso in cui, per mezzo del Figlio, Dio ha abbattuto
i muri della divisione? La " divisione contraddice apertamente alla volontà
di Cristo, ed è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione
del Vangelo a ogni creatura ".5 La via ecumenica: via della Chiesa 7. " Il Signore
dei secoli, che con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia
verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato ad effondere
con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l'interiore ravvedimento
ed il desiderio dell'unione. Moltissimi uomini in ogni parte del mondo sono
stati toccati da questa grazia, e anche tra i nostri fratelli separati è sorto,
per impulso della grazia dello Spirito Santo, un movimento ogni giorno più ampio
per il ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo movimento per
l'unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e professano
la fede in Gesù Signore e Salvatore, e non solo singole persone separatamente,
ma anche riunite in gruppi, nei quali hanno ascoltato il Vangelo e che i singoli
dicono essere la Chiesa loro e di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso,
aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata
a tutto il mondo, perché il mondo si converta al Vangelo e così si salvi per
la gloria di Dio ".6 8. Tale affermazione del Decreto Unitatis redintegratio
va letta nel contesto dell'intero magistero conciliare. Il Concilio Vaticano
II esprime la decisione della Chiesa di assumere il compito ecumenico a favore
dell'unità dei cristiani e di proporlo con convinzione e con vigore: " Questo
Santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni
dei tempi, partecipino con slancio all'opera ecumenica ".7 Nell'indicare i principi
cattolici dell'ecumenismo, l'Unitatis redintegratio si ricollega prima di tutto
all'insegnamento sulla Chiesa della Costituzione Lumen gentium, nel suo capitolo
che tratta del popolo di Dio.8 Allo stesso tempo, esso ha presente quanto affermato
dalla Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa.9
La Chiesa cattolica accoglie con speranza l'impegno ecumenico come un imperativo
della coscienza cristiana illuminata dalla fede e guidata dalla carità. Anche
qui si può applicare la parola di san Paolo ai primi cristiani di Roma: " L'amore
di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo "; così
la nostra " speranza non delude " (Rm 5, 5). Questa è la speranza dell'unità
dei cristiani, che nell'unità Trinitaria del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo trova la sua fonte divina. 9. Gesù stesso nell'ora della sua Passione
ha pregato " perché tutti siano una sola cosa " (Gv 17, 21). Questa unità, che
il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti,
non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale
ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece
all'essere stesso di questa comunità. Dio vuole la Chiesa, perché egli vuole
l'unità e nell'unità si esprime tutta la profondità della sua agape. Infatti,
questa unità data dallo Spirito Santo non consiste semplicemente nel confluire
insieme di persone che si sommano l'una all'altra. È una unità costituita dai
vincoli della professione di fede, dei sacramenti e della comunione gerarchica.10
I fedeli sono uno perché, nello Spirito, essi sono nella comunione del Figlio
e, in lui, nella sua comunione col Padre: " La nostra comunione è col Padre
e col Figlio suo Gesù Cristo " (1 Gv 1, 3). Dunque, per la Chiesa cattolica,
la comunione dei cristiani non è altro che la manifestazione in loro della grazia
per mezzo della quale Dio li rende partecipi della sua propria comunione, che
è la sua vita eterna. Le parole di Cristo " che tutti siano una cosa sola ",
sono dunque la preghiera rivolta al Padre perché il suo disegno si compia pienamente,
così che risplenda " agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto
da secoli nella mente di Dio, Creatore dell'universo " (Ef 3, 9). Credere in
Cristo significa volere l'unità; volere l'unità significa volere la Chiesa;
volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al
disegno del Padre da tutta l'eternità. Ecco qual è il significato della preghiera
di Cristo: " Ut unum sint ". 10. Nell'attuale situazione di divisione fra i
cristiani e di fiduciosa ricerca della piena comunione, i fedeli cattolici si
sentono profondamente interpellati dal Signore della Chiesa. Il Concilio Vaticano
II ha rafforzato il loro impegno con una visione ecclesiologica lucida e aperta
a tutti i valori ecclesiali presenti tra gli altri cristiani. I fedeli cattolici
affrontano la problematica ecumenica in spirito di fede. Il Concilio dice che
" la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore
di Pietro e dai vescovi in comunione con lui " e nel contempo riconosce che
" al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione
e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità
cattolica ".11 " Perciò le Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che
abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto prive di
significato e valore. Lo spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di
esse come di strumenti di salvezza, la cui efficacia deriva dalla stessa pienezza
di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica ".12 11. In
questo modo la Chiesa cattolica afferma che, durante i duemila anni della sua
storia, è stata conservata nell'unità con tutti i beni con i quali Dio vuole
dotare la sua Chiesa, e ciò malgrado le crisi spesso gravi che l'hanno scossa,
le carenze di fedeltà di alcuni suoi ministri e gli errori in cui quotidianamente
si imbattono i suoi membri. La Chiesa cattolica sa che, in nome del sostegno
che le proviene dallo Spirito, le debolezze, le mediocrità, i peccati, a volte
i tradimenti di alcuni dei suoi figli, non possono distruggere ciò che Dio ha
infuso in essa in funzione del suo disegno di grazia. Anche " le porte degli
inferi non prevarranno contro di essa " (Mt 16, 18). Tuttavia la Chiesa cattolica
non dimentica che molti nel suo seno opacizzano il disegno di Dio. Evocando
la divisione dei cristiani, il Decreto sull'ecumenismo non ignora la " colpa
di uomini di entrambe le parti ",13 riconoscendo che la responsabilità non può
essere attribuita unicamente agli " altri ". Per grazia di Dio, non è stato
però distrutto ciò che appartiene alla struttura della Chiesa di Cristo e neppure
quella comunione che permane con le altre Chiese e Comunità ecclesiali. Infatti,
gli elementi di santificazione e di verità presenti nelle altre Comunità cristiane,
in grado differenziato dall'una all'altra, costituiscono la base oggettiva della
pur imperfetta comunione esistente tra loro e la Chiesa cattolica. Nella misura
in cui tali elementi si trovano nelle altre Comunità cristiane, l'unica Chiesa
di Cristo ha in esse una presenza operante. Per questo motivo il Concilio Vaticano
II parla di una certa comunione, sebbene imperfetta. La Costituzione Lumen gentium
sottolinea che la Chiesa cattolica " sa di essere per più ragioni unita " 14
a queste Comunità con una certa vera unione nello Spirito Santo. 12. La stessa
Costituzione ha lungamente esplicitato " gli elementi di santificazione e verità
" che, in modo diversificato, si trovano ed agiscono oltre le frontiere visibili
della Chiesa cattolica: " Ci sono infatti molti che hanno in onore la Sacra
Scrittura come norma della fede e della vita, mostrano un sincero zelo religioso,
credono con amore in Dio Padre onnipotente e in Cristo, Figlio di Dio e Salvatore,
sono segnati dal Battesimo, col quale vengono uniti con Cristo; anzi riconoscono
e accettano nelle proprie chiese e comunità ecclesiali anche altri sacramenti.
Molti fra loro hanno anche l'Episcopato, celebrano la sacra Eucaristia e coltivano
la devozione alla Vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la comunione di
preghiere e di altri benefici spirituali; anzi una certa vera unione nello Spirito
Santo, poiché anche in loro lo Spirito con la sua virtù vivificante opera per
mezzo di doni e grazie, e ha fortificati alcuni di loro fino allo spargimento
del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo il desiderio
e l'azione, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano
in un solo gregge sotto un solo pastore ".15 Il Decreto conciliare sull'ecumenismo,
riferendosi alle Chiese ortodosse, è pervenuto in particolare a dichiarare che
" per mezzo della celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole
chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce ".16 Riconoscere tutto questo è
una esigenza di verità. 13. Di questa situazione, il medesimo Documento enuclea
con sobrietà le implicazioni dottrinali. A proposito dei membri di tali Comunità,
esso dichiara: " Giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo
e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani e dai figli della Chiesa
cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore ".17 Riferendosi
ai molteplici beni presenti nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali, il Decreto
aggiunge: " Tutte queste cose, che provengono da Cristo e a lui conducono, giustamente
appartengono all'unica Chiesa di Cristo. Anche non poche azioni sacre della
religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste
in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna chiesa o comunità, possono
senza dubbio produrre realmente la vita della grazia e si devono dire atte ad
aprire l'ingresso nella comunione della salvezza ".18 Si tratta di testi ecumenici
della massima importanza. Oltre i limiti della comunità cattolica non c'è il
vuoto ecclesiale. Parecchi elementi di grande valore (eximia) che, nella Chiesa
cattolica sono integrati alla pienezza dei mezzi di salvezza e dei doni di grazia
che fanno la Chiesa, si trovano anche nelle altre Comunità cristiane. 14. Tutti
questi elementi portano in sé il richiamo all'unità per trovare in essa la loro
pienezza. Non si tratta di sommare insieme tutte le ricchezze disseminate nelle
Comunità cristiane, al fine di pervenire ad una Chiesa a cui Dio mirerebbe per
il futuro. Secondo la grande Tradizione attestata dai Padri d'Oriente e d'Occidente,
la Chiesa cattolica crede che nell'evento di Pentecoste Dio ha già manifestato
la Chiesa nella sua realtà escatologica, che egli preparava " sin dal tempo
di Abele il Giusto ".19 Essa è già data. Per questo motivo noi siamo già nei
tempi ultimi. Gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella
loro pienezza, nella Chiesa cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre Comunità,20
dove certi aspetti del mistero cristiano sono stati a volte messi più efficacemente
in luce. L'ecumenismo intende precisamente far crescere la comunione parziale
esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità.
Rinnovamento e conversione 15. Passando dai principi, dall'imperativo della
coscienza cristiana, alla realizzazione della via ecumenica verso l'unità, il
Concilio Vaticano II mette soprattutto in rilievo la necessità della conversione
del cuore. L'annuncio messianico " il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino
" e l'appello conseguente " convertitevi e credete al Vangelo " (Mc 1, 15) con
cui Gesù inaugura la sua missione, indicano l'elemento essenziale che deve caratterizzare
ogni nuovo inizio: la fondamentale esigenza dell'evangelizzazione in ogni tappa
del cammino salvifico della Chiesa. Ciò riguarda, in modo particolare, il processo
al quale il Concilio Vaticano II ha dato avvio, inscrivendo nel rinnovamento
il compito ecumenico di unire i cristiani tra loro divisi. "Ecumenismo vero
non c'è senza interiore conversione ".21 Il Concilio chiama sia alla conversione
personale che a quella comunitaria. L'aspirazione di ogni Comunità cristiana
all'unità va di pari passo con la sua fedeltà al Vangelo. Quando si tratta di
persone che vivono la loro vocazione cristiana, esso parla di conversione interiore,
di un rinnovamento della mente.22 Ciascuno deve dunque convertirsi più radicalmente
al Vangelo e, senza mai perdere di vista il disegno di Dio, deve mutare il suo
sguardo. Con l'ecumenismo la contemplazione delle " meraviglie di Dio " (mirabilia
Dei) si è arricchita di nuovi spazi nei quali il Dio Trinitario suscita l'azione
di grazie: la percezione che lo Spirito agisce nelle altre Comunità cristiane,
la scoperta di esempi di santità, l'esperienza delle ricchezze illimitate della
comunione dei santi, il contatto con aspetti insospettabili dell'impegno cristiano.
Per correlazione, il bisogno di penitenza si è anch'esso esteso: la consapevolezza
di certe esclusioni che feriscono la carità fraterna, di certi rifiuti a perdonare,
di un certo orgoglio, di quel rinchiudersi non evangelico nella condanna degli
" altri ", di un disprezzo che deriva da una malsana presunzione. Così la vita
intera dei cristiani è contrassegnata dalla preoccupazione ecumenica ed essi
sono chiamati a farsi come plasmare da essa. 16. Nel magistero del Concilio
vi è un chiaro nesso tra rinnovamento, conversione e riforma. Esso afferma:
" La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui
essa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno, in modo
che se alcune cose [...] sono state, secondo le circostanze di fatto e di tempo,
osservate meno accuratamente, siano in tempo opportuno rimesse nel giusto e
debito ordine ".23 Nessuna Comunità cristiana può sottrarsi a tale appello.
Dialogando con franchezza, le Comunità si aiutano a guardarsi insieme alla luce
della Tradizione apostolica. Questo le induce a chiedersi se veramente esse
esprimano in modo adeguato tutto ciò che lo Spirito ha trasmesso per mezzo degli
Apostoli.24 Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, a più riprese, come ad
esempio in occasione dell'anniversario del Battesimo della Rus',25 o del ricordo,
dopo undici secoli, dell'opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio,26
ho richiamato tali esigenze e prospettive. Più recentemente, il Direttorio per
l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, pubblicato con la
mia approvazione dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani,
le ha applicate al campo pastorale.27 17. Per quanto riguarda gli altri cristiani,
i principali documenti della Commissione Fede e Costituzione 28 e le dichiarazioni
di numerosi dialoghi bilaterali hanno già fornito alle Comunità cristiane utili
strumenti per discernere ciò che è necessario al movimento ecumenico e alla
conversione che esso deve suscitare. Tali studi sono importanti sotto una duplice
angolatura: essi mostrano i notevoli progressi già raggiunti ed infondono speranza
perché costituiscono una base sicura per la ricerca che va proseguita ed approfondita.
La crescente comunione in una continua riforma, realizzata alla luce della Tradizione
apostolica, è senza dubbio, nell'attuale situazione del popolo cristiano, uno
dei tratti distintivi e più importanti dell'ecumenismo. D'altra parte, essa
è anche una essenziale garanzia per il suo avvenire. I fedeli della Chiesa cattolica
non possono ignorare che lo slancio ecumenico del Concilio Vaticano II è uno
dei risultati di quanto la Chiesa si era allora adoperata a fare per scrutarsi
alla luce del Vangelo e della grande Tradizione. Il mio Predecessore, Papa Giovanni
XXIII, lo aveva ben compreso, lui che, convocando il Concilio, rifiutò di separare
aggiornamento e apertura ecumenica.29 Al termine di quell'assise conciliare,
Papa Paolo VI, riannodando il dialogo della carità con le Chiese in comunione
con il Patriarca di Costantinopoli e compiendo con lui il gesto concreto e altamente
significativo che ha " relegato nell'oblio " - e ha fatto " sparire dalla memoria
e dal mezzo della Chiesa " - le scomuniche del passato, ha consacrato la vocazione
ecumenica del Concilio. Vale ricordare che la creazione di uno speciale organismo
per l'ecumenismo coincide con l'avvio stesso della preparazione del Concilio
Vaticano II 30 e che, per il tramite di tale organismo, i pareri e le valutazioni
delle altre Comunità cristiane hanno avuto la loro parte nei grandi dibattiti
sulla Rivelazione, sulla Chiesa, sulla natura dell'ecumenismo e sulla libertà
religiosa. Importanza fondamentale della dottrina 18. Riprendendo un'idea che
lo stesso Papa Giovanni XXIII aveva espresso in apertura del Concilio,31 il
Decreto sull'ecumenismo menziona il modo di esporre la dottrina tra gli elementi
della continua riforma.32 Non si tratta in questo contesto di modificare il
deposito della fede, di cambiare il significato dei dogmi, di eliminare da essi
delle parole essenziali, di adattare la verità ai gusti di un'epoca, di cancellare
certi articoli del Credo con il falso pretesto che essi non sono più compresi
oggi. L'unità voluta da Dio può realizzarsi soltanto nella comune adesione all'integrità
del contenuto della fede rivelata. In materia di fede, il compromesso è in contraddizione
con Dio che è Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è " via, verità e vita "
(Gv 14, 6), chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a prezzo
della verità? La Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis
humanae attribuisce alla dignità umana la ricerca della verità, " specialmente
in ciò che riguarda Dio e la sua Chiesa " 33 e l'adesione alle sue esigenze.
Uno " stare insieme " che tradisse la verità sarebbe dunque in opposizione con
la natura di Dio che offre la sua comunione e con l'esigenza di verità che alberga
nel più profondo di ogni cuore umano. 19. Tuttavia, la dottrina deve essere
presentata in un modo che la renda comprensibile a coloro ai quali Dio stesso
la destina. Nell'Epistola enciclica Slavorum apostoli, ricordavo come Cirillo
e Metodio, per questo stesso motivo, si adoperassero a tradurre le nozioni della
Bibbia e i concetti della teologia greca in un contesto di esperienze storiche
e di pensiero molto diversi. Essi volevano che l'unica parola di Dio fosse "
resa così accessibile secondo le forme espressive, proprie di ciascuna civiltà
".34 Compresero di non poter dunque " imporre ai popoli assegnati alla loro
predicazione neppure l'indiscutibile superiorità della lingua greca e della
cultura bizantina, o gli usi e i comportamenti della società più progredita,
in cui essi erano cresciuti ".35 Essi mettevano così in atto quella " perfetta
comunione nell'amore [che] preserva la Chiesa da qualsiasi forma di particolarismo
o di esclusivismo etnico o di pregiudizio razziale, come da ogni alterigia nazionalistica
".36 Nello stesso spirito, non ho esitato a dire agli aborigeni d'Australia:
" Non dovete essere un popolo diviso in due parti [...]. Gesù vi chiama ad accettare
le sue parole e i suoi valori all'interno della vostra propria cultura ".37
Poiché per sua natura il dato di fede è destinato a tutta l'umanità, esso esige
di essere tradotto in tutte le culture. Infatti, l'elemento che decide della
comunione nella verità è il significato della verità. L'espressione della verità
può essere multiforme. E il rinnovamento delle forme di espressione si rende
necessario per trasmettere all'uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo
immutabile significato.38 " Questo rinnovamento ha quindi un'importanza ecumenica
singolare ".39 E non soltanto rinnovamento nel modo di esprimere la fede, ma
della stessa vita di fede. Ci si potrebbe allora chiedere: chi deve attuarlo?
Il Concilio risponde chiaramente a questa domanda: esso " riguarda tutta la
Chiesa, sia i fedeli che i Pastori, e tocca ognuno secondo la propria capacità,
tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici
".40 20. Tutto ciò è estremamente importante e di fondamentale significato per
l'attività ecumenica. Ne risulta inequivocabilmente che l'ecumenismo, il movimento
a favore dell'unità dei cristiani, non è soltanto una qualche " appendice ",
che s'aggiunge all'attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene
organicamente alla sua vita e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere
questo insieme ed essere come il frutto di un albero che, sano e rigoglioso,
cresce fino a raggiungere il suo pieno sviluppo. Così credeva nell'unità della
Chiesa Papa Giovanni XXIII e così egli guardava all'unità di tutti i cristiani.
Riferendosi agli altri cristiani, alla grande famiglia cristiana, egli constatava:
" È molto più forte quanto ci unisce di quanto ci divide ". Ed il Concilio Vaticano
II, da parte sua, esorta: " Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promuoveranno,
anzi vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno di
condurre una vita conforme al Vangelo. Pertanto con quanta più stretta comunione
saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima
e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità ".41 Primato della preghiera
21. " Questa conversione del cuore e questa santità della vita, insieme con
le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, si devono ritenere
come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare
ecumenismo spirituale ".42 Si avanza sulla via che conduce alla conversione
dei cuori al ritmo dell'amore che si rivolge a Dio e, allo stesso tempo, ai
fratelli: a tutti i fratelli, anche quelli che non sono in piena comunione con
noi. Dall'amore nasce il desiderio dell'unità anche in coloro che ne hanno sempre
ignorato l'esigenza. L'amore è artefice di comunione tra le persone e tra le
Comunità. Se ci amiamo, noi tendiamo ad approfondire la nostra comunione, ad
orientarla verso la perfezione. L'amore si rivolge a Dio quale fonte perfetta
di comunione - l'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo -, per attingervi
la forza di suscitare la comunione tra le persone e le Comunità, o di ristabilirla
tra i cristiani ancora divisi. L'amore è la corrente profondissima che dà vita
ed infonde vigore al processo verso l'unità. Tale amore trova la sua più compiuta
espressione nella preghiera comune. Quando i fratelli che non sono in perfetta
comunione tra loro si riuniscono insieme per pregare, il Concilio Vaticano II
definisce la loro preghiera anima dell'intero movimento ecumenico. Essa è "
un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità ", " una genuina
manifestazione dei vincoli, con i quali i cattolici sono ancora uniti con i
fratelli separati ".43 Anche quando non si prega in senso formale per l'unità
dei cristiani, ma per altri motivi, come, ad esempio, per la pace, la preghiera
diventa di per sé espressione e conferma dell'unità. La preghiera comune dei
cristiani invita Cristo stesso a visitare la comunità di coloro che lo implorano:
" Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro " (Mt 18,
20). 22. Quando si prega insieme tra cristiani, il traguardo dell'unità appare
più vicino. La lunga storia dei cristiani segnata da molteplici frammentazioni
sembra ricomporsi, tendendo a quella Fonte della sua unità che è Gesù Cristo.
Egli " è lo stesso ieri, oggi e sempre! " (Eb 13, 8). Nella comunione di preghiera
Cristo è realmente presente; prega " in noi ", " con noi " e " per noi ". È
Lui che guida la nostra preghiera nello Spirito Consolatore che ha promesso
e ha dato alla sua Chiesa già nel Cenacolo di Gerusalemme, quando Egli l'ha
costituita nella sua originaria unità. Sulla via ecumenica verso l'unità, il
primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di coloro
che si stringono insieme attorno a Cristo stesso. Se i cristiani, nonostante
le loro divisioni, sapranno sempre di più unirsi in preghiera comune attorno
a Cristo, crescerà la loro consapevolezza di quanto sia limitato ciò che li
divide a paragone di ciò li unisce. Se si incontreranno sempre più spesso e
più assiduamente davanti a Cristo nella preghiera, essi potranno trarre coraggio
per affrontare tutta la dolorosa ed umana realtà delle divisioni, e si ritroveranno
insieme in quella comunità della Chiesa che Cristo forma incessantemente nello
Spirito Santo, malgrado tutte le debolezze e gli umani limiti. 23. Infine, la
comunione di preghiera induce a guardare con occhi nuovi la Chiesa e il cristianesimo.
Non si deve dimenticare, infatti, che il Signore ha implorato dal Padre l'unità
dei suoi discepoli, perché essa rendesse testimonianza alla sua missione ed
il mondo potesse credere che il Padre lo aveva inviato (cfr Gv 17, 21). Si può
dire che il movimento ecumenico abbia in un certo senso preso l'avvio dall'esperienza
negativa di quanti, annunciando l'unico Vangelo, si richiamavano ciascuno alla
propria Chiesa o Comunità ecclesiale; una contraddizione che non poteva sfuggire
a chi ascoltava il messaggio di salvezza e che vi trovava un ostacolo all'accoglimento
dell'annuncio evangelico. Purtroppo questo grave impedimento non è superato.
È vero: non siamo ancora in piena comunione. Eppure, malgrado le nostre divisioni,
noi stiamo percorrendo la via verso la piena unità, quell'unità che caratterizzava
la Chiesa apostolica ai suoi esordi, e che noi cerchiamo sinceramente: guidata
dalla fede, la nostra comune preghiera ne è la prova. In essa, ci raduniamo
nel nome di Cristo che è Uno. Egli è la nostra unità. La preghiera " ecumenica
" è a servizio della missione cristiana e della sua credibilità. Per questo
essa deve essere particolarmente presente nella vita della Chiesa ed in ogni
attività che abbia lo scopo di favorire l'unità dei cristiani. È come se noi
dovessimo sempre ritornare a radunarci nel Cenacolo del Giovedì Santo, sebbene
la nostra presenza insieme, in tale luogo, attenda ancora il suo perfetto compimento,
fino a quando, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale,
tutti i cristiani si riuniranno nell'unica celebrazione dell'Eucaristia.44 24.
È motivo di gioia il costatare come i tanti incontri ecumenici comportino quasi
sempre la preghiera ed anzi culminino con essa. La Settimana di Preghiera per
l'unità dei cristiani, che si celebra nel mese di gennaio, o intorno a Pentecoste
in alcuni Paesi, è diventata una tradizione diffusa e consolidata. Ma anche
al di fuori di essa, molte sono le occasioni che, durante l'anno, inducono i
cristiani a pregare insieme. In questo contesto, desidero richiamarmi a quell'esperienza
particolare che è il peregrinare del Papa tra le Chiese, nei diversi continenti
e nei vari paesi dell'oikoumene contemporanea. È stato il Concilio Vaticano
II, ne sono ben consapevole, ad orientare il Papa verso questo particolare esercizio
del suo ministero apostolico. Si può dire di più. Il Concilio ha fatto di questo
peregrinare del Papa un preciso dovere, in adempimento del ruolo del Vescovo
di Roma a servizio della comunione.45 Queste mie visite hanno quasi sempre comportato
un incontro ecumenico e lapreghiera comune di fratelli che cercano l'unità in
Cristo e nella sua Chiesa. Ricordo con una emozione tutta speciale la preghiera
assieme al Primate della Comunione anglicana nella cattedrale di Canterbury,
il 29 maggio 1982, quando, in quel mirabile edificio, riconoscevo una " dimostrazione
eloquente dei nostri lunghi anni di retaggio comune e dei tristi anni di separazione
che ad esso seguirono "; 46 né posso dimenticare quelle nei Paesi scandinavi
e nordici (1-10 giugno 1989), nelle Americhe o in Africa, o quella presso la
sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese (12 giugno 1984), l'organismo che
si prefigge lo scopo di chiamare le Chiese e le Comunità ecclesiali che ne fanno
parte " alla mèta dell'unità visibile in un'unica fede ed in un'unica comunità
eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in Cristo ".47 E come potrei
mai dimenticare la mia partecipazione alla liturgia eucaristica nella chiesa
di san Giorgio, al Patriarcato ecumenico (30 novembre 1979), e la celebrazione
nella Basilica di San Pietro, durante la visita a Roma del mio venerato Fratello,
il Patriarca Dimitrios I (6 dicembre 1987)? In quella circostanza, presso l'altare
della Confessione, noi professammo insieme il Simbolo niceno-costantinopolitano,
secondo il testo originale greco. Poche parole non bastano a descrivere i tratti
specifici che hanno caratterizzato ciascuno di questi incontri di preghiera.
Per i condizionamenti del passato che, in modo differenziato, gravavano su ciascuno
di essi, tutti hanno una propria e singolare eloquenza; tutti sono scolpiti
nella memoria della Chiesa che è orientata dal Paraclito alla ricerca dell'unità
di tutti i credenti in Cristo. 25. Non soltanto il Papa si è fatto pellegrino.
In questi anni, tanti degni rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali
mi hanno fatto visita a Roma e con loro ho potuto pregare, in circostanze pubbliche
e private. Ho già accennato alla presenza del Patriarca ecumenico Dimitrios
I. Vorrei ora anche ricordare quell'incontro di preghiera che mi ha unito, nella
stessa Basilica di San Pietro, per la celebrazione dei Vespri, con gli Arcivescovi
luterani, primati di Svezia e di Finlandia, in occasione del VI centenario della
Canonizzazione di santa Brigida (5 ottobre 1991). Si tratta di un esempio, perché
la consapevolezza del dovere di pregare per l'unità è diventata parte integrante
della vita della Chiesa. Non vi è evento importante, significativo, che non
benefici della presenza reciproca e della preghiera dei cristiani. Mi è impossibile
elencare tutti questi incontri, benché ciascuno meriti di essere nomi- nato.
Veramente il Signore ci ha preso per mano e ci guida. Questi scambi, queste
preghiere hanno già scritto pagine e pagine del nostro " Libro dell'unità ",
un " Libro " che dobbiamo sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione
e speranza. 26. La preghiera, la comunità di preghiera, ci permette sempre di
ritrovare la verità evangelica delle parole " uno solo è il Padre vostro " (Mt
23, 9), quel Padre, Abbà, che Cristo stesso interpella, Lui che è Figlio unigenito
e della sua stessa sostanza. E poi: " Uno solo è il vostro maestro e voi siete
tutti fratelli " (Mt 23, 8). La preghiera " ecumenica " svela questa fondamentale
dimensione di fratellanza in Cristo, che è morto per riunire insieme i figli
di Dio che erano dispersi, perché noi, diventando figli nel Figlio (cfr Ef 1,
5), rispecchiassimo più pienamente l'inscrutabile realtà della paternità di
Dio e, al contempo, la verità sull'umanità propria di ciascuno e di tutti. La
preghiera " ecumenica ", la preghiera dei fratelli e delle sorelle, esprime
tutto questo. Essi, proprio perché separati tra di loro, con tanta maggiore
speranza si uniscono in Cristo, affidandogli il futuro della loro unità e della
loro comunione. A questo contesto si potrebbe ancora una volta applicare felicemente
l'insegnamento del Concilio: " Il Signore Gesù quando prega il Padre, "perché
tutti siano uno [...] come noi siamo una cosa sola" (Gv 17, 21-22) mettendoci
davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine
tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e
nella carità ".48 La stessa conversione del cuore, condizione essenziale di
ogni autentica ricerca dell'unità, scaturisce dalla preghiera e da essa è orientata
al suo compimento: " Il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento
della mente, dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della
carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia della sincera
abnegazione, dell'umiltà e mansuetudine nel servizio e della fraterna generosità
di animo verso gli altri ".49 27. Pregare per l'unità non è tuttavia riservato
a chi vive in un contesto di divisione tra i cristiani. In quell'intimo e personale
dialogo che ciascuno di noi deve intrattenere con il Signore nella preghiera,
la preoccupazione dell'unità non può essere esclusa. Soltanto così, infatti,
essa farà pienamente parte della realtà della nostra vita e degli impegni che
abbiamo assunto nella Chiesa. Per riaffermare questa esigenza, ho voluto proporre
ai fedeli della Chiesa cattolica un modello che mi sembra esemplare, quello
di una suora trappista, Maria Gabriella dell'Unità, che ho proclamato beata
il 25 gennaio 1983.50 Suor Maria Gabriella, chiamata dalla sua vocazione ad
essere fuori del mondo, ha dedicato la sua esistenza alla meditazione e alla
preghiera incentrate sul capitolo 17 del vangelo di san Giovanni e l'ha offerta
per l'unità dei cristiani. Ecco, questo è il fulcro di ogni preghiera: l'offerta
totale e senza riserve della propria vita al Padre, per mezzo del Figlio, nello
Spirito Santo. L'esempio di suor Maria Gabriella ci istruisce, ci fa comprendere
come non vi siano tempi, situazioni o luoghi particolari per pregare per l'unità.
La preghiera di Cristo al Padre è modello per tutti, sempre e in ogni luogo.
Dialogo ecumenico 28. Se la preghiera è l'" anima " del rinnovamento ecumenico
e dell'aspirazione all'unità, su di essa si fonda e da essa trae sostentamento
tutto ciò che il Concilio definisce " dialogo ". Tale definizione non è certo
senza nesso con il pensiero personalistico odierno. L'atteggiamento di " dialogo
" si situa al livello della natura della persona e della sua dignità. Dal punto
di vista filosofico, una tale posizione si ricollega alla verità cristiana sull'uomo
espressa dal Concilio: egli infatti " in terra è la sola creatura che Dio abbia
voluto per se stessa "; l'uomo non può pertanto " ritrovarsi pienamente se non
attraverso un dono sincero di sé ".51 Il dialogo è passaggio obbligato del cammino
da percorrere verso l'autocompimento dell'uomo, del singolo individuo come anche
di ciascuna comunità umana. Sebbene dal concetto di " dialogo " sembri emergere
in primo piano il momento conoscitivo (dia-logos), ogni dialogo ha in sé una
dimensione globale, esistenziale. Esso coinvolge il soggetto umano nella sua
interezza; il dialogo tra le comunità impegna in modo particolare la soggettività
di ciascuna di esse. Tale verità sul dialogo, tanto profondamente espressa dal
Papa Paolo VI nella sua Enciclica Ecclesiam suam,52 è stata assunta anche dalla
dottrina e dalla pratica ecumenica del Concilio. Il dialogo non è soltanto uno
scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno " scambio di doni ".53 29.
Per questo motivo, anche il Decreto conciliare sull'ecumenismo pone in primo
piano " tutti gli sforzi per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano
con equità e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più
difficili le mutue relazioni con essi ".54 Questo Documento affronta la questione
dal punto di vista della Chiesa cattolica e si riferisce al criterio che essa
deve applicare nei confronti degli altri cristiani. Vi è però in tutto questo
una esigenza di reciprocità. Attenersi a tale criterio è impegno di ciascuna
delle parti che vogliono fare dialogo ed è condizione previa per avviarlo. Occorre
passare da una posizione di antagonismo e di conflitto ad un livello nel quale
l'uno e l'altro si riconoscono reciprocamente partner. Quando si inizia a dialogare,
ciascuna delle parti deve presupporre una volontà di riconciliazione nel suo
interlocutore, di unità nella verità. Per realizzare tutto questo, le manifestazioni
del reciproco contrapporsi debbono sparire. Soltanto così il dialogo aiuterà
a superare la divisione e potrà avvicinare all'unità. 30. Si può affermare,
con viva gratitudine verso lo Spirito di verità, che il Concilio Vaticano II
è stato un tempo benedetto, durante il quale si sono realizzate le condizioni
basilari della partecipazione della Chiesa cattolica al dialogo ecumenico. D'altra
parte, la presenza dei numerosi osservatori di varie Chiese e Comunità ecclesiali,
il loro profondo coinvolgimento nell'evento conciliare, i tanti incontri e le
preghiere comuni che il Concilio ha reso possibili, hanno contribuito a porre
in atto le condizioni per dialogare insieme. Durante il Concilio, i rappresentanti
delle altre Chiese e Comunità cristiane hanno sperimentato la disponibilità
al dialogo dell'episcopato cattolico del mondo intero e, in particolare, della
Sede Apostolica. Strutture locali di dialogo 31. L'impegno per il dialogo ecumenico,
così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere prerogativa
della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o particolari.
Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione ecumenica
sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali
cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello delle singole
diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e generale della
Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari sull'ecumenismo:
è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il dialogo non soltanto
è stato intrapreso; esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità
della Chiesa; si è di conseguenza affinata la " tecnica " per dialogare, favorendo
nel contempo la crescita dello spirito di dialogo. In questo contesto ci si
vuole prima di tutto riferire al dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese
o Comunità, " avviato tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno
espone più a fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza
le caratteristiche ".56 Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il metodo che
permette il dialogo. 32. Come afferma la Dichiarazione conciliare sulla libertà
religiosa, " la verità va cercata in modo rispondente alla dignità della persona
umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del
Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo
scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono
agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; e
alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale ".57
Il dialogo ecumenico ha una importanza essenziale. " Infatti con questo dialogo
tutti acquistano una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina
e della vita di entrambe le Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono
una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza
cristiana per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento
e di riforma ".58 Dialogo come esame di coscienza 33. Nell'intento del Concilio,
il dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in
particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il
loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza
dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto. 34. Grazie al dialogo ecumenico
possiamo parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune.
Ciò è possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? " Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati,
egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da
ogni colpa " (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là quando afferma: "
Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola
non è in noi " (1, 10). Unaesortazione tanto radicale a riconoscere la nostra
condizione di peccatori deve anche essere una caratteristica dello spirito con
il quale si affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di
coscienza, come un " dialogo delle coscienze ", potremmo noi contare su quella
certezza che la medesima Lettera ci trasmette? " Figlioli miei, vi scrivo queste
cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso
il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati;
non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo " (2, 1-2).
Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo,
e dunque anche quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani,
dei pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito
alle storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di essere
umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti della necessità
della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali debbono essere rimessi
e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le " strutture " stesse del
peccato, che hanno contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo
consolidamento. 35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II ci viene in aiuto.
Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di
conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo documento un carattere
proprio; esso si trasforma in " dialogo della conversione ", e dunque, secondo
l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico " dialogo della salvezza ".60 Il
dialogo non può svolgersi seguendo un andamento esclusivamente orizzontale,
limitandosi all'incontro, allo scambio di punti di vista, o persino di doni
propri a ciascuna Comunità. Esso tende anche e soprattutto ad una dimensione
verticale, la quale lo orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore
della storia, è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo
sta nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di uomini
e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono
entro Comunità non in piena comunione fra di loro, quello spazio interiore in
cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta
la potenza del suo Spirito Paraclito. Dialogo per risolvere le divergenze 36.
Il dialogo è anche strumento naturale per mettere a confronto i diversi punti
di vista e soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla
piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma,
in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con le quali vanno affrontate
le conversazioni dottrinali: " Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando
fedeli alla dottrina della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati
i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà
".61 L'amore della verità è la dimensione più profonda di una autentica ricerca
della piena comunione tra i cristiani. Senza quest'amore, sarebbe impossibile
affrontare le obiettive difficoltà teologiche, culturali, psicologiche e sociali
che si incontrano nell'esaminare le divergenze. A questa dimensione interiore
e personale va inseparabilmente associato lo spirito di carità e di umiltà.
Carità verso l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe
richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti. Per quanto riguarda
lo studio delle divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta
con chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina
in un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità
tutta intera, alla quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va
pertanto ed assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile " concordi-
smo ". Le questioni serie vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero
in altri tempi, con identica configurazione o sotto altre spoglie. 37. Il Decreto
Unitatis redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta
per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: " Si ricordino
che esiste un ordine o " gerarchia " nelle verità della dottrina cattolica,
essendo diverso il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si
preparerà la via, nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti
saranno spinti verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione
delle insondabili ricchezze di Cristo ".63 38. Nel dialogo ci si imbatte inevitabilmente
nel problema delle differenti formulazioni con le quali è espressa la dottrina
nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza
per il compito ecumenico. In primo luogo, davanti a formulazioni dottrinali
che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si appartiene,
conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un identico contenuto,
come è stato, ad esempio, constatato in recenti dichiarazioni comuni, firmate
dai miei Predecessori e da me, assieme a Patriarchi di Chiese con le quali esisteva
da secoli un contenzioso cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle
verità rivelate, la Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: " Sebbene le
verità che la Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare
si distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano
essere espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità
del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della Chiesa
fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che restano
sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ".64 A questo riguardo,
il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi,
capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche
e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni incompatibili
ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare la stessa realtà,
ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la formula che, cogliendo
la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere letture parziali e di
eliminare false interpretazioni. Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile ricchezza
della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito opera negli
" altri " può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in un certo
modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una grazia
di verità. 39. Il dialogo infine pone gli interlocutori di fronte a vere e proprie
divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste divergenze vanno affrontate
con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto delle esigenze della propria
coscienza e della coscienza del prossimo, con profonda umiltà e amore verso
la verità. Il confronto in questa materia ha due punti di riferimento essenziali:
la Sacra Scrittura e la grande Tradizione della Chiesa. Ai cattolici viene in
aiuto il Magistero sempre vitale della Chiesa. La collaborazione pratica 40.
Le relazioni tra i cristiani non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla
preghiera comune ed al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile
collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche
nella testimonianza al messaggio del Vangelo.66 " La cooperazione di tutti i
cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone
in una luce più piena il volto di Cristo servo ".67 Una tale cooperazione fondata
sulla fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania
di Cristo stesso. Inoltre, la cooperazione ecumenica è una vera scuola di ecumenismo,
è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione conduce alla piena unità
di fede: " Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare,
come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e come
si appiani la via verso l'unità dei cristiani ".68 Agli occhi del mondo la cooperazione
tra i cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e
diventa strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri. II
I FRUTTI DEL DIALOGO La fraternità ritrovata 41. Quanto detto sopra a proposito
del dialogo ecumenico dalla conclusione del Concilio in poi induce a rendere
grazie allo Spirito di verità promesso da Cristo Signore agli Apostoli e alla
Chiesa (cfr Gv 14, 26). È la prima volta nella storia che l'azione in favore
dell'unità dei cristiani ha assunto proporzioni così grandi e si è estesa ad
un ambito tanto vasto. Ciò è già un immenso dono che Dio ha concesso e che merita
tutta la nostra gratitudine. Dalla pienezza di Cristo riceviamo " grazia su
grazia " (Gv 1, 16). Riconoscere quanto Dio ha già concesso è la condizione
che ci predispone a ricevere quei doni ancora indispensabili per condurre a
compimento l'opera ecumenica dell'unità. Uno sguardo d'insieme sugli ultimi
trent'anni fa meglio comprendere molti dei frutti di questa comune conversione
al Vangelo di cui lo Spirito di Dio ha fatto strumento il movimento ecumenico.
42. Avviene ad esempio che - nello stesso spirito del Discorso della montagna
- i cristiani appartenenti ad una confessione non considerino più gli altri
cristiani come nemici o stranieri, ma vedano in essi dei fratelli e delle sorelle.
D'altro canto, persino all'espressione fratelli separati, l'uso tende a sostituire
oggi vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione - legata
al carattere battesimale - che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche
e canoniche. Si parla degli " altri cristiani ", degli " altri battezzati ",
dei " cristiani delle altre Comunità ". Il Direttorio per l'applicazione dei
principi e delle norme sull'ecumenismo designa le Comunità alle quali appartengono
questi cristiani come " Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione
con la Chiesa cattolica ".69 Tale ampliamento del lessico traduce una notevole
evoluzione delle mentalità. La consapevolezza della comune appartenenza a Cristo
si approfondisce. L'ho potuto constatare molte volte di persona, durante le
celebrazioni ecumeniche che sono uno degli eventi importanti dei miei viaggi
apostolici nelle varie parti del mondo, o negli incontri e nelle celebrazioni
ecumeniche che hanno avuto luogo a Roma. La " fraternità universale " dei cristiani
è diventata una ferma convinzione ecumenica. Relegando nell'oblio le scomuniche
del passato, le Comunità un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda;
a volte gli edifici di culto vengono prestati, si offrono borse di studio per
la formazione dei ministri delle Comunità più prive di mezzi, si interviene
presso le autorità civili per la difesa di altri cristiani ingiustamente incriminati,
si dimostra l'infondatezza delle calunnie di cui sono vittime certi gruppi.
In una parola, i cristiani si sono convertiti ad una carità fraterna che abbraccia
tutti i discepoli di Cristo. Se accade che, a motivo di sommovimenti politici
violenti, affiori in situazioni concrete una certa aggressività, oppure uno
spirito di rivalsa, le autorità delle parti in causa si adoperano in genere
per far prevalere la " Legge nuova " dello spirito di carità. Purtroppo, un
tale spirito non ha potuto trasformare tutte le situazioni di conflitto cruento.
L'impegno ecumenico in queste circostanze richiede non di rado da chi lo esercita
scelte di autentico eroismo. Bisogna ribadire a questo riguardo che il riconoscimento
della fraternità non è la conseguenza di un filantropismo liberale o di un vago
spirito di famiglia. Esso si radica nel riconoscimento dell'unico Battesimo
e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera. Il Direttorio
per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo auspica un reciproco
e ufficiale riconoscimento dei Battesimi70. Ciò che va ben al di là di un atto
di cortesia ecumenica e costituisce una basilare affermazione ecclesiologica.
Va opportunamente ricordato che il carattere fondamentale del Battesimo nell'opera
di edificazione della Chiesa è stato chiaramente evidenziato anche grazie al
dialogo multilaterale.71 La solidarietà nel servizio all'umanità 43. Accade
sempre più spesso che i responsabili delle Comunità cristiane prendano insieme
posizione, in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione
umana, la libertà, la giustizia, la pace, il futuro del mondo. Così facendo
essi " comunicano " in uno degli elementi costitutivi della missione cristiana:
ricordare alla società, in un modo che sappia essere realista, la volontà di
Dio, mettendo in guardia le autorità e i cittadini perché non seguano la china
che condurrebbe a calpestare i diritti umani. È chiaro, e l'esperienza lo dimostra,
che in alcune circostanze la voce comune dei cristiani ha più impatto di una
voce isolata. I responsabili delle Comunità non sono tuttavia i soli ad unirsi
in questo impegno per l'unità. Numerosi cristiani di tutte le Comunità, a motivo
della loro fede, partecipano insieme a progetti coraggiosi che si propongono
di cambiare il mondo nel senso di far trionfare il rispetto dei diritti e dei
bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati e degli indifesi. Nella
Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis ho constatato con gioia questa collaborazione,
sottolineando che la Chiesa cattolica non può sottrarvisi.72 Infatti i cristiani,
che un tempo agivano in modo indipendente, sono ora impegnati insieme a servizio
di questa causa, perché la benevolenza di Dio possa trionfare. La logica è già
quella del Vangelo. Per questo motivo, ribadendo quanto avevo scritto nella
mia prima Lettera enciclica, la Redemptor hominis, ho avuto occasione " di insistere
su questo punto e di incoraggiare ogni sforzo compiuto in questa direzione,
a tutti i livelli in cui ci incontriamo con gli altri nostri fratelli cristiani
" 73 ed ho ringraziato Dio " di ciò che egli ha già compiuto nelle altre Chiese
e Comunità ecclesiali e per mezzo loro ", come anche per mezzo della Chiesa
cattolica.74 Oggi constato con soddisfazione che la già vasta rete di collaborazione
ecumenica si estende sempre di più. Anche per influsso del Consiglio ecumenico
delle Chiese, si compie un grande lavoro in questo campo. Convergenze nella
parola di Dio e nel culto divino 44. I progressi della conversione ecumenica
sono significativi anche in un altro settore, quello relativo alla Parola di
Dio. Penso prima di tutto ad un evento così importante per svariati gruppi linguistici
come le traduzioni ecumeniche della Bibbia. Dopo la promulgazione, da parte
del Concilio Vaticano II, della Costituzione Dei Verbum, la Chiesa cattolica
non poteva non accogliere con gioia questa realizzazione.75 Tali traduzioni,
opera di specialisti, offrono generalmente una base sicura alla preghiera e
all'attività pastorale di tutti i discepoli di Cristo. Chi ricorda quanto abbiano
influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura,
può comprendere quale notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni.
45. Al rinnovamento liturgico compiuto dalla Chiesa cattolica, ha corrisposto
in diverse Comunità ecclesiali l'iniziativa di rinnovare il loro culto. Alcune
di esse, sulla base dell'auspicio espresso a livello ecumenico,76 hanno abbandonato
la consuetudine di celebrare la loro liturgia della Cena soltanto in rare occasioni
ed hanno optato per una celebrazione domenicale. D'altra parte, paragonando
i cicli delle letture liturgiche di diverse Comunità cristiane occidentali,
si constata che essi convergono per l'essenziale. Sempre a livello ecumenico,77
si è dato un rilievo del tutto speciale alla liturgia e ai segni liturgici (immagini,
icone, paramenti, luce, incenso, gestualità). Inoltre, negli istituti di teologia
dove si formano i futuri ministri, lo studio della storia e del significato
della liturgia comincia a far parte dei programmi, come un bisogno che si sta
riscoprendo. Si tratta di segni di convergenza che riguardano vari aspetti della
vita sacramentale. Certamente, a causa di divergenze che toccano la fede, non
è ancora possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo
il desiderio ardente di celebrare insieme l'unica Eucaristia del Signore, e
questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme
ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più " con un cuore solo ". A
volte, il poter finalmente suggellare questa comunione " reale sebbene non ancora
piena " sembra essere più vicino. Chi avrebbe potuto un secolo fa anche solo
pensarlo? 46. In questo contesto, è motivo di gioia ricordare che i ministri
cattolici possano, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti
dell'Eucaristia, della Penitenza, dell'Unzione degli infermi ad altri cristiani
che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente
riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica
confessa in questi sacramenti. Reciprocamente, in determinati casi e per particolari
circostanze, anche i cattolici possono fare ricorso per gli stessi sacramenti
ai ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi. Le condizioni per tale
reciproca accoglienza sono stabilite in norme e la loro osservanza si impone
per la promozione ecumenica.78 Apprezzare i beni presenti tra gli altri cristiani
47. Il dialogo non si articola esclusivamente attorno alla dottrina, ma coinvolge
tutta la persona: esso è anche un dialogo d'amore. Il Concilio ha affermato:
" È necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente
cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli
da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella
vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all'effusione
del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre stupendo e sorprendente
nelle sue opere ".79 48. Le relazioni che i membri della Chiesa cattolica hanno
stabilito con gli altri cristiani dal Concilio in poi, hanno fatto scoprire
ciò che Dio opera in coloro che appartengono alle altre Chiese e Comunità ecclesiali.
Questo contatto diretto, a vari livelli, tra i pastori e tra i membri delle
Comunità, ci ha fatto prendere coscienza della testimonianza che gli altri cristiani
rendono a Dio e a Cristo. Si è così aperto un vastissimo spazio per tutta l'esperienza
ecumenica, che è allo stesso tempo la sfida che si pone a questa nostra epoca.
Il XX secolo non è forse un tempo di grande testimonianza, che va " fino all'effusione
del sangue "? Ed essa non riguarda forse anche le varie Chiese e Comunità ecclesiali,
che traggono il loro nome da Cristo, crocifisso e risorto? Tale comune testimonianza
della santità, come fedeltà all'unico Signore, è un potenziale ecumenico straordinariamente
ricco di grazia. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato che i beni presenti
negli altri cristiani possono contribuire all'edificazione dei cattolici: "
Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto
nei fratelli separati, può contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che
è veramente cristiano mai è contrario ai veri benefici della fede, anzi può
sempre far sì, che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto
più perfettamente ".80 Il dialogo ecumenico, come vero dialogo di salvezza,
non mancherà di stimolare questo processo, già in se stesso ben avviato, a progredire
verso la vera e piena comunione. Crescita della comunione 49. Frutto prezioso
delle relazioni tra i cristiani e del dialogo teologico che essi intrattengono
è la crescita della comunione. Le une e l'altro hanno reso consapevoli i cristiani
degli elementi di fede che essi hanno in comune. Ciò è servito a cementare ulteriormente
il loro impegno verso la piena unità. In tutto questo il Concilio Vaticano II
rimane potente centro di propulsione e di orientamento. La Costituzione dogmatica
Lumen gentium collega la dottrina concernente la Chiesa cattolica al riconoscimento
degli elementi salvifici che si trovano nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali.81
Non si tratta di una presa di coscienza di elementi statici, passivamente presenti
in tali Chiese e Comunità. In quanto beni della Chiesa di Cristo, per loro natura
essi spingono verso il ristabilimento dell'unità. Ne consegue che la ricerca
dell'unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di opportunità, ma un'esigenza
che scaturisce dall'essere stesso della comunità cristiana. Similmente, i dialoghi
teologici bilaterali con le maggiori Comunità cristiane partono dal riconoscimento
del grado di comunione già in atto, per discutere poi in modo progressivo le
divergenze esistenti con ciascuna. Il Signore ha concesso ai cristiani del nostro
tempo di poter ridurre il contenzioso tradizionale. Il dialogo con le Chiese
d'Oriente 50. A questo riguardo, si deve innanzitutto constatare, con particolare
gratitudine alla Provvidenza divina, che il legame con le Chiese d'Oriente,
incrinato durante i secoli, si è rinsaldato con il Concilio Vaticano II. Gli
osservatori di queste Chiese presenti al Concilio, assieme a rappresentanti
delle Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente, hanno manifestato pubblicamente,
in un momento così solenne per la Chiesa cattolica, la comune volontà di ricercare
la comunione. Il Concilio, da parte sua, ha considerato con oggettività e con
profondo affetto le Chiese d'Oriente, mettendo in rilievo la loro ecclesialità
e gli oggettivi vincoli di comunione che le legano alla Chiesa cattolica. Il
Decreto sull'ecumenismo afferma: " Per mezzo della celebrazione dell'Eucaristia
del Signore in queste singole chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce ",
aggiungendo, di conseguenza, che tali chiese " quantunque separate, hanno veri
sacramenti e soprattutto in forza della successione apostolica, il Sacerdozio
e l'Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi
vincoli ".82 Delle Chiese d'Oriente è stata riconosciuta la grande tradizione
liturgica e spirituale, il carattere specifico del loro sviluppo storico, le
discipline da loro seguite sin dai primi tempi e sancite dai santi Padri e dai
Concili ecumenici, il modo che è loro proprio di enunciare la dottrina. Tutto
ciò nella convinzione che la legittima diversità non si oppone affatto all'unità
della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento
della sua missione. Il Concilio Ecumenico Vaticano II vuole fondare il dialogo
sulla comunione esistente e richiama l'attenzione proprio sulla ricca realtà
delle Chiese d'Oriente: " Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente
quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione
tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, affinché tengano in debita considerazione
questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d'Oriente,
e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la sede di Roma prima della separazione,
e si formino un equo giudizio su tutte queste cose ".83 51. Questo orientamento
conciliare è stato fecondo sia per le relazioni di fraternità, che sono andate
sviluppandosi per mezzo del dialogo della carità, sia per la discussione dottrinale
nell'ambito della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico
tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Esso è stato
altrettanto ricco di frutti nelle relazioni con le antiche Chiese dell'Oriente.
Si è trattato di un processo lento e laborioso, che è stato però fonte di molta
gioia; ed è stato anche entusiasmante, poiché ha permesso di ritrovare progressivamente
la fraternità. La ripresa dei contatti 52. Per quanto riguarda la Chiesa di
Roma e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il processo a cui abbiamo
appena fatto cenno ha preso avvio grazie alla reciproca apertura mostrata dai
Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, da una parte, e dal Patriarca ecumenico Athenagoras
I e dai suoi successori, dall'altra. Il mutamento operato ha la sua espressione
storica nell'atto ecclesiale per il cui tramite " si è tolto dalla memoria e
dal mezzo delle Chiese " 84 il ricordo delle scomuniche che novecento anni prima,
nel 1054, erano diventate simbolo dello scisma tra Roma e Costantinopoli. Quell'evento
ecclesiale, tanto denso di impegno ecumenico, avvenne negli ultimi giorni del
Concilio, il 7 dicembre del 1965. L'assise conciliare si concludeva così con
un atto solenne che era al tempo stesso purificazione della memoria storica,
perdono reciproco e solidale impegno per la ricerca della comunione. Questo
gesto era stato preceduto dall'incontro di Paolo VI e del Patriarca Athenagoras
I a Gerusalemme, nel gennaio del 1964, durante il pellegrinaggio del Papa in
Terra Santa. In quell'occasione egli poté anche incontrare il Patriarca ortodosso
di Gerusalemme, Benedictos. In seguito, Papa Paolo poteva far visita al Patriarca
Athenagoras al Fanar (Istanbul) il 25 luglio del 1967 e, nel mese di ottobre
dello stesso anno, il Patriarca era accolto solennemente a Roma. Questi incontri
nella preghiera additavano la via da seguire per il riavvicinamento tra la Chiesa
d'Oriente e la Chiesa d'Occidente ed il ristabilimento dell'unità che esisteva
tra loro nel primo millennio. Dopo la morte di Papa Paolo VI ed il breve pontificato
di Papa Giovanni Paolo I, quando mi è stato affidato il ministero di Vescovo
di Roma, ho ritenuto che fosse uno dei primi doveri del mio servizio pontificio
rinnovare un personale contatto con il Patriarca ecumenico Dimitrios I, il quale
aveva nel frattempo assunto, nella sede di Costantinopoli, la successione del
Patriarca Athenagoras. Durante la mia visita al Fanar il 29 novembre del 1979,
potemmo, il Patriarca ed io, decidere di inaugurare il dialogo teologico tra
la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse in comunione canonica con la
sede di Costantinopoli. Sembra importante aggiungere, a questo proposito, che
allora erano già in corso i preparativi per la convocazione del futuro Concilio
delle Chiese ortodosse. La ricerca della loro armonia è un contributo alla vita
e alla vitalità di quelle Chiese sorelle, e ciò anche in considerazione della
funzione che esse sono chiamate a svolgere nel cammino verso l'unità. Il Patriarca
ecumenico ha voluto restituirmi la visita che gli avevo reso, e nel dicembre
del 1987 ho avuto la gioia di accoglierlo a Roma, con affetto sincero e con
la solennità che gli era dovuta. In questo contesto di fraternità ecclesiale,
va ricordata la consuetudine, ormai stabilita da vari anni, di accogliere a
Roma, per la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, una delegazione del Patriarcato
ecumenico, così come di inviare al Fanar una delegazione della Santa Sede per
la solenne celebrazione di sant'Andrea. 53. Questi regolari contatti permettono
tra l'altro uno scambio diretto di informazioni e di pareri per un fraterno
coordinamento. D'altra parte, la nostra reciproca partecipazione alla preghiera
ci riabitua a vivere fianco a fianco, ci induce ad accogliere insieme, e dunque
a mettere in pratica, la volontà del Signore per la sua Chiesa. Lungo il cammino
che abbiamo percorso dal Concilio Vaticano II in poi, vanno menzionati almeno
due eventi particolarmente eloquenti e di grande rilevanza ecumenica nelle relazioni
tra Oriente ed Occidente: in primo luogo, il Giubileo del 1984, indetto per
commemorare l'XI centenario dell'opera evangelizzatrice di Cirillo e Metodio
e che mi ha permesso di proclamare compatroni d'Europa i due santi apostoli
degli Slavi, messaggeri di fede. Già Papa Paolo VI nel 1964, durante il Concilio,
aveva proclamato san Benedetto patrono d'Europa. Associare i due Fratelli di
Tessalonica al grande fondatore del monachesimo occidentale vale a mettere indirettamente
in risalto quella duplice tradizione ecclesiale e culturale tanto significativa
per i duemila anni di cristianesimo che hanno caratterizzato la storia del continente
europeo. Non è quindi superfluo ricordare che Cirillo e Metodio provenivano
dall'ambito della Chiesa bizantina del loro tempo, epoca durante la quale essa
era in comunione con Roma. Nel proclamarli, assieme a san Benedetto, patroni
d'Europa, desideravo non soltanto confermare la verità storica sul cristianesimo
nel continente europeo, ma anche fornire un importante tema a quel dialogo tra
Oriente ed Occidente, che tante speranze ha suscitato nel dopo Concilio. Come
in san Benedetto, nei santi Cirillo e Metodio l'Europa ritrova le sue radici
spirituali. Ora che volge al termine il secondo millennio dalla nascita di Cristo,
essi debbono essere venerati insieme, come patroni del nostro passato e come
santi ai quali le Chiese e le nazioni del continente europeo affidano il loro
avvenire. 54. L'altro evento che mi piace richiamare alla mente è la celebrazione
del Millennio del Battesimo della Rus' (988-1988). La Chiesa cattolica, ed in
modo particolare la Sede Apostolica, hanno voluto prendere parte alle celebrazioni
giubilari ed hanno cercato di sottolineare come il Battesimo conferito a Kiev
a san Vladimiro sia stato uno degli eventi centrali per l'evangelizzazione del
mondo. Ad esso debbono la loro fede non soltanto le grandi nazioni slave dell'Est
europeo, ma anche quei popoli che vivono oltre i monti Urali e fino all'Alaska.
In questa prospettiva, un'espressione che ho più volte adoperato trova il suo
motivo più profondo: la Chiesa deve respirare con i suoi due polmoni! Nel primo
millennio della storia del cristianesimo essa si riferisce soprattutto alla
dualità Bisanzio-Roma; dal Battesimo della Rus' in poi, tale espressione dilata
i suoi confini: l'evangelizzazione si è estesa ad un ambito ben più vasto, così
che essa abbraccia ormai l'intera Chiesa. Se si considera poi che tale evento
salvifico, avvenuto lungo le sponde del Dniepr, risale ad una epoca durante
la quale la Chiesa in Oriente e quella in Occidente non erano divise, si comprende
chiaramente come la prospettiva secondo la quale la piena comunione va ricercata
sia quella dell'unità nella legittima diversità. È quanto ho affermato con forza
nell'Epistola enciclica Slavorum apostoli 85 dedicata ai santi Cirillo e Metodio
e nella Lettera apostolica Euntes in mundum 86 diretta ai fedeli della Chiesa
cattolica nella commemorazione del Millennio del Battesimo della Rus' di Kiev.
Chiese sorelle 55. Il Decreto conciliare Unitatis redintegratio nel suo orizzonte
storico tiene presente l'unità che, malgrado tutto, fu vissuta nel primo millennio.
Essa assume in un certo senso configurazione di modello. " È cosa gradita per
il sacro Concilio [...] richiamare alla mente di tutti, che in Oriente prosperano
molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese
patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli
stessi Apostoli ".87 Il cammino della Chiesa è iniziato a Gerusalemme il giorno
di Pentecoste e tutto il suo originale sviluppo nell'oikoumene di allora si
concentrava attorno a Pietro e agli Undici (cfr At 2, 14). Le strutture della
Chiesa in Oriente e in Occidente si formavano dunque in riferimento a quel patrimonio
apostolico. La sua unità, entro i limiti del primo millennio, si manteneva in
quelle stesse strutture mediante i Vescovi, successori degli Apostoli, in comunione
con il Vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo millennio,
di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo
riferirci. Il Decreto sull'ecumenismo mette in rilievo un ulteriore aspetto
caratteristico, grazie al quale tutte le Chiese particolari permanevano nell'unità,
la " preoccupazione - cioè - e la cura di conservare, nella comunione della
fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono
essere tra le Chiese locali ".88 56. Dopo il Concilio Vaticano II e ricollegandosi
a quella tradizione, si è ristabilito l'uso di attribuire l'appellativo di "
Chiese sorelle " alle Chiese particolari o locali radunate attorno al loro Vescovo.
La soppressione poi delle reciproche scomuniche, rimovendo un doloroso ostacolo
di ordine canonico e psicologico, è stato un passo molto significativo nel cammino
verso la piena comunione. Le strutture d'unità esistenti prima della divisione
sono un patrimonio d'esperienza che guida il nostro cammino verso il ritrovamento
della piena comunione. Ovviamente, durante il secondo millennio, il Signore
non ha cessato di dare alla sua Chiesa abbondanti frutti di grazia e di crescita.
Ma purtroppo il progressivo reciproco allontanamento tra le Chiese d'Occidente
e d'Oriente le ha private delle ricchezze di mutui doni ed aiuti. Occorre compiere
con la grazia di Dio un grande sforzo per ristabilire fra esse la piena comunione,
fonte di tanti beni per la Chiesa di Cristo. Tale sforzo richiede tutta la nostra
buona volontà, la preghiera umile e una collaborazione perseverante che nulla
deve scoraggiare. San Paolo ci sprona: " Portate i pesi gli uni degli altri
" (Gal 6, 2). Come si adatta a noi e come è attuale l'esortazione dell'Apostolo!
L'appellativo tradizionale di " Chiese sorelle " dovrebbe incessantemente accompagnarci
in questo cammino. 57. Come auspicava Papa Paolo VI, il nostro scopo dichiarato
è di ritrovare insieme la piena unità nella legittima diversità: " Dio ci ha
concesso di ricevere nella fede questa testimonianza degli Apostoli. Per mezzo
del Battesimo noi siamo uno in Cristo Gesù (cfr Gal 3, 28). In virtù della successione
apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia ci uniscono più intimamente; partecipando
ai doni di Dio alla sua Chiesa, noi siamo in comunione con il Padre, per mezzo
del Figlio, nello Spirito Santo [...]. In ogni Chiesa locale si realizza questo
mistero dell'amore divino. Non è forse questa la ragione dell'espressione tradizionale
e tanto bella per cui le Chiese locali amavano designarsi quali Chiese sorelle?
(cfr Decr. Unitatis redintegratio, 14). Questa vita di Chiese sorelle, noi l'abbiamo
vissuta durante secoli, celebrando insieme i Concili ecumenici, che hanno difeso
il deposito della fede da ogni alterazione. Ora, dopo un lungo periodo di divisione
e incomprensione reciproca, il Signore ci concede di riscoprirci come Chiese
sorelle, nonostante gli ostacoli che nel passato si sono frapposti tra di noi
".89 Se oggi, alle soglie del terzo millennio, noi ricerchiamo il ristabilimento
della piena comunione, è all'attuazione di questa realtà che dobbiamo tendere
ed è a questa realtà che dobbiamo fare riferimento. Il contatto con questa gloriosa
tradizione è fecondo per la Chiesa. " Le Chiese d'Oriente - afferma il Concilio
- hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la Chiesa d'Occidente molte cose
ha prese nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine
giuridico ".90 Sono parte di questo " tesoro " anche " le ricchezze di quelle
tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo.
Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiorì quella spiritualità
monastica, che si estese poi all'Occidente ".91 Come ho avuto modo di rilevare
nella recente Lettera apostolica Orientale lumen, le Chiese d'Oriente hanno
vissuto con grande generosità l'impegno testimoniato dalla vita monastica, "
a cominciare dalla evangelizzazione, che è il servizio più alto che il cristiano
possa offrire al fratello, per proseguire in molte altre forme di servizio spirituale
e materiale. Si può anzi dire che il monachesimo sia stato nell'antichità -
e, a varie riprese, anche in tempi successivi - lo strumento privilegiato per
l'evangelizzazione dei popoli ".92 Il Concilio non si limita a mettere in rilievo
tutto ciò che rende le Chiese in Oriente ed in Occidente simili tra loro. In
armonia con la verità storica, esso non esita ad affermare: " Non fa meraviglia
che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più
adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può
dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto
che opporsi ".93 Lo scambio di doni fra le Chiese nella loro complementarità
rende feconda la comunione. 58. Dalla riaffermata comunione di fede già esistente,
il Concilio Vaticano II ha tratto delle conseguenze pastorali utili alla vita
concreta dei fedeli e alla promozione dello spirito d'unità. A ragione degli
strettissimi vincoli sacramentali esistenti tra la Chiesa cattolica e le Chiese
ortodosse, il Decreto Orientalium ecclesiarum ha rilevato che " la prassi pastorale
dimostra, per quanto riguarda i fratelli orientali, che si possono e si devono
considerare varie circostanze di singole persone, nelle quali né si lede l'unità
della Chiesa, né vi sono pericoli da evitare, e invece urgono la necessità della
salvezza e il bene spirituale delle anime. Perciò la Chiesa cattolica, secondo
le circostanze di tempi, di luoghi e di persone, ha usato spesso e usa una più
mite maniera di agire, offrendo a tutti tra i cristiani i mezzi della salvezza
e la testimonianza della carità, per mezzo della partecipazione nei sacramenti
e nelle altre funzioni e cose sacre ".94 Tale orientamento teologico e pastorale,
con l'esperienza fatta negli anni del dopo Concilio, è stato assunto dai due
Codici di Diritto Canonico.95 Esso è stato esplicitato dal punto di vista pastorale
dal Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo.96
In questa materia tanto importante e delicata, è necessario che i Pastori istruiscano
con cura i fedeli affinché essi conoscano con chiarezza le precise ragioni sia
di tale condivisione per quanto riguarda il culto liturgico che delle diverse
discipline esistenti al riguardo. Non si deve mai perdere di vista la dimensione
ecclesiologica della partecipazione ai sacramenti, soprattutto della santa Eucaristia.
Progressi del dialogo 59. Dalla sua creazione nel 1979, la Commissione mista
internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa
ortodossa nel suo insieme ha lavorato intensamente, orientando progressivamente
la sua ricerca a quelle prospettive che, di comune accordo, erano state determinate,
con lo scopo di ristabilire la piena comunione tra le due Chiese. Tale comunione
fondata nell'unità di fede, in continuità con l'esperienza e la tradizione della
Chiesa antica, troverà la sua espressione piena nella concelebrazione della
santa Eucaristia. Con spirito positivo, basandoci su quanto abbiamo in comune,
la commissione mista ha potuto progredire sostanzialmente e, come ho avuto modo
di dichiarare insieme al venerato Fratello, Sua Santità Dimitrios I, Patriarca
ecumenico, essa è pervenuta ad esprimere " ciò che la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa possono già professare insieme quale fede comune nel mistero
della Chiesa ed il vincolo tra la fede ed i sacramenti ".97 La commissione ha
poi potuto constatare ed affermare che " nelle nostre Chiese la successione
apostolica è fondamentale per la santificazione e l'unità del popolo di Dio
".98 Si tratta di punti di riferimento importanti per la continuazione del dialogo.
E c'è di più: queste affermazioni fatte insieme costituiscono la base che abilita
i cattolici e gli ortodossi a rendere sin da ora, nel nostro tempo, una comune
testimonianza fedele e concorde perché il nome del Signore sia annunciato e
glorificato. 60. Più recentemente, la commissione mista internazionale ha compiuto
un significativo passo nella questione tanto delicata del metodo da seguire
nella ricerca della piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa,
questione che ha spesso inasprito le relazioni fra cattolici ed ortodossi. Essa
ha posto le basi dottrinali per una positiva soluzione del problema, che si
fonda sulla dottrina delle Chiese sorelle. Anche in questo contesto è apparso
chiaramente che il metodo da seguire verso la piena comunione è il dialogo della
verità, nutrito e sostenuto dal dialogo della carità. Il diritto riconosciuto
alle Chiese orientali cattoliche ad organizzarsi e svolgere il loro apostolato,
così come l'effettivo coinvolgimento di queste Chiese nel dialogo della carità
e in quello teologico, favoriranno non soltanto un reale e fraterno rispetto
reciproco tra gli ortodossi e i cattolici che vivono in uno stesso territorio,
ma anche il loro comune impegno nella ricerca dell'unità.99 Un passo avanti
è stato compiuto. L'impegno deve continuare. Sin da ora si può constatare, però,
una pacificazione degli spiriti, che rende la ricerca più feconda. Per quanto
riguarda le Chiese orientali in comunione con la Chiesa cattolica, il Concilio
aveva espresso il seguente apprezzamento: " Questo Sacro Concilio, ringraziando
Dio che molti Orientali figli della Chiesa cattolica 1 vivano già in piena comunione
con i fratelli che seguono la tradizione occidentale, dichiara che tutto questo
patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue
tradizioni, appartiene alla piena cattolicità ed apostolicità della Chiesa ".100
Certamente le Chiese orientali cattoliche, nello spirito del Decreto sull'ecumenismo,
sapranno partecipare positivamente al dialogo della carità e al dialogo teologico,
sia a livello locale che a livello universale, contribuendo così alla reciproca
comprensione e ad una dinamica ricerca della piena unità.101 61. In questa prospettiva,
la Chiesa cattolica null'altro vuole se non la piena comunione tra Oriente ed
Occidente. In ciò si ispira alla esperienza del primo millennio. In tale periodo,
infatti, " lo sviluppo di differenti esperienze di vita ecclesiale non impediva
che, mediante reciproche relazioni, i cristiani potessero continuare a provare
la certezza di essere a casa propria in qualsiasi Chiesa, perché da tutte si
levava, in mirabile varietà di lingue e modulazioni, la lode dell'unico Padre,
per Cristo nello Spirito Santo; tutte erano adunate per celebrare l'Eucaristia,
cuore e modello per la comunità non solo per quanto riguarda la spiritualità
o la vita morale, ma anche per la struttura stessa della Chiesa, nella varietà
dei ministeri e dei servizi sotto la presidenza del Vescovo successore degli
Apostoli. I primi Concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante
unità nella diversità ".102 In che modo ricomporre tale unità dopo quasi mille
anni? Ecco il grande compito che essa deve assolvere e che incombe anche alla
Chiesa ortodossa. Si comprende da qui tutta l'attualità del dialogo, sostenuto
dalla luce e dalla potenza dello Spirito Santo. Relazioni con le antiche Chiese
dell'Oriente 62. Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa cattolica, con modalità
e ritmi diversi, ha riallacciato fraterne relazioni anche con quelle antiche
Chiese dell'Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei Concili di
Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese hanno inviato osservatori delegati
al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi ci hanno onorato della loro visita
e con essi il Vescovo di Roma ha potuto parlare come a dei fratelli che, dopo
lungo tempo, si ritrovano nella gioia. La ripresa delle relazioni fraterne con
le antiche Chiese dell'Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni
spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca nonostante
le barriere storiche, politiche, sociali e culturali. E proprio per quanto riguarda
il tema cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di alcune
di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle dichiarazioni in questo
senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e Patriarca copto ortodosso; 103 e
con il Patriarca siro ortodosso d'Antiochia, Sua Santità Jacoub III.104 Io stesso
ho potuto confermare tale accordo cristologico e trarne delle conseguenze: per
lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda,105 e per la collaborazione pastorale
con il Patriarca siro d'Antiochia Mar Ignazio Zakka I Iwas.106 Con il venerato
Patriarca della Chiesa d'Etiopia, Abuna Paulos, che mi ha fatto visita a Roma
l'11 giugno 1993, abbiamo sottolineato la profonda comunione esistente tra le
nostre due Chiese: " Noi condividiamo la fede ricevuta dagli Apostoli, gli stessi
sacramenti e lo stesso ministero radicato nella successione apostolica[...].
Oggi infatti possiamo affermare di avere la stessa fede in Cristo, allorché
per lungo tempo essa è stata causa di divisione tra di noi ".107 Più recentemente,
il Signore mi ha dato la grande gioia di sottoscrivere una dichiarazione comune
cristologica con il Patriarca assiro dell'Oriente, Sua Santità Mar Dinkha IV,
che ha voluto per questo motivo farmi visita a Roma nel mese di novembre 1994.
Tenendo conto delle formulazioni teologiche differenziate, abbiamo così potuto
professare insieme la vera fede in Cristo.108 Voglio dire la mia esultanza per
tutto questo con le parole della Vergine: " L'anima mia magnifica il Signore
" (Lc 1, 46). 63. Per le tradizionali controversie sulla cristologia, i contatti
ecumenici hanno reso dunque possibili chiarimenti essenziali, tanto da permetterci
di confessare insieme quella fede che ci è comune. Ancora una volta, si deve
constatare che tale importante acquisizione è sicuramente frutto della ricerca
teologica e del dialogo fraterno. E non soltanto questo. Essa ci è di incoraggiamento:
ci mostra, infatti, che la via percorsa è giusta e che si può ragionevolmente
sperare di trovare insieme la soluzione per le altre questioni controverse.
Dialogo con le altre Chiese e Comunità ecclesiali in Occidente 64. Nell'ampio
piano tracciato per il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani, il Decreto
sull'ecumenismo prende ugualmente in considerazione le relazioni con le Chiese
e Comunità ecclesiali d'Occidente. Con l'intento di instaurare un clima di fraternità
cristiana e di dialogo, il Concilio situa le sue indicazioni nell'ambito di
due considerazioni di ordine generale: l'una a carattere storico-psicologico
e l'altra a carattere teologico-dottrinale. Da una parte, il suddetto documento
rileva: " Le Chiese e le Comunità ecclesiali, che o in quel gravissimo sconvolgimento
incominciato in Occidente già alla fine del Medioevo o in tempi posteriori si
sono separate dalla sede apostolica romana, sono unite alla Chiesa cattolica
da una speciale affinità e stretta relazione, dato il lungo periodo di vita
che il popolo cristiano nei secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica
".109 D'altra parte, con altrettanto realismo si constata: " Bisogna però riconoscere
che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze,
non solo d'indole storica, sociologica, psicologica e culturale, ma soprattutto
d'interpretazione della verità rivelata ".110 65. Sono comuni le radici e sono
simili, nonostante le differenze, gli orientamenti che hanno guidato in Occidente
lo sviluppo della Chiesa cattolica e delle Chiese e Comunità sorte dalla Riforma.
Di conseguenza esse possiedono una comune caratteristica occidentale. Le " divergenze
", pur importanti sopra accennate non escludono quindi reciproche influenze
e complementarietà. Il movimento ecumenico ha preso avvio proprio nell'ambito
delle Chiese e Comunità della Riforma. Contemporaneamente, e già nel gennaio
del 1920, il Patriarcato ecumenico aveva espresso l'auspicio che si organizzasse
una collaborazione tra le Comunioni cristiane. Questo fatto mostra che l'incidenza
dello sfondo culturale non è decisiva. Essenziale è invece la questione della
fede. La preghiera di Cristo, nostro unico Signore, Redentore e Maestro, parla
a tutti nello stesso modo, all'Oriente come all'Occidente. Essa diventa un imperativo
che impone di abbandonare le divisioni per ricercare e ritrovare l'unità, sospinti
anche dalle stesse amare esperienze della divisione. 66. Il Concilio Vaticano
II non intende fare la " descrizione " del cristianesimo del " dopo Riforma
", poiché le Chiese e le Comunità ecclesiali " differiscono non solo da noi,
ma anche non poco tra di loro " e questo " per la loro diversità di origine,
di dottrina e di vita spirituale ".111 Inoltre, lo stesso Decreto osserva che
il movimento ecumenico e il desiderio di pace con la Chiesa cattolica non è
ancora invalso dappertutto.112 Indipendentemente da queste circostanze, però,
il Concilio propone il dialogo. Il Decreto conciliare cerca poi di " mettere
in risalto alcuni punti che possono 3 costituire il fondamento di questo dialogo
ed un incitamento ad esso ".113 " Il nostro pensiero si rivolge 4 a quei cristiani
che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore
tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito
Santo ".114 Questi fratelli coltivano amore e venerazione per le Sacre Scritture:
" Invocando lo Spirito Santo, essi cercano nelle stesse Scritture Dio che parla
ad essi in Cristo, preannunciato dai Profeti, Verbo di Dio per noi incarnato.
In esse contemplano la vita di Cristo e quanto il Divino Maestro ha insegnato
e compiuto per la salvezza degli uomini, specialmente i misteri della sua morte
e della sua resurrezione 5; essi affermano la divina autorità dei libri sacri
".115 Allo stesso tempo, però, " pensano diversamente da noi 6 circa il rapporto
tra le Sacre Scritture e la Chiesa, nella quale, secondo la fede cattolica,
il Magistero autentico ha un posto speciale nell'esporre e predicare la parola
di Dio scritta ".116 Malgrado ciò, " la Sacra Scrittura nello stesso dialogo
7 costituisce l'eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento
di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini ".117 Inoltre, il
sacramento del Battesimo che abbiamo in comune rappresenta " il vincolo sacramentale
dell'unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati
".118 Le implicazioni teologiche, pastorali ed ecumeniche del comune Battesimo
sono molte ed importanti. Sebbene di per sé costituisca " soltanto l'inizio
e l'esordio ", questo sacramento " è ordinato all'integra professione della
fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, come lo
stesso Cristo ha voluto e, infine, alla integra inserzione nella comunione eucaristica
".119 67. Divergenze dottrinali e storiche del tempo della Riforma sono emerse
a proposito della Chiesa, dei sacramenti e del Ministero ordinato. Il Concilio
richiede pertanto che " la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti,
il culto e i ministeri della Chiesa costituiscano l'oggetto del dialogo ".120
Il Decreto Unitatis redintegratio, rilevando come alle Comunità del dopo Riforma
faccia difetto la " piena unità con noi, derivante dal Battesimo ", osserva
che esse " specialmente per la mancanza del sacramento dell'Ordine, non hanno
conservata la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico ", anche se
" nella Santa Cena fanno memoria della morte e della risurrezione del Signore,
professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la
sua venuta gloriosa ".121 68. Il Decreto non dimentica la vita spirituale e
le conseguenze morali: " La vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla
fede in Cristo ed è aiutata dalla grazia del Battesimo e dall'ascolto della
parola di Dio. Si manifesta nella preghiera privata, nella meditazione della
Bibbia, nella vita della famiglia cristiana, nel culto della comunità riunita
a lodare Dio. Del resto il loro culto mostra talora importanti elementi della
comune liturgia antica ".122 Il documento conciliare, peraltro, non si limita
a questi aspetti spirituali, morali e culturali, ma estende il suo apprezzamento
al vivo sentimento della giustizia e alla sincera carità verso il prossimo,
che sono presenti in questi fratelli; esso inoltre non dimentica le loro iniziative
per rendere più umane le condizioni sociali della vita e per ristabilire la
pace. Tutto questo nella sincera volontà di aderire alla parola di Cristo quale
sorgente della vita cristiana. In tal modo il testo rileva una problematica
che, in campo etico-morale, diventa sempre più urgente nel nostro tempo: " Molti
fra i cristiani non sempre 8 intendono il Vangelo alla stessa maniera dei cattolici
".123 In questa vasta materia vi è un grande spazio di dialogo attorno ai principi
morali del Vangelo e alle loro applicazioni. 69. Gli auspici e l'invito del
Concilio Vaticano II sono stati attuati e si è progressivamente avviato il dialogo
teologico bilaterale con le varie Chiese e Comunità cristiane mondiali d'Occidente.
D'altra parte, per il dialogo multilaterale, già nel 1964 si iniziava il processo
di costituzione di un " Gruppo Misto di Lavoro " con il Consiglio Ecumenico
delle Chiese e, dal 1968, dei teologi cattolici entravano a far parte, come
membri a pieno titolo, del Dipartimento teologico di detto Consiglio, la Commissione
" Fede e Costituzione ". Il dialogo è stato ed è fecondo, ricco di promesse.
I temi suggeriti dal Decreto conciliare come materia di dialogo sono stati già
affrontati, o lo saranno a breve scadenza. La riflessione dei vari dialoghi
bilaterali, con una dedizione che merita l'elogio di tutta la comunità ecumenica,
si è concentrata su molte questioni controverse quali il Battesimo, l'Eucaristia,
il Ministero ordinato, la sacramentalità e l'autorità della Chiesa, la successione
apostolica. Si sono delineate così delle prospettive di soluzione insperate
e nel contempo si è compreso come fosse necessario scandagliare più profondamente
alcuni argomenti. 70. Tale ricerca difficile e delicata, che implica problemi
di fede e rispetto della propria coscienza e di quella dell'altro, è stata accompagnata
e sostenuta dalla preghiera della Chiesa cattolica e delle altre Chiese e Comunità
ecclesiali. La preghiera per l'unità, già così radicata e diffusa nel tessuto
connettivo ecclesiale, mostra che ai cristiani non sfugge l'importanza della
questione ecumenica. Proprio perché la ricerca della piena unità esige un confronto
di fede fra credenti che si riferiscono all'unico Signore, la preghiera è la
fonte dell'illuminazione sulla verità da accogliere tutta intera. Inoltre, attraverso
la preghiera, la ricerca dell'unità, lungi dall'essere confinata nell'ambito
di specialisti, si estende ad ogni battezzato. Tutti, indipendentemente dal
loro ruolo nella Chiesa e dalla loro formazione culturale, possono dare un contributo
attivo, in una dimensione misteriosa e profonda. Relazioni ecclesiali 71. Bisogna
rendere grazie alla Divina Provvidenza anche per tutti gli eventi che testimoniano
il progresso sulla via della ricerca dell'unità. Accanto al dialogo teologico
vanno opportunamente menzionate le altre forme d'incontro, la preghiera comune
e la collaborazione pratica. Papa Paolo VI ha dato un forte impulso a questo
processo con la sua visita alla sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese a
Ginevra, avvenuta il 10 giugno 1969, ed incontrando molte volte i rappresentanti
di varie Chiese e Comunità ecclesiali. Questi contatti contribuiscono efficacemente
a far migliorare la reciproca conoscenza e a far crescere la fraternità cristiana.
Papa Giovanni Paolo I, durante il suo tanto breve pontificato, espresse la volontà
di continuare il cammino.124 Il Signore ha concesso a me di operare in questa
direzione. Oltre agli importanti incontri ecumenici a Roma, una parte significativa
delle mie visite pastorali è regolarmente dedicata alla testimonianza a favore
dell'unità dei cristiani. Alcuni dei miei viaggi mostrano perfino una " priorità
" ecumenica, specie nei paesi in cui le comunità cattoliche costituiscono una
minoranza rispetto alle Comunioni del dopo Riforma; o dove queste ultime rappresentano
una considerevole porzione dei credenti in Cristo di una data società. 72. Ciò
vale soprattutto per i paesi europei, dove hanno avuto inizio queste divisioni,
e per l'America del Nord. In questo contesto, e senza voler sminuire le altre
visite, meritano speciale attenzione quelle che, nel continente europeo, mi
hanno condotto a due riprese in Germania, nel novembre del 1980 e nell'aprile-maggio
del 1987; la visita nel Regno Unito (Inghilterra, Scozia e Galles), nel maggio-giugno
del 1982; in Svizzera nel giugno del 1984; e nei Paesi scandinavi e nordici
(Finlandia, Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda), dove mi sono recato nel
giugno del 1989. Nella gioia, nel reciproco rispetto, nella solidarietà cristiana
e nella preghiera, ho incontrato tanti e tanti fratelli, tutti impegnati nella
ricerca della fedeltà al Vangelo. Constatare tutto questo è stato per me fonte
di grande incoraggiamento. Abbiamo sperimentato la presenza del Signore tra
di noi. Vorrei a questo riguardo richiamare un atteggiamento dettato da fraterna
carità ed improntato a profonda lucidità di fede che ho vissuto con intensa
partecipazione. Esso si riferisce alle celebrazioni eucaristiche che ho presieduto
in Finlandia ed in Svezia durante il mio viaggio nei Paesi scandinavi e nordici.
Al momento della comunione, i Vescovi luterani si sono presentati al celebrante.
Essi hanno voluto dimostrare con un gesto concordato il desiderio di giungere
al momento in cui noi, cattolici e luterani, potremo condividere la stessa Eucaristia,
e hanno voluto ricevere la benedizione del celebrante. Con amore, io li ho benedetti.
Lo stesso gesto, tanto ricco di significato è stato ripetuto a Roma, durante
la messa che ho presieduto in Piazza Farnese in occasione del VI centenario
della canonizzazione di santa Brigida, il 6 ottobre 1991. Ho incontrato analoghi
sentimenti anche oltre oceano, in Canada, nel settembre del 1984; e specie nel
settembre del 1987 negli Stati Uniti dove si avverte una grande apertura ecumenica.
È il caso, per fare un esempio, dell'incontro ecumenico a Columbia, in South
Carolina l'11 settembre 1987. È per sé importante il fatto stesso che avvengono
con regolarità questi incontri tra i fratelli del " dopo Riforma " ed il Papa.
Sono profondamente grato perché essi mi hanno accettato di buon grado, sia i
responsabili delle varie Comunità, che le Comunità nel loro insieme. Da questo
punto di vista, ritengo significativa la celebrazione ecumenica della Parola,
svoltasi a Columbia, ed avente come tema la famiglia. 73. È motivo, poi, di
grande gioia il constatare come nel periodo postconciliare e nelle singole Chiese
locali abbondino le iniziative e le azioni a favore dell'unità dei cristiani,
le quali estendono le loro coinvolgenti incidenze a livello delle Conferenze
episcopali, delle singole diocesi e comunità parrocchiali, come pure dei diversi
ambienti e movimenti ecclesiali. Collaborazioni realizzate 74. " Non chiunque
mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà
del Padre mio che è nei cieli " (Mt 7, 21). La coerenza e l'onestà delle intenzioni
e delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta.
Il Decreto conciliare sull'ecumenismo nota che negli altri cristiani " la fede
con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento per
i benefici ricevuti da Dio; si aggiunge il vivo sentimento della giustizia e
la sincera carità verso il prossimo ".125 Quello appena delineato è un terreno
fertile non soltanto per il dialogo, ma anche per un'attiva collaborazione:
la " fede operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare la miseria
spirituale e corporale, per coltivare l'educazione della gioventù, per render
più umane le condizioni sociali della vita, per ristabilire la pace universale
".126 La vita sociale e culturale offre ampi spazi di collaborazione ecumenica.
Sempre più spesso i cristiani si ritrovano insieme per difendere la dignità
umana, per promuovere il bene della pace, l'applicazione sociale del Vangelo,
per rendere presente lo spirito cristiano nelle scienze e nelle arti. Essi si
ritrovano sempre più insieme quando si tratta di venire incontro ai bisogni
e alle miserie del nostro tempo: la fame, le calamità, l'ingiustizia sociale.
75. Questa cooperazione, che trae ispirazione dallo stesso Vangelo, per i cristiani
non è mai una mera azione umanitaria. Essa ha la sua ragione d'essere nella
parola del Signore: " Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare " (Mt 25, 35).
Come ho già sottolineato, la cooperazione di tutti i cristiani manifesta chiaramente
quel grado di comunione che già esiste tra di loro.127 Di fronte al mondo, l'azione
congiunta dei cristiani nella società riveste allora il trasparente valore di
una testimonianza resa insieme al nome del Signore. Essa assume anche le dimensioni
di un annuncio perché rivela il volto di Cristo. Le divergenze dottrinali che
permangono esercitano un influsso negativo e pongono dei limiti anche alla collaborazione.
La comunione di fede già esistente tra i cristiani offre però una solida base
non soltanto alla loro azione congiunta in campo sociale, ma anche nell'ambito
religioso. Questa cooperazione faciliterà la ricerca dell'unità. Il Decreto
sull'ecumenismo notava che da essa " i credenti in Cristo possono facilmente
imparare come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri
e come si appiani la via verso l'unità dei cristiani ".128 76. Come non ricordare,
in questo contesto, l'interesse ecumenico per la pace che si esprime nella preghiera
e nell'azione con una crescente partecipazione dei cristiani ed una motivazione
teologica a mano a mano più profonda? Non potrebbe essere altrimenti. Non crediamo
forse noi in Gesù Cristo, Principe della pace? I cristiani sono sempre più compatti
nel rifiutare la violenza, ogni tipo di violenza, dalle guerre all'ingiustizia
sociale. Siamo chiamati ad un impegno sempre più attivo, perché appaia ancora
più chiaramente che le motivazioni religiose non sono la vera causa dei conflitti
in corso, anche se, purtroppo, non è scongiurato il rischio di strumentalizzazioni
a fini politici e polemici. Nel 1986, ad Assisi, durante la Giornata Mondiale
di preghiera per la pace, i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali
hanno invocato con una sola voce il Signore della storia per la pace nel mondo.
In quel giorno, in modo distinto ma parallelo, hanno pregato per la pace anche
gli Ebrei e i Rappresentanti delle religioni non cristiane, in una sintonia
di sentimenti che hanno fatto vibrare le corde più profonde dello spirito umano.
Né vorrei dimenticare la Giornata di preghiera per la pace in Europa specialmente
nei Balcani, che mi ha ricondotto pellegrino nella città di san Francesco il
9 e 10 gennaio 1993 e la Messa per la pace nei Balcani e in particolare nella
Bosnia-Erzegovina, che ho presieduto il 23 gennaio 1994 nella Basilica di San
Pietro e nel contesto della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.
Quando il nostro sguardo percorre il mondo, la gioia invade il nostro animo.
Constatiamo infatti che i cristiani si sentono sempre più interpellati dalla
questione della pace. Essi la considerano strettamente connessa con l'annuncio
del Vangelo e con l'avvento del Regno di Dio. III QUANTA EST NOBIS VIA? Continuare
ed intensificare il dialogo 77. Ora possiamo chiederci quanta strada ci separa
ancora dal quel giorno benedetto in cui sarà raggiunta la piena unità nella
fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristia del Signore.
La migliore conoscenza reciproca già realizzata tra di noi, le convergenze dottrinali
raggiunte, che hanno avuto come conseguenza una crescita affettiva ed effettiva
di comunione, non possono bastare alla coscienza dei cristiani che professano
la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il fine ultimo del movimento ecumenico
è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati. In vista
di questa mèta, tutti i risultati raggiunti sinora non sono che una tappa, anche
se promettente e positiva. 78. Nel movimento ecumenico, non è soltanto la Chiesa
cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a possedere questa esigente concezione
dell'unità voluta da Dio. La tendenza verso una tale unità è espressa anche
da altri.129 L'ecumenismo implica che le Comunità cristiane si aiutino a vicenda
affinché in esse sia veramente presente tutto il contenuto e tutte le esigenze
dell'" eredità tramandata dagli Apostoli ".130 Senza di ciò, la piena comunione
non sarà mai possibile. Questo vicendevole aiuto nella ricerca della verità
è una forma suprema della carità evangelica. La ricerca dell'unità si è espressa
nei vari documenti delle numerose Commissioni miste internazionali di dialogo.
In tali testi si tratta del Battesimo, dell'Eucaristia, del Ministero e dell'autorità
partendo da una certa unità fondamentale di dottrina. Da tale unità fondamentale,
ma parziale, si deve ora passare all'unità visibile necessaria e sufficiente,
che si iscriva nella realtà concreta, affinché le Chiese realizzino veramente
il segno di quella piena comunione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica
che si esprimerà nella concelebrazione eucaristica. Questo cammino verso l'unità
visibile necessaria e sufficiente, nella comunione dell'unica Chiesa voluta
da Cristo, esige ancora un lavoro paziente e coraggioso. Nel far ciò bisogna
non imporre altri obblighi all'infuori degli indispensabili (cfr At 15, 28).
79. Sin da ora è possibile individuare gli argomenti da approfondire per raggiungere
un vero consenso di fede: 1) le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità
in materia di fede e la sacra Tradizione, indispensabile interpretazione della
parola di Dio; 2) l'Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo,
offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo,
effusione santificatrice dello Spirito Santo; 3) l'Ordinazione, come sacramento,
al triplice ministero dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4)
il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con lui,
inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l'insegnamento e
la salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria, Madre di Dio e icona della
Chiesa, Madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l'umanità.
In questo coraggioso cammino verso l'unità, la lucidità e la prudenza della
fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme
della Chiesa.131 Inversamente, la stessa lucidità e la stessa prudenza ci raccomandano
di sfuggire la tiepidezza nell'impegno per l'unità ed ancor più l'opposizione
preconcetta, o il disfattismo che tende a vedere tutto al negativo. Mantenere
una visione dell'unità che tenga conto di tutte le esigenze della verità rivelata
non significa mettere un freno al movimento ecumenico.132 Al contrario significa
evitargli di accomodarsi in soluzioni apparenti, che non perverrebbero a nulla
di stabile e di solido.133 L'esigenza della verità deve andare fino in fondo.
E non è forse questa la legge del Vangelo? Ricezione dei risultati raggiunti
80. Mentre prosegue il dialogo su nuove tematiche o si sviluppa a livelli più
profondi, abbiamo un compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati sino
ad ora raggiunti. Essi non possono rimanere affermazioni delle Commissioni bilaterali,
ma debbono diventare patrimonio comune. Perché ciò avvenga e si rafforzino così
i legami di comunione, occorre un serio esame che, in modi, forme e competenze
diverse, deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme. Si tratta infatti
di questioni che spesso riguardano la fede ed esse esigono l'universale consenso,
che si estende dai Vescovi ai fedeli laici, i quali hanno tutti ricevuto l'unzione
dello Spirito Santo.134 È lo stesso Spirito che assiste il Magistero e suscita
il sensus fidei. Per recepire i risultati del dialogo occorre pertanto un ampio
ed accurato processo critico che li analizzi e ne verifichi con rigore la coerenza
con la Tradizione di fede ricevuta dagli Apostoli e vissuta nella comunità dei
credenti radunata attorno al Vescovo, suo legittimo Pastore. 81. Questo processo,
che si dovrà fare con prudenza e in atteggiamento di fede, sarà assistito dallo
Spirito Santo. Perché esso dia esito favorevole, è necessario che i suoi risultati
siano opportunamente divulgati da persone competenti. Di grande rilievo, a tal
fine, è il contributo che i teologi e le facoltà di teologia sono chiamati ad
offrire in adempimento al loro carisma nella Chiesa. È chiaro, inoltre, che
le commissioni ecumeniche hanno, a questo riguardo, responsabilità e compiti
del tutto singolari. L'intero processo è seguito ed aiutato dai Vescovi e dalla
Santa Sede. L'autorità docente ha la responsabilità di esprimere il giudizio
definitivo. In tutto questo, sarà di grande aiuto attenersi metodologicamente
alla distinzione fra il deposito della fede e la formulazione in cui esso è
espresso, come raccomandava Papa Giovanni XXIII nel discorso pronunciato in
apertura del Concilio Vaticano II.135 Continuare l'ecumenismo spirituale e testimoniare
la santità 82. Si comprende come la gravità dell'impegno ecumenico interpelli
in profondità i fedeli cattolici. Lo Spirito li invita ad un serio esame di
coscienza. La Chiesa cattolica deve entrare in quello che si potrebbe chiamare
" dialogo della conversione ", nel quale è posto il fondamento interiore del
dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si compie davanti a Dio, ciascuno deve
ricercare i propri torti, confessare le sue colpe, e rimettere se stesso nelle
mani di Colui che è l'Intercessore presso il Padre, Gesù Cristo. Certamente,
in questa relazione di conversione alla volontà del Padre e, al tempo stesso,
di penitenza e di fiducia assoluta nella potenza riconciliatrice della verità
che è Cristo, si trova la forza per condurre a buon fine il lungo ed arduo pellegrinaggio
ecumenico. Il " dialogo della conversione " di ogni comunità con il Padre, senza
indulgenze per se stessa, è il fondamento di relazioni fraterne che siano una
cosa diversa da una cordiale intesa o da una convivialità tutta esteriore. I
legami della koinonia fraterna vanno intrecciati davanti a Dio e in Cristo Gesù.
Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire una base solida a quella conversione
dei singoli cristiani e a quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione
anche umana e terrena,136 che sono le condizioni preliminari di ogni impegno
ecumenico. Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo
di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore,
in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni,
ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno
sulla Chiesa. 83. Ho parlato della volontà del Padre, dello spazio spirituale
in cui ogni comunità ascolta l'appello ad un superamento degli ostacoli all'unità.
Ebbene, tutte le Comunità cristiane sanno che una tale esigenza, un tale superamento,
per mezzo della forza che dà lo Spirito, non sono fuori della loro portata.
Tutte, infatti, hanno dei martiri della fede cristiana.137 Malgrado il dramma
della divisione, questi fratelli hanno conservato in se stessi un attaccamento
a Cristo e al Padre suo tanto radicale e assoluto da poter arrivare fino all'effusione
del sangue. Ma non è forse questo stesso attaccamento ad essere chiamato in
causa in ciò che ho qualificato come " dialogo della conversione "? Non è proprio
questo dialogo a sottolineare la necessità di andare fino in fondo all'esperienza
di verità per la piena comunione? 84. In una visione teocentrica, noi cristiani
già abbiamo unMartirologio comune. Esso comprende anche i martiri del nostro
secolo, più numerosi di quanto non si pensi, e mostra come, ad un livello profondo,
Dio mantenga fra i battezzati la comunione nell'esigenza suprema della fede,
manifestata col sacrificio della vita.138 Se si può morire per la fede, ciò
dimostra che si può raggiungere la mèta quando si tratta di altre forme della
stessa esigenza. Ho già constatato, e con gioia, come la comunione, imperfetta
ma reale, è mantenuta e cresce a molti livelli della vita ecclesiale. Ritengo
ora che essa sia già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l'apice della
vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia
con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini
coloro che un tempo erano lontani (cfr Ef 2, 13). Se per tutte le Comunità cristiane
i martiri sono la prova della potenza della grazia, essi non sono tuttavia i
soli a testimoniare di tale potenza. Sebbene in modo invisibile, la comunione
non ancora piena delle nostre comunità è in verità cementata saldamente nella
piena comunione dei santi, cioè di coloro che, alla conclusione di una esistenza
fedele alla grazia, sono nella comunione di Cristo glorioso. Questi santi vengono
da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l'ingresso nella
comunione della salvezza. Quando si parla di un patrimonio comune si devono
iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza,
le tradizioni che tutte le comunità hanno conservato e dalle quali esse sono
state plasmate, ma in primo luogo e innanzitutto questa realtà della santità.139
Nell'irradiazione che emana dal " patrimonio dei santi " appartenenti a tutte
le Comunità, il " dialogo della conversione " verso l'unità piena e visibile
appare allora sotto una luce di speranza. Questa presenza universale dei santi
dà, infatti, la prova della trascendenza della potenza dello Spirito. Essa è
segno e prova della vittoria di Dio sulle forze del male che dividono l'umanità.
Come cantano le liturgie, " incoronando i santi, Dio incorona i suoi propri
doni ".140 Laddove esiste la sincera volontà di seguire Cristo, spesso lo Spirito
sa effondere la sua grazia in sentieri diversi da quelli ordinari. L'esperienza
ecumenica ci ha permesso di comprenderlo meglio. Se, nello spazio spirituale
interiore che ho descritto, le Comunità sapranno veramente " convertirsi " alla
ricerca della comunione piena e visibile, Dio farà per esse ciò che ha fatto
per i loro santi. Egli saprà superare gli ostacoli ereditati dal passato e le
condurrà sulle sue vie dove egli vuole: alla koinonia visibile che è al tempo
stesso lode della sua gloria e servizio al suo disegno di salvezza. 85. Poiché
nella sua infinita misericordia, Dio può sempre trarre il bene anche dalle situazioni
che recano offesa al suo disegno, possiamo allora scoprire che lo Spirito ha
fatto sì che le opposizioni servissero in alcune circostanze ad esplicitare
aspetti della vocazione cristiana, come avviene nella vita dei santi. Malgrado
la frammentazione, che è un male da cui dobbiamo guarire, si è dunque realizzata
come una comunicazione della ricchezza della grazia che è destinata ad abbellire
la koinonia. La grazia di Dio sarà con tutti coloro che, seguendo l'esempio
dei santi, si impegnano ad assecondarne le esigenze. E noi, come possiamo esitare
a convertirci alle attese del Padre? Egli è con noi. Contributo della Chiesa
cattolica nella ricerca dell'unità dei cristiani 86. La Costituzione Lumen gentium
in una sua affermazione fondamentale che il Decreto Unitatis redintegratio riecheggia,141
scrive che l'unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica.142 Il Decreto
sull'ecumenismo sottolinea la presenza in essa della pienezza (plenitudo) degli
strumenti di salvezza.143 La piena unità si realizzerà quando tutti parteciperanno
alla pienezza dei mezzi di salvezza che Cristo ha affidato alla sua Chiesa.
87. Lungo il cammino che conduce verso la piena unità, il dialogo ecumenico
si adopera a suscitare un fraterno aiuto reciproco per mezzo del quale le Comunità
si applicano a darsi scambievolmente ciò di cui ciascuna ha bisogno per crescere
secondo il disegno di Dio verso la pienezza definitiva (cfr Ef 4, 11-13). Ho
detto come siamo consapevoli, in quanto Chiesa cattolica, di aver ricevuto molto
dalla testimonianza, dalla ricerca e finanche dalla maniera in cui sono stati
sottolineati e vissuti dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali certi beni cristiani
comuni. Tra i progressi compiuti durante gli ultimi trent'anni, bisogna attribuire
un posto di rilievo a tale fraterno influsso reciproco. Nella tappa alla quale
siamo pervenuti,144 tale dinamismo di mutuo arricchimento deve essere preso
seriamente in considerazione. Basato sulla comunione che già esiste grazie agli
elementi ecclesiali presenti nelle Comunità cristiane, esso non mancherà di
spingere verso la comunione piena e visibile, mèta sospirata del cammino che
stiamo compiendo. È la forma ecumenica della legge evangelica della condivisione.
Questo mi incita a ripetere: " Occorre dimostrare in ogni cosa la premura di
venire incontro a ciò che i nostri fratelli cristiani, legittimamente, desiderano
e si attendono da noi, conoscendo il loro modo di pensare e la loro sensibilità
[...]. Bisogna che i doni di ciascuno si sviluppino per l'utilità e a vantaggio
di tutti ".145 Il ministero d'unità del Vescovo di Roma 88. Tra tutte le Chiese
e Comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato
il ministero del Successore dell'apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio
ha costituito quale " perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità
",146 e che lo Spirito sostiene perché di questo essenziale bene renda partecipi
tutti gli altri. Secondo la bella espressione di Papa Gregorio Magno, il mio
ministero è quello di servus servorum Dei. Tale definizione salvaguarda nel
modo mi- gliore dal rischio di separare la potestà (ed in particolare il primato)
dal ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il significato di potestà
secondo il Vangelo: " Io sto in mezzo a voi come colui che serve " (Lc 22, 27),
dice il Signore nostro Gesù Cristo, Capo della Chiesa. D'altra parte, come ho
avuto modo di affermare nell'importante occasione dell'incontro al Consiglio
Ecumenico delle Chiese a Ginevra, il 12 giugno 1984, la convinzione della Chiesa
cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede
dei Padri, nel ministero del Vescovo di Roma, il segno visibile e il garante
dell'unità, costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani,
la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi. Per quello che ne siamo
responsabili, con il mio Predecessore Paolo VI imploro perdono.147 89. È tuttavia
significativo ed incoraggiante che la questione del primato del Vescovo di Roma
sia attualmente diventata oggetto di studio, immediato o in prospettiva, e significativo
ed incoraggiante è pure che tale questione sia presente quale tema essenziale
non soltanto nei dialoghi teologici che la Chiesa cattolica intrattiene con
le altre Chiese e Comunità ecclesiali, ma anche più generalmente nell'insieme
del movimento ecumenico. Recentemente, i partecipanti alla quinta assemblea
mondiale della Commissione " Fede e Costituzione " del Consiglio ecumenico delle
Chiese, tenutasi a Santiago de Compostela, hanno raccomandato che essa " dia
l'avvio ad un nuovo studio sulla questione di un ministero universale dell'unità
cristiana ".148 Dopo secoli di aspre polemiche, le altre Chiese e Comunità ecclesiali
sempre di più scrutano con uno sguardo nuovo tale ministero di unità.149 90.
Il Vescovo di Roma è il Vescovo della Chiesa che conserva l'impronta del martirio
di Pietro e di quello di Paolo: " Per un misterioso disegno della Provvidenza,
è a Roma che egli [Pietro] conclude il suo cammino al seguito di Gesù ed è a
Roma che dà questa massima prova d'amore e di fedeltà. A Roma, Paolo, l'apostolo
delle genti, dà anche lui la testimonianza suprema. La Chiesa di Roma diventava
così la Chiesa di Pietro e di Paolo ".150 Nel Nuovo Testamento, la persona di
Pietro ha un posto eminente. Nella prima parte degli Atti degli Apostoli, egli
appare come il capo ed il portavoce del collegio apostolico designato come "
Pietro [...] con gli altri Undici " (2,14; cfr anche 2, 37; 5, 29). Il posto
assegnato a Pietro è fondato sulle parole stesse di Cristo, così come esse sono
ricordate nelle tradizioni evangeliche. 91. Il Vangelo di Matteo delinea e precisa
la missione pastorale di Pietro nella Chiesa: " Beato te, Simone figlio di Giona,
perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta
nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le
chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato
nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli "
(16, 17-19). Luca evidenzia che Cristo raccomanda a Pietro di confermare i fratelli,
ma che allo stesso tempo gli fa conoscere la sua debolezza umana ed il suo bisogno
di conversione (cfr Lc 22, 31-32). È proprio come se, sullo sfondo dell'umana
debolezza di Pietro, si manifestasse pienamente che il suo particolare ministero
nella Chiesa proviene totalmente dalla grazia; è come se il Maestro si dedicasse
in modo speciale alla sua conversione per prepararlo al compito che si appresta
ad affidargli nella sua Chiesa e fosse molto esigente con lui. La stessa funzione
di Pietro, sempre legata ad una realistica affermazione della sua debolezza,
si ritrova nel quarto Vangelo: " Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?
[...] Pasci le mie pecorelle " (cfr Gv 21, 15-19). È inoltre significativo che
secondo la Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, il Cristo risorto appaia a Cefa
e quindi ai Dodici (cfr 15, 5). È importante rilevare come la debolezza di Pietro
e di Paolo manifesti che la Chiesa si fonda sulla infinita potenza della grazia
(cfr Mt 16, 17; 2 Cor 12, 7-10). Pietro, subito dopo la sua investitura, è redarguito
con rara severità da Cristo che gli dice: " Tu mi sei di scandalo " (Mt 16,
23). Come non vedere nella misericordia di cui Pietro ha bisogno una relazione
con il ministero di quella misericordia che egli sperimenta per primo? Ugualmente,
tre volte egli rinnegherà Gesù. Anche il Vangelo di Giovanni sottolinea che
Pietro riceve l'incarico di pascere il gregge in una triplice professione d'amore
(cfr 21, 15-17) che corrisponde al suo triplice tradimento (cfr 13, 38). Luca,
da parte sua, nella parola di Cristo già citata, alla quale aderirà la prima
tradizione nell'intento di delineare la missione di Pietro, insiste sul fatto
che questi dovrà " confermare i suoi fratelli una volta che si sarà ravveduto
" (cfr Lc 22, 32). 92. Quanto a Paolo, egli può concludere la descrizione del
suo ministero con la sconvolgente affermazione che gli è dato raccogliere dalle
labbra del Signore: " Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza ", e può esclamare quindi: " Quando sono debole,
è allora che sono forte " (2 Cor 12, 9-10). È questa una caratteristica fondamentale
dell'esperienza cristiana. Erede della missione di Pietro, nella Chiesa fecondata
dal sangue dei corifei degli Apostoli, il Vescovo di Roma esercita un ministero
che ha la sua origine nella multiforme misericordia di Dio, la quale converte
i cuori e infonde la forza della grazia laddove il discepolo conosce il gusto
amaro della sua debolezza e della sua miseria. L'autorità propria di questo
ministero è tutta per il servizio del disegno misericordioso di Dio e va sempre
vista in questa prospettiva. Il suo potere si spiega con essa. 93. Ricollegandosi
alla triplice professione d'amore di Pietro che corrisponde al triplice tradimento,
il suo successore sa di dover essere segno di misericordia. Il suo è un ministero
di misericordia nato da un atto di misericordia di Cristo. Tutta questa lezione
del Vangelo deve essere costantemente riletta, affinché l'esercizio del ministero
petrino nulla perda della sua autenticità e trasparenza. La Chiesa di Dio è
chiamata da Cristo a manifestare ad un mondo ripiegato nel groviglio delle sue
colpevolezze e dei suoi biechi propositi che, malgrado tutto, Dio può, nella
sua misericordia, convertire i cuori all'unità, facendoli accedere alla sua
propria comunione. 94. Tale servizio dell'unità, radicato nell'opera della misericordia
divina, è affidato, all'interno stesso del collegio dei Vescovi, ad uno di coloro
che hanno ricevuto dallo Spirito l'incarico, non di esercitare il potere sul
popolo - come fanno i capi delle nazioni e i grandi (cfr Mt 20, 25; Mc 10, 42)
-, ma di guidarlo perché possa dirigersi verso pascoli tranquilli. Questo incarico
può esigere di offrire la propria vita (cfr Gv 10, 11-18). Dopo aver mostrato
come Cristo sia " il solo Pastore, nell'unità del quale tutti sono uno ", sant'Agostino
esorta: " Che tutti i pastori siano dunque nel solo Pastore, che essi facciano
udire la voce unica del Pastore; che le pecore odano questa voce, seguano il
loro Pastore, cioè non questo o quello, ma il solo; che tutti in lui facciano
intendere una sola voce e non delle voci discordanti [...] la voce sgombra da
ogni divisione, purificata da ogni eresia, che le pecore ascoltano ".151 La
missione del Vescovo di Roma nel gruppo di tutti i Pastori consiste appunto
nel " vegliare " (episkopein) come una sentinella, in modo che, grazie ai Pastori,
si oda in tutte le Chiese particolari la vera voce di Cristo-Pastore. Così,
in ciascuna delle Chiese particolari loro affidate si realizza l'una, sancta,
catholica et apostolica Ecclesia. Tutte le Chiese sono in comunione piena e
visibile, perché tutti i Pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità
di Cristo. Con il potere e l'autorità senza i quali tale funzione sarebbe illusoria,
il Vescovo di Roma deve assicurare la comunione di tutte le Chiese. A questo
titolo, egli è il primo tra i servitori dell'unità. Tale primato si esercita
a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola,
sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina
e sulla vita cristiana. Spetta al Successore di Pietro di ricordare le esigenze
del bene comune della Chiesa, se qualcuno fosse tentato di dimenticarlo in funzione
dei propri interessi. Egli ha il dovere di avvertire, mettere in guardia, dichiarare
a volte inconciliabile con l'unità di fede questa o quella opinione che si diffonde.
Quando le circostanze lo esigono, egli parla a nome di tutti i Pastori in comunione
con lui. Egli può anche - in condizioni ben precise, chiarite dal Concilio Vaticano
I - dichiarare ex cathedra che una dottrina appartiene al deposito della fede.152
Testimoniando così della verità, egli serve l'unità. 95. Tutto questo si deve
però compiere sempre nella comunione. Quando la Chiesa cattolica afferma che
la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa
questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi "
vicari e delegati di Cristo ".153 Il Vescovo di Roma appartiene al loro " collegio
" ed essi sono i suoi fratelli nel ministero. Ciò che riguarda l'unità di tutte
le Comunità cristiane rientra ovviamente nell'ambito delle preoccupazioni del
primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera
enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le Comunità, nelle quali
in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di
Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare,
soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle
Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma
di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale
della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani
erano uniti " dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale,
intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro
dissensi circa la fede o la disciplina ".154 In tal modo il primato esercitava
la sua funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios
I, ho detto di essere consapevole che " per delle ragioni molto diverse, e contro
la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha potuto
manifestarsi sotto una luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il desiderio
di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come
Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo ci doni
la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché
possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero
possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri ".155
96. Compito immane, che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine
da solo. La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non
potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con
me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci
al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo
per la sua Chiesa, lasciandoci trafiggere dal suo grido " siano anch'essi una
cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato " (Gv 17, 21)? La comunione
di tutte le Chiese particolari con la Chiesa di Roma: condizione necessaria
per l'unità 97. La Chiesa cattolica, sia nella sua praxis che nei testi ufficiali,
sostiene che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e
dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale - nel disegno
di Dio - della comunione piena e visibile. Bisogna, infatti, che la piena comunione,
di cui l'Eucaristia è la suprema manifestazione sacramentale, abbia la sua espressione
visibile in un ministero nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo
e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede. La prima parte degli
Atti degli Apostoli presenta Pietro come colui che parla a nome del gruppo apostolico
e serve l'unità della comunità - e ciò nel rispetto dell'autorità di Giacomo,
capo della Chiesa di Gerusalemme. Questa funzione di Pietro deve restare nella
Chiesa affinché, sotto il suo solo Capo, che è Cristo Gesù, essa sia visibilmente
nel mondo la comunione di tutti i suoi discepoli. Non è forse un ministero di
questo tipo di cui molti di coloro che sono impegnati nell'ecumenismo esprimono
oggi il bisogno? Presiedere nella verità e nell'amore affinché la barca - il
bel simbolo che il Consiglio ecumenico delle Chiese ha scelto come emblema -
non sia squassata dalle tempeste e possa un giorno approdare alla sua riva.
Piena unità ed evangelizzazione 98. Il movimento ecumenico del nostro secolo,
più delle imprese ecumeniche dei secoli scorsi, di cui tuttavia non va sottovalutata
l'importanza, è stato contraddistinto da una prospettiva missionaria. Nel versetto
giovanneo che serve da ispirazione e da motivo conduttore - " siano anch'essi
in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato " (Gv 17,
21) - è stato sottolineato perché il mondo creda con tanto vigore da correre
il rischio di dimenticare a volte che, nel pensiero dell'evangelista, l'unità
è, soprattutto, per la gloria del Padre. È evidente, comunque, che la divisione
dei cristiani è in contraddizione con la Verità che essi hanno la missione di
diffondere, e dunque essa ferisce gravemente la loro testimonianza. L'aveva
ben compreso ed affermato il mio Predecessore, Papa Paolo VI, nella sua Esortazione
apostolica Evangelii nuntiandi: " In quanto evangelizzatori, noi dobbiamo offrire
ai fedeli di Cristo l'immagine non di uomini divisi da litigi che non edificano
affatto, ma di persone mature nella fede, capaci di ritrovarsi insieme al di
sopra delle tensioni concrete, grazie alla ricerca comune, sincera e disinteressata
della verità. Sì, la sorte dell'evangelizzazione è certamente legata alla testimonianza
di unità della Chiesa [...]. A questo punto vogliamo sottolineare il segno dell'unità
tra tutti i cristiani come via e strumento di evangelizzazione. La divisione
dei cristiani è un grave stato di fatto che perviene ad intaccare la stessa
opera di Cristo ".156 Come, infatti, annunciare il Vangelo della riconciliazione,
senza al contempo impegnarsi ad operare per la riconciliazione dei cristiani?
Se è vero che la Chiesa, per impulso dello Spirito Santo e con la promessa dell'indefettibilità,
ha predicato e predica il Vangelo a tutte le nazioni, è anche vero che essa
deve affrontare le difficoltà derivanti dalle divisioni. Messi di fronte a missionari
in disaccordo fra loro, sebbene essi si richiamino tutti a Cristo, sapranno
gli increduli accogliere il vero messaggio? Non penseranno che il Vangelo sia
fattore di divisione, anche se esso è presentato come la legge fondamentale
della carità? 99. Quando affermo che per me, Vescovo di Roma, l'impegno ecumenico
è " una delle priorità pastorali " del mio pontificato,157 il mio pensiero va
al grave ostacolo che la divisione costituisce per l'annuncio del Vangelo. Una
Comunità cristiana che crede a Cristo e desidera, con l'ardore del Vangelo,
la salvezza dell'umanità, in nessun modo può chiudersi all'appello dello Spirito
che orienta tutti i cristiani verso l'unità piena e visibile. Si tratta di uno
degli imperativi della carità che va accolto senza compromessi. L'ecumenismo
non è soltanto una questione interna delle Comunità cristiane. Esso riguarda
l'amore che Dio destina in Gesù Cristo all'insieme dell'umanità, e ostacolare
questo amore è una offesa a Lui e al suo disegno di radunare tutti in Cristo.
Papa Paolo VI scriveva al Patriarca ecumenico Athenagoras I: " Possa lo Spirito
Santo guidarci sulla via della riconciliazione, affinché l'unità delle nostre
Chiese diventi un segno sempre più luminoso di speranza e di conforto per l'umanità
tutta ".158 ESORTAZIONE 100. Rivolgendomi recentemente ai Vescovi, al clero
e ai fedeli della Chiesa cattolica per indicare la via da seguire verso la celebrazione
del Grande Giubileo dell'Anno Duemila, ho tra l'altro affermato che " la migliore
preparazione alla scadenza bimillenaria non potrà che esprimersi nel rinnovato
impegno di applicazione, per quanto possibile fedele, dell'insegnamento del
Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa ".159 Il Concilio è il
grande inizio - come l'Avvento -, di quell'itinerario che ci conduce alle soglie
del Terzo Millennio. Considerando l'importanza che l'Assise conciliare ha attribuito
all'opera di ricomposizione dell'unità dei cristiani, in questa nostra epoca
di grazia ecumenica, mi è sembrato necessario ribadire le fondamentali convinzioni
che il Concilio ha scolpito nella coscienza della Chiesa cattolica, ricordandole
alla luce dei progressi nel frattempo compiuti verso la piena comunione di tutti
i battezzati. Non vi è dubbio che lo Spirito Santo agisca in quest'opera e che
stia conducendo la Chiesa verso la piena realizzazione del disegno del Padre,
in conformità alla volontà di Cristo, espressa con tanto accorato vigore nella
preghiera che, secondo il quarto Vangelo, le sue labbra pronunciano nel momento
in cui Egli s'avvia verso il dramma salvifico della sua Pasqua. Così come allora,
anche oggi Cristo chiede che uno slancio nuovo ravvivi l'impegno di ciascuno
per la comunione piena e visibile. 101. Esorto, dunque, i miei Fratelli nell'episcopato
a porre ogni attenzione a tale impegno. I due Codici di Diritto Canonico annoverano
tra le responsabilità del Vescovo quella di promuovere l'unità di tutti i cristiani,
sostenendo ogni azione o iniziativa intesa a promuoverla nella consapevolezza
che la Chiesa è tenuta a ciò per volontà stessa di Cristo.160 Ciò fa parte della
missione episcopale ed è un obbligo che deriva direttamente dalla fedeltà a
Cristo, Pastore della Chiesa. Tutti i fedeli, però, sono invitati dallo Spirito
di Dio a fare il possibile, perché si rinsaldino i legami di comunione tra tutti
i cristiani e cresca la collaborazione dei discepoli di Cristo: " La cura di
ristabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e
tocca ognuno secondo la propria capacità ".161 102. La potenza dello Spirito
di Dio fa crescere ed edifica la Chiesa attraverso i secoli. Volgendo lo sguardo
al nuovo millennio, la Chiesa domanda allo Spirito la grazia di rafforzare la
sua propria unità e di farla crescere verso la piena comunione con gli altri
cristiani. Come ottenerlo? In primo luogo con la preghiera. La preghiera dovrebbe
sempre farsi carico di quell'inquietudine che è anelito verso l'unità, e perciò
una delle forme necessarie dell'amore che nutriamo per Cristo e per il Padre
ricco di misericordia. La preghiera deve avere la priorità in questo cammino
che intraprendiamo con gli altri cristiani verso il nuovo millennio. Come ottenerlo?
Con l'azione di grazie, perché non ci presentiamo a mani vuote a questo appuntamento:
" Anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza [...] e intercede con
insistenza per noi, con gemiti inesprimibili " (Rm 8, 26), per disporci a chiedere
a Dio quello di cui abbiamo bisogno. Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito,
che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della
separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere
i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico. E
se volessimo chiederci se tutto ciò è possibile, la risposta sarebbe sempre:
sì. La stessa risposta udita da Maria di Nazaret, perché nulla è impossibile
a Dio. Mi tornano alla mente le alle parole con le quali san Cipriano commenta
il Padre Nostro, la preghiera di tutti i cristiani: " Dio non accoglie il sacrificio
di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall'altare e di riconciliarsi
prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace
e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace
e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall'unità del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo ".162 All'alba del nuovo millennio, come non sollecitare
dal Signore, con rinnovato slancio e più matura consapevolezza, la grazia di
predisporci, tutti, a questo sacrificio dell'unità? 103. Io, Giovanni Paolo,
umile servus servorum Dei, mi permetto di fare mie le parole dell'apostolo Paolo,
il cui martirio, unito a quello dell'apostolo Pietro, ha conferito a questa
sede di Roma lo splendore della sua testimonianza, e dico a voi, fedeli della
Chiesa cattolica, e a voi, fratelli e sorelle delle altre Chiese e Comunità
ecclesiali, " tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli
stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con
voi [...]. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione
dello Spirito Santo siano con tutti voi " (2 Cor 13, 11.13). Dato a Roma, presso
San Pietro, il 25 maggio, solennità dell'Ascensione del Signore, dell'anno 1995,
decimosettimo di Pontificato.