INTRODUZIONE
1. Il Vangelo della vita
sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno
con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella
agli uomini di ogni epoca e cultura.
All'aurora della salvezza, è la nascita di un bambino che viene proclamata
come lieta notizia: " Vi annunzio una grande gioia, che sarà di
tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore,
che è il Cristo Signore " (Lc 2, 10-11). A sprigionare questa "
grande gioia " è certamente la nascita del Salvatore; ma nel Natale
è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica
appare così fondamento e compimento della gioia per ogni bimbo che nasce
(cf. Gv 16, 21).
Presentando il nucleo centrale della sua missione redentrice, Gesù dice:
" Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza
" (Gv 10, 10). In verità, Egli si riferisce a quella vita "
nuova " ed " eterna ", che consiste nella comunione con il Padre,
a cui ogni uomo è gratuitamente chiamato nel Figlio per opera dello Spirito
Santificatore. Ma proprio in tale " vita " acquistano pieno significato
tutti gli aspetti e i momenti della vita dell'uomo.
Il valore incomparabile della persona umana
2. L'uomo è chiamato
a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena,
poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.
L'altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità
della vita umana anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti,
è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell'intero
e unitario processo dell'esistenza umana. Un processo che, inaspettatamente
e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della
vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell'eternità
(cf. 1 Gv 3, 1-2). Nello stesso tempo, proprio questa chiamata soprannaturale
sottolinea la relatività della vita terrena dell'uomo e della donna.
Essa, in verità, non è realtà " ultima ", ma
" penultima "; è comunque realtà sacra che ci viene
affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la
portiamo a perfezione nell'amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli.
La Chiesa sa che questo Vangelo della vita, consegnatole dal suo Signore,1 ha
un'eco profonda e persuasiva nel cuore di ogni persona, credente e anche non
credente, perché esso, mentre ne supera infinitamente le attese, vi corrisponde
in modo sorprendente. Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente
aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il
segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge
naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana
dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere
umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento
di tale diritto si fonda l'umana convivenza e la stessa comunità politica.
Questo diritto devono, in modo particolare, difendere e promuovere i credenti
in Cristo, consapevoli della meravigliosa verità ricordata dal Concilio
Vaticano II: " Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo ad ogni uomo ".2 In questo evento di salvezza, infatti, si rivela
all'umanità non solo l'amore sconfinato di Dio che " ha tanto amato
il mondo da dare il suo Figlio unigenito " (Gv 3, 16), ma anche il valore
incomparabile di ogni persona umana.
E la Chiesa, scrutando assiduamente il mistero della Redenzione, coglie questo
valore con sempre rinnovato stupore 3 e si sente chiamata ad annunciare agli
uomini di tutti i tempi questo " vangelo ", fonte di speranza invincibile
e di gioia vera per ogni epoca della storia. Il Vangelo dell'amore di Dio per
l'uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita
sono un unico e indivisibile Vangelo.
È per questo che l'uomo, l'uomo vivente, costituisce la prima e fondamentale
via della Chiesa.4
Le nuove minacce alla vita umana
3. Ciascun uomo, proprio
a motivo del mistero del Verbo di Dio che si è fatto carne (cf. Gv 1,
14), è affidato alla sollecitudine materna della Chiesa. Perciò
ogni minaccia alla dignità e alla vita dell'uomo non può non ripercuotersi
nel cuore stesso della Chiesa, non può non toccarla al centro della propria
fede nell'incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non può non coinvolgerla
nella sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad
ogni creatura (cf. Mc 16, 15).
Oggi questo annuncio si fa particolarmente urgente per l'impressionante moltiplicarsi
ed acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto
quando essa è debole e indifesa. Alle antiche dolorose piaghe della miseria,
della fame, delle malattie endemiche, della violenza e delle guerre, se ne aggiungono
altre, dalle modalità inedite e dalle dimensioni inquietanti.
Già il Concilio Vaticano II, in una pagina di drammatica attualità,
ha deplorato con forza molteplici delitti e attentati contro la vita umana.
A trent'anni di distanza, facendo mie le parole dell'assise conciliare, ancora
una volta e con identica forza li deploro a nome della Chiesa intera, con la
certezza di interpretare il sentimento autentico di ogni coscienza retta: "
Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio,
il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò
che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture
inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito;
tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane
di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù,
la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose
condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti
di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e
altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà
umana, inquinano coloro che così si comportano ancor più che non
quelli che le subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore ".5
4. Purtroppo, questo inquietante
panorama, lungi dal restringersi, si va piuttosto dilatando: con le nuove prospettive
aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati
alla dignità dell'essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova
situazione culturale, che dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito
e - se possibile - ancora più iniquo suscitando ulteriori gravi preoccupazioni:
larghi strati dell'opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita
in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto,
ne pretendono non solo l'impunità, ma persino l'autorizzazione da parte
dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l'intervento
gratuito delle strutture sanitarie.
Ora, tutto questo provoca un cambiamento profondo nel modo di considerare la
vita e le relazioni tra gli uomini. Il fatto che le legislazioni di molti Paesi,
magari allontanandosi dagli stessi principi basilari delle loro Costituzioni,
abbiano acconsentito a non punire o addirittura a riconoscere la piena legittimità
di tali pratiche contro la vita è insieme sintomo preoccupante e causa
non marginale di un grave crollo morale: scelte un tempo unanimemente considerate
come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a poco a poco
socialmente rispettabili. La stessa medicina, che per sua vocazione è
ordinata alla difesa e alla cura della vita umana, in alcuni suoi settori si
presta sempre più largamente a realizzare questi atti contro la persona
e in tal modo deforma il suo volto, contraddice sé stessa e avvilisce
la dignità di quanti la esercitano. In un simile contesto culturale e
legale, anche i gravi problemi demografici, sociali o familiari, che pesano
su numerosi popoli del mondo ed esigono un'attenzione responsabile ed operosa
delle comunità nazionali e di quelle internazionali, si trovano esposti
a soluzioni false e illusorie, in contrasto con la verità e il bene delle
persone e delle Nazioni.
L'esito al quale si perviene è drammatico: se è quanto mai grave
e inquietante il fenomeno dell'eliminazione di tante vite umane nascenti o sulla
via del tramonto, non meno grave e inquietante è il fatto che la stessa
coscienza, quasi ottenebrata da così vasti condizionamenti, fatica sempre
più a percepire la distinzione tra il bene e il male in ciò che
tocca lo stesso fondamentale valore della vita umana.
In comunione con tutti i Vescovi del mondo
5. Al problema delle minacce
alla vita umana nel nostro tempo è stato dedicato il Concistoro straordinario
dei Cardinali, svoltosi a Roma dal 4 al 7 aprile 1991. Dopo un'ampia e approfondita
discussione del problema e delle sfide poste all'intera famiglia umana e, in
particolare, alla comunità cristiana, i Cardinali, con voto unanime,
mi hanno chiesto di riaffermare con l'autorità del Successore di Pietro
il valore della vita umana e la sua inviolabilità, in riferimento alle
attuali circostanze ed agli attentati che oggi la minacciano.
Accogliendo tale richiesta, ho scritto nella Pentecoste del 1991 una lettera
personale a ciascun Confratello perché, nello spirito della collegialità
episcopale, mi offrisse la sua collaborazione in vista della stesura di uno
specifico documento.6 Sono profondamente grato a tutti i Vescovi che hanno risposto,
fornendomi preziose informazioni, suggerimenti e proposte. Essi hanno testimoniato
anche così la loro unanime e convinta partecipazione alla missione dottrinale
e pastorale della Chiesa circa il Vangelo della vita.
Nella medesima lettera, a pochi giorni dalla celebrazione del centenario dell'Enciclica
Rerum novarum, attiravo l'attenzione di tutti su questa singolare analogia:
" Come un secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era
la classe operaia, e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando
i sacrosanti diritti della persona del lavoratore, così ora, quando un'altra
categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la
Chiesa sente di dover dare voce con immutato coraggio a chi non ha voce. Il
suo è sempre il grido evangelico in difesa dei poveri del mondo, di quanti
sono minacciati, disprezzati e oppressi nei loro diritti umani ".7
Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande
moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i
bambini non ancora nati. Se alla Chiesa, sul finire del secolo scorso, non era
consentito tacere davanti alle ingiustizie allora operanti, meno ancora essa
può tacere oggi, quando alle ingiustizie sociali del passato, purtroppo
non ancora superate, in tante parti del mondo si aggiungono ingiustizie ed oppressioni
anche più gravi, magari scambiate per elementi di progresso in vista
dell'organizzazione di un nuovo ordine mondiale.
La presente Enciclica, frutto della collaborazione dell'Episcopato di ogni Paese
del mondo, vuole essere dunque una riaffermazione precisa e ferma del valore
della vita umana e della sua inviolabilità, ed insieme un appassionato
appello rivolto a tutti e a ciascuno, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama
e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia,
sviluppo, libertà vera, pace e felicità!
Giungano queste parole a tutti i figli e le figlie della Chiesa! Giungano a
tutte le persone di buona volontà, sollecite del bene di ogni uomo e
donna e del destino dell'intera società!
6. In profonda comunione
con ogni fratello e sorella nella fede e animato da sincera amicizia per tutti,
voglio rimeditare e annunciare il Vangelo della vita, splendore di verità
che illumina le coscienze, limpida luce che risana lo sguardo ottenebrato, fonte
inesauribile di costanza e coraggio per affrontare le sempre nuove sfide che
incontriamo sul nostro cammino.
E mentre ripenso alla ricca esperienza vissuta durante l'Anno della Famiglia,
quasi completando idealmente la Lettera da me indirizzata " ad ogni famiglia
concreta di qualunque regione della terra ",8 guardo con rinnovata fiducia
a tutte le comunità domestiche ed auspico che rinasca o si rafforzi ad
ogni livello l'impegno di tutti a sostenere la famiglia, perché anche
oggi - pur in mezzo a numerose difficoltà e a pesanti minacce - essa
si conservi sempre, secondo il disegno di Dio, come " santuario della vita
".9
A tutti i membri della Chiesa, popolo della vita e per la vita, rivolgo il più
pressante invito perché, insieme, possiamo dare a questo nostro mondo
nuovi segni di speranza, operando affinché crescano giustizia e solidarietà
e si affermi una nuova cultura della vita umana, per l'edificazione di un'autentica
civiltà della verità e dell'amore.
CAPITOLO I
LA VOCE DEL SANGUE DI TUO
FRATELLO
GRIDA A ME DAL SUOLO
LE ATTUALI MINACCE ALLA VITA UMANA
" Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise " (Gn 4, 8): alla radice della violenza contro la vita.
7. " Dio non ha creato
la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto
per l'esistenza... Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità;
lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo
per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono "
(Sap 1, 13-14; 2, 23-24).
Il Vangelo della vita, risuonato al principio con la creazione dell'uomo a immagine
di Dio per un destino di vita piena e perfetta (cf. Gn 2, 7; Sap 9, 2-3), viene
contraddetto dall'esperienza lacerante della morte che entra nel mondo e getta
l'ombra del non senso sull'intera esistenza dell'uomo.
La morte vi entra a causa dell'invidia del diavolo (cf. Gn 3, 1.4-5) e del peccato
dei progenitori (cf. Gn 2, 17; 3, 17-19). E vi entra in modo violento, attraverso
l'uccisione di Abele da parte del fratello Caino: " Mentre erano in campagna,
Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise " (Gn 4,
8).
Questa prima uccisione è presentata con una singolare eloquenza in una
pagina paradigmatica del libro della Genesi: una pagina ritrascritta ogni giorno,
senza sosta e con avvilente ripetizione, nel libro della storia dei popoli.
Vogliamo rileggere insieme questa pagina biblica, che, pur nella sua arcaicità
ed estrema semplicità, si presenta quanto mai ricca di insegnamenti.
" Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. Dopo un certo
tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele
offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì
Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta.
Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora
a Caino: "Perché sei irritato e perché è abbattuto
il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci
bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è
la sua bramosia, ma tu dominala".
Caino disse al fratello Abele: "Andiamo in campagna!". Mentre erano
in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.
Allora il Signore disse a Caino: "Dov'è Abele, tuo fratello?".
Egli rispose: "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?".
Riprese: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me
dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano
ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti
darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra".
Disse Caino al Signore: "Troppo grande è la mia colpa per sopportarla!
Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano
da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà
mi potrà uccidere".
Ma il Signore gli disse: "Però chiunque ucciderà Caino subirà
la vendetta sette volte!". Il Signore impose a Caino un segno, perché
non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato. Caino si allontanò dal
Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden " (Gn 4, 2-16).
8. Caino è "
molto irritato " e ha il volto " abbattuto " perché "
il Signore gradì Abele e la sua offerta " (Gn 4, 4). Il testo biblico
non rivela il motivo per cui Dio preferisce il sacrificio di Abele a quello
di Caino; indica però con chiarezza che, pur preferendo il dono di Abele,
non interrompe il suo dialogo con Caino. Lo ammonisce ricordandogli la sua libertà
di fronte al male: l'uomo non è per nulla un predestinato al male. Certo,
come già Adamo, egli è tentato dalla potenza malefica del peccato
che, come bestia feroce, è appostata alla porta del suo cuore, in attesa
di avventarsi sulla preda. Ma Caino rimane libero di fronte al peccato. Lo può
e lo deve dominare: " Verso di te è la sua bramosia, ma tu dominala!
" (Gn 4, 7).
Sull'ammonimento del Signore hanno il sopravvento la gelosia e l'ira, e così
Caino s'avventa sul proprio fratello e lo uccide. Come leggiamo nel Catechismo
della Chiesa Cattolica, " la Scrittura, nel racconto dell'uccisione di
Abele da parte del fratello Caino, rivela, fin dagli inizi della storia umana,
la presenza nell'uomo della collera e della cupidigia, conseguenze del peccato
originale. L'uomo è diventato il nemico del suo simile ".10
Il fratello uccide il fratello. Come nel primo fratricidio, in ogni omicidio
viene violata la parentela " spirituale ", che accomuna gli uomini
in un'unica grande famiglia,11 essendo tutti partecipi dello stesso bene fondamentale:
l'uguale dignità personale. Non poche volte viene violata anche la parentela
" della carne e del sangue ", ad esempio quando le minacce alla vita
si sviluppano nel rapporto tra genitori e figli, come avviene con l'aborto o
quando, nel più vasto contesto familiare o parentale, viene favorita
o procurata l'eutanasia.
Alla radice di ogni violenza contro il prossimo c'è un cedimento alla
" logica " del maligno, cioè di colui che " è stato
omicida fin da principio " (Gv 8, 44), come ci ricorda l'apostolo Giovanni:
" Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio:
che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal maligno e uccise
il suo fratello " (1 Gv 3, 11-12). Così l'uccisione del fratello,
fin dagli albori della storia, è la triste testimonianza di come il male
progredisca con rapidità impressionante: alla rivolta dell'uomo contro
Dio nel paradiso terrestre si accompagna la lotta mortale dell'uomo contro l'uomo.
Dopo il delitto, Dio interviene a vendicare l'ucciso. Di fronte a Dio, che lo
interroga sulla sorte di Abele, Caino, anziché mostrarsi impacciato e
scusarsi, elude la domanda con arroganza: " Non lo so. Sono forse il guardiano
di mio fratello? " (Gn 4, 9). " Non lo so ": con la menzogna
Caino cerca di coprire il delitto. Così è spesso avvenuto e avviene
quando le più diverse ideologie servono a giustificare e a mascherare
i più atroci delitti verso la persona. " Sono forse io il guardiano
di mio fratello? ": Caino non vuole pensare al fratello e rifiuta di vivere
quella responsabilità che ogni uomo ha verso l'altro. Viene spontaneo
pensare alle odierne tendenze di deresponsabilizzazione dell'uomo verso il suo
simile, di cui sono sintomi, tra l'altro, il venir meno della solidarietà
verso i membri più deboli della società - quali gli anziani, gli
ammalati, gli immigrati, i bambini - e l'indifferenza che spesso si registra
nei rapporti tra i popoli anche quando sono in gioco valori fondamentali come
la sussistenza, la libertà e la pace.
9. Ma Dio non può
lasciare impunito il delitto: dal suolo su cui è stato versato, il sangue
dell'ucciso esige che Egli faccia giustizia (cf. Gn 37, 26; Is 26, 21; Ez 24,
7-8). Da questo testo la Chiesa ha ricavato la denominazione di " peccati
che gridano vendetta al cospetto di Dio " e vi ha incluso, anzitutto, l'omicidio
volontario.12 Per gli ebrei, come per molti popoli dell'antichità, il
sangue è la sede della vita, anzi " il sangue è la vita "
(Dt 12, 23) e la vita, specie quella umana, appartiene solo a Dio: per questo
chi attenta alla vita dell'uomo, in qualche modo attenta a Dio stesso.
Caino è maledetto da Dio e anche dalla terra, che gli rifiuterà
i suoi frutti (cf. Gn 4, 11-12). Ed èpunito: abiterà nella steppa
e nel deserto. La violenza omicida cambia profondamente l'ambiente di vita dell'uomo.
La terra da " giardino di Eden " (Gn 2, 15), luogo di abbondanza,
di serene relazioni interpersonali e di amicizia con Dio, diventa " paese
di Nod " (Gn 4, 16), luogo della " miseria ", della solitudine
e della lontananza da Dio. Caino sarà " ramingo e fuggiasco sulla
terra " (Gn 4, 14): incertezza e instabilità lo accompagneranno
sempre.
Dio, tuttavia, sempre misericordioso anche quando punisce, " impose a Caino
un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato "
(Gn 4, 15): gli dà, dunque, un contrassegno, che ha lo scopo non di condannarlo
all'esecrazione degli altri uomini, ma di proteggerlo e difenderlo da quanti
vorranno ucciderlo fosse anche per vendicare la morte di Abele. Neppure l'omicida
perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante. Ed è
proprio qui che si manifesta il paradossale mistero della misericordiosa giustizia
di Dio, come scrive sant'Ambrogio: " Poiché era stato commesso un
fratricidio, cioè il più grande dei crimini, nel momento in cui
si introdusse il peccato, subito dovette essere estesa la legge della misericordia
divina; perché, se il castigo avesse colpito immediatamente il colpevole,
non accadesse che gli uomini, nel punire, non usassero alcuna tolleranza né
mitezza, ma consegnassero immediatamente al castigo i colpevoli. (...) Dio respinse
Caino dal suo cospetto e, rinnegato dai suoi genitori, lo relegò come
nell'esilio di una abitazione separata, per il fatto che era passato dall'umana
mitezza alla ferocia belluina. Tuttavia Dio non volle punire l'omicida con un
omicidio, poiché vuole il pentimento del peccatore più che la
sua morte ".13
" Che hai fatto? " (Gn 4, 10): l'eclissi del valore della vita
10. Il Signore disse a
Caino: " Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal
suolo! " (Gn 4, 10). La voce del sangue versato dagli uomini non cessa
di gridare, di generazione in generazione, assumendo toni e accenti diversi
e sempre nuovi.
La domanda del Signore " Che hai fatto? ", alla quale Caino non può
sfuggire, è rivolta anche all'uomo contemporaneo perché prenda
coscienza dell'ampiezza e della gravità degli attentati alla vita da
cui continua ad essere segnata la storia dell'umanità; vada alla ricerca
delle molteplici cause che li generano e li alimentano; rifletta con estrema
serietà sulle conseguenze che derivano da questi stessi attentati per
l'esistenza delle persone e dei popoli.
Alcune minacce provengono dalla natura stessa, ma sono aggravate dall'incuria
colpevole e dalla negligenza degli uomini che non raramente potrebbero porvi
rimedio; altre invece sono il frutto di situazioni di violenza, di odi, di contrapposti
interessi, che inducono gli uomini ad aggredire altri uomini con omicidi, guerre,
stragi, genocidi.
E come non pensare alla violenza che si fa alla vita di milioni di esseri umani,
specialmente bambini, costretti alla miseria, alla sottonutrizione e alla fame,
a causa di una iniqua distribuzione delle ricchezze tra i popoli e le classi
sociali? o alla violenza insita, prima ancora che nelle guerre, in uno scandaloso
commercio delle armi, che favorisce la spirale dei tanti conflitti armati che
insanguinano il mondo? o alla seminagione di morte che si opera con l'inconsulto
dissesto degli equilibri ecologici, con la criminale diffusione della droga
o col favorire modelli di esercizio della sessualità che, oltre ad essere
moralmente inaccettabili, sono anche forieri di gravi rischi per la vita? È
impossibile registrare in modo completo la vasta gamma delle minacce alla vita
umana, tante sono le forme, aperte o subdole, che esse rivestono nel nostro
tempo!
11. Ma la nostra attenzione
intende concentrarsi, in particolare, su un altro genere di attentati, concernenti
la vita nascente e terminale, che presentano caratteri nuovi rispetto al passato
e sollevano problemi di singolare gravità per il fatto che tendono a
perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di " delitto " e
ad assumere paradossalmente quello del " diritto ", al punto che se
ne pretende un vero e proprio riconoscimento legale da parte dello Stato e la
successiva esecuzione mediante l'intervento gratuito degli stessi operatori
sanitari. Tali attentati colpiscono la vita umana in situazioni di massima precarietà,
quando è priva di ogni capacità di difesa. Ancora più grave
è il fatto che essi, in larga parte, sono consumati proprio all'interno
e ad opera di quella famiglia che costitutivamente è invece chiamata
ad essere " santuario della vita ".
Come s'è potuta determinare una simile situazione? Occorre prendere in
considerazione molteplici fattori. Sullo sfondo c'è una profonda crisi
della cultura, che ingenera scetticismo sui fondamenti stessi del sapere e dell'etica
e rende sempre più difficile cogliere con chiarezza il senso dell'uomo,
dei suoi diritti e dei suoi doveri. A ciò si aggiungono le più
diverse difficoltà esistenziali e relazionali, aggravate dalla realtà
di una società complessa, in cui le persone, le coppie, le famiglie rimangono
spesso sole con i loro problemi. Non mancano situazioni di particolare povertà,
angustia o esasperazione, in cui la fatica della sopravvivenza, il dolore ai
limiti della sopportabilità, le violenze subite, specialmente quelle
che investono le donne, rendono le scelte di difesa e di promozione della vita
esigenti a volte fino all'eroismo.
Tutto ciò spiega, almeno in parte, come il valore della vita possa oggi
subire una specie di " eclissi ", per quanto la coscienza non cessi
di additarlo quale valore sacro e intangibile, come dimostra il fatto stesso
che si tende a coprire alcuni delitti contro la vita nascente o terminale con
locuzioni di tipo sanitario, che distolgono lo sguardo dal fatto che è
in gioco il diritto all'esistenza di una concreta persona umana.
12. In realtà, se
molti e gravi aspetti dell'odierna problematica sociale possono in qualche modo
spiegare il clima di diffusa incertezza morale e talvolta attenuare nei singoli
la responsabilità soggettiva, non è meno vero che siamo di fronte
a una realtà più vasta, che si può considerare come una
vera e propria struttura di peccato, caratterizzata dall'imporsi di una cultura
anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera " cultura
di morte ". Essa è attivamente promossa da forti correnti culturali,
economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società.
Guardando le cose da tale punto di vista, si può, in certo senso, parlare
di una guerra dei potenti contro i deboli: la vita che richiederebbe più
accoglienza, amore e cura è ritenuta inutile, o è considerata
come un peso insopportabile e, quindi, è rifiutata in molte maniere.
Chi, con la sua malattia, con il suo handicap o, molto più semplicemente,
con la stessa sua presenza mette in discussione il benessere o le abitudini
di vita di quanti sono più avvantaggiati, tende ad essere visto come
un nemico da cui difendersi o da eliminare. Si scatena così una specie
di " congiura contro la vita ". Essa non coinvolge solo le singole
persone nei loro rapporti individuali, familiari o di gruppo, ma va ben oltre,
sino ad intaccare e stravolgere, a livello mondiale, i rapporti tra i popoli
e gli Stati.
13. Per facilitare la diffusione
dell'aborto, si sono investite e si continuano ad investire somme ingenti destinate
alla messa a punto di preparati farmaceutici, che rendono possibile l'uccisione
del feto nel grembo materno, senza la necessità di ricorrere all'aiuto
del medico. La stessa ricerca scientifica, su questo punto, sembra quasi esclusivamente
preoccupata di ottenere prodotti sempre più semplici ed efficaci contro
la vita e, nello stesso tempo, tali da sottrarre l'aborto ad ogni forma di controllo
e responsabilità sociale.
Si afferma frequentemente che la contraccezione, resa sicura e accessibile a
tutti, è il rimedio più efficace contro l'aborto. Si accusa poi
la Chiesa cattolica di favorire di fatto l'aborto perché continua ostinatamente
a insegnare l'illiceità morale della contraccezione.
L'obiezione, a ben guardare, si rivela speciosa. Può essere, infatti,
che molti ricorrano ai contraccettivi anche nell'intento di evitare successivamente
la tentazione dell'aborto. Ma i disvalori insiti nella " mentalità
contraccettiva " - ben diversa dall'esercizio responsabile della paternità
e maternità, attuato nel rispetto della piena verità dell'atto
coniugale - sono tali da rendere più forte proprio questa tentazione,
di fronte all'eventuale concepimento di una vita non desiderata. Di fatto la
cultura abortista è particolarmente sviluppata proprio in ambienti che
rifiutano l'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione. Certo, contraccezione
ed aborto, dal punto di vista morale, sono mali specificamente diversi: l'una
contraddice all'integra verità dell'atto sessuale come espressione propria
dell'amore coniugale, l'altro distrugge la vita di un essere umano; la prima
si oppone alla virtù della castità matrimoniale, il secondo si
oppone alla virtù della giustizia e viola direttamente il precetto divino
" non uccidere ".
Ma pur con questa diversa natura e peso morale, essi sono molto spesso in intima
relazione, come frutti di una medesima pianta. È vero che non mancano
casi in cui alla contraccezione e allo stesso aborto si giunge sotto la spinta
di molteplici difficoltà esistenziali, che tuttavia non possono mai esonerare
dallo sforzo di osservare pienamente la Legge di Dio. Ma in moltissimi altri
casi tali pratiche affondano le radici in una mentalità edonistica e
deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto
egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi
della propria personalità. La vita che potrebbe scaturire dall'incontro
sessuale diventa così il nemico da evitare assolutamente e l'aborto l'unica
possibile risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita.
Purtroppo la stretta connessione che, a livello di mentalità, intercorre
tra la pratica della contraccezione e quella dell'aborto emerge sempre di più
e lo dimostra in modo allarmante anche la messa a punto di preparati chimici,
di dispositivi intrauterini e di vaccini che, distribuiti con la stessa facilità
dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stadi
di sviluppo della vita del nuovo essere umano.
14. Anche le varie tecniche
di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e
che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono
la porta a nuovi attentati contro la vita. Al di là del fatto che esse
sono moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la procreazione dal
contesto integralmente umano dell'atto coniugale,14 queste tecniche registrano
alte percentuali di insuccesso: esso riguarda non tanto la fecondazione, quanto
il successivo sviluppo dell'embrione, esposto al rischio di morte entro tempi
in genere brevissimi. Inoltre, vengono prodotti talvolta embrioni in numero
superiore a quello necessario per l'impianto nel grembo della donna e questi
cosiddetti " embrioni soprannumerari " vengono poi soppressi o utilizzati
per ricerche che, con il pretesto del progresso scientifico o medico, in realtà
riducono la vita umana a semplice " materiale biologico" di cui poter
liberamente disporre.
Le diagnosi pre-natali, che non presentano difficoltà morali se fatte
per individuare eventuali cure necessarie al bambino non ancora nato, diventano
troppo spesso occasione per proporre e procurare l'aborto. È l'aborto
eugenetico, la cui legittimazione nell'opinione pubblica nasce da una mentalità
- a torto ritenuta coerente con le esigenze della " terapeuticità
" - che accoglie la vita solo a certe condizioni e che rifiuta il limite,
l'handicap, l'infermità.
Seguendo questa stessa logica, si è giunti a negare le cure ordinarie
più elementari, e perfino l'alimentazione, a bambini nati con gravi handicap
o malattie. Lo scenario contemporaneo, inoltre, si fa ancora più sconcertante
a motivo delle proposte, avanzate qua e là, di legittimare, nella stessa
linea del diritto all'aborto, persino l'infanticidio, ritornando così
ad uno stadio di barbarie che si sperava di aver superato per sempre.
15. Minacce non meno gravi
incombono pure sui malati inguaribili e sui morenti, in un contesto sociale
e culturale che, rendendo più difficile affrontare e sopportare la sofferenza,
acuisce la tentazione di risolvere il problema del soffrire eliminandolo alla
radice con l'anticipare la morte al momento ritenuto più opportuno.
In tale scelta confluiscono spesso elementi di diverso segno, purtroppo convergenti
a questo terribile esito. Può essere decisivo, nel soggetto malato, il
senso di angoscia, di esasperazione, persino di disperazione, provocato da un'esperienza
di dolore intenso e prolungato. Ciò mette a dura prova gli equilibri
a volte già instabili della vita personale e familiare, sicché,
da una parte, il malato, nonostante gli aiuti sempre più efficaci dell'assistenza
medica e sociale, rischia di sentirsi schiacciato dalla propria fragilità;
dall'altra, in coloro che gli sono effettivamente legati, può operare
un senso di comprensibile anche se malintesa pietà. Tutto ciò
è aggravato da un'atmosfera culturale che non coglie nella sofferenza
alcun significato o valore, anzi la considera il male per eccellenza, da eliminare
ad ogni costo; il che avviene specialmente quando non si ha una visione religiosa
che aiuti a decifrare positivamente il mistero del dolore.
Ma nell'orizzonte culturale complessivo non manca di incidere anche una sorta
di atteggiamento prometeico dell'uomo che, in tal modo, si illude di potersi
impadronire della vita e della morte perché decide di esse, mentre in
realtà viene sconfitto e schiacciato da una morte irrimediabilmente chiusa
ad ogni prospettiva di senso e ad ogni speranza. Riscontriamo una tragica espressione
di tutto ciò nella diffusione dell'eutanasia, mascherata e strisciante
o attuata apertamente e persino legalizzata. Essa, oltre che per una presunta
pietà di fronte al dolore del paziente, viene talora giustificata con
una ragione utilitaristica, volta ad evitare spese improduttive troppo gravose
per la società. Si propone così la soppressione dei neonati malformati,
degli handicappati gravi, degli inabili, degli anziani, soprattutto se non autosufficienti,
e dei malati terminali. Né ci è lecito tacere di fronte ad altre
forme più subdole, ma non meno gravi e reali, di eutanasia. Esse, ad
esempio, potrebbero verificarsi quando, per aumentare la disponibilità
di organi da trapiantare, si procedesse all'espianto degli stessi organi senza
rispettare i criteri oggettivi ed adeguati di accertamento della morte del donatore.
16. Un altro fenomeno attuale,
al quale si accompagnano frequentemente minacce e attentati alla vita, è
quello demografico. Esso si presenta in modo differente nelle diverse parti
del mondo: nei Paesi ricchi e sviluppati si registra un preoccupante calo o
crollo delle nascite; i Paesi poveri, invece, presentano in genere un tasso
elevato di aumento della popolazione, difficilmente sopportabile in un contesto
di minore sviluppo economico e sociale, o addirittura di grave sottosviluppo.
Di fronte alla sovrapopolazione dei Paesi poveri mancano, a livello internazionale,
interventi globali - serie politiche familiari e sociali, programmi di crescita
culturale e di giusta produzione e distribuzione delle risorse - mentre si continua
a mettere in atto politiche antinataliste.
Contraccezione, sterilizzazione e aborto vanno certamente annoverati tra le
cause che contribuiscono a determinare le situazioni di forte denatalità.
Può essere facile la tentazione di ricorrere agli stessi metodi e attentati
contro la vita anche nelle situazioni di " esplosione demografica ".
L'antico faraone, sentendo come un incubo la presenza e il moltiplicarsi dei
figli di Israele, li sottopose ad ogni forma di oppressione e ordinò
che venisse fatto morire ogni neonato maschio delle donne ebree (cf. Es 1, 7-22).
Allo stesso modo si comportano oggi non pochi potenti della terra.
Essi pure avvertono come un incubo lo sviluppo demografico in atto e temono
che i popoli più prolifici e più poveri rappresentino una minaccia
per il benessere e la tranquillità dei loro Paesi. Di conseguenza, piuttosto
che voler affrontare e risolvere questi gravi problemi nel rispetto della dignità
delle persone e delle famiglie e dell'inviolabile diritto alla vita di ogni
uomo, preferiscono promuovere e imporre con qualsiasi mezzo una massiccia pianificazione
delle nascite. Gli stessi aiuti economici, che sarebbero disposti a dare, vengono
ingiustamente condizionati all'accettazione di una politica antinatalista.
17. L'umanità di
oggi ci offre uno spettacolo davvero allarmante, se pensiamo non solo ai diversi
ambiti nei quali si sviluppano gli attentati alla vita, ma anche alla loro singolare
proporzione numerica, nonché al molteplice e potente sostegno che viene
loro dato dall'ampio consenso sociale, dal frequente riconoscimento legale,
dal coinvolgimento di parte del personale sanitario.
Come ebbi a dire con forza a Denver, in occasione dell'VIII Giornata Mondiale
della Gioventù, " con il tempo, le minacce contro la vita non vengono
meno. Esse, al contrario, assumono dimensioni enormi. Non si tratta soltanto
di minacce provenienti dall'esterno, di forze della natura o dei "Caino"
che assassinano gli "Abele"; no, si tratta di minacce programmate
in maniera scientifica e sistematica. Il ventesimo secolo verrà considerato
un'epoca di attacchi massicci contro la vita, un'interminabile serie di guerre
e un massacro permanente di vite umane innocenti. I falsi profeti e i falsi
maestri hanno conosciuto il maggior successo possibile ".15 Al di là
delle intenzioni, che possono essere varie e magari assumere forme suadenti
persino in nome della solidarietà, siamo in realtà di fronte a
una oggettiva " congiura contro la vita " che vede implicate anche
Istituzioni internazionali, impegnate a incoraggiare e programmare vere e proprie
campagne per diffondere la contraccezione, la sterilizzazione e l'aborto. Non
si può, infine, negare che i mass media sono spesso complici di questa
congiura, accreditando nell'opinione pubblica quella cultura che presenta il
ricorso alla contraccezione, alla sterilizzazione, all'aborto e alla stessa
eutanasia come segno di progresso e conquista di libertà, mentre dipinge
come nemiche della libertà e del progresso le posizioni incondizionatamente
a favore della vita.
" Sono forse il guardiano di mio fratello? " (Gn 4, 9): un'idea perversa
di libertà
18. Il panorama descritto
chiede di essere conosciuto non soltanto nei fenomeni di morte che lo caratterizzano,
ma anche nelle molteplici cause che lo determinano. La domanda del Signore "
Che hai fatto? " (Gn 4, 10) sembra essere quasi un invito rivolto a Caino
ad andare oltre la materialità del suo gesto omicida, per coglierne tutta
la gravità nelle motivazioni che ne sono all'origine e nelle conseguenze
che ne derivano.
Le scelte contro la vita nascono, talvolta, da situazioni difficili o addirittura
drammatiche di profonda sofferenza, di solitudine, di totale mancanza di prospettive
economiche, di depressione e di angoscia per il futuro. Tali circostanze possono
attenuare anche notevolmente la responsabilità soggettiva e la conseguente
colpevolezza di quanti compiono queste scelte in sé criminose. Tuttavia
oggi il problema va ben al di là del pur doveroso riconoscimento di queste
situazioni personali. Esso si pone anche sul piano culturale, sociale e politico,
dove presenta il suo aspetto più sovversivo e conturbante nella tendenza,
sempre più largamente condivisa, a interpretare i menzionati delitti
contro la vita come legittime espressioni della libertà individuale,
da riconoscere e proteggere come veri e propri diritti.
In questo modo giunge ad una svolta dalle tragiche conseguenze un lungo processo
storico, che dopo aver scoperto l'idea dei " diritti umani " - come
diritti inerenti a ogni persona e precedenti ogni Costituzione e legislazione
degli Stati - incorre oggi in una sorprendente contraddizione: proprio in un'epoca
in cui si proclamano solennemente i diritti inviolabili della persona e si afferma
pubblicamente il valore della vita, lo stesso diritto alla vita viene praticamente
negato e conculcato, in particolare nei momenti più emblematici dell'esistenza,
quali sono il nascere e il morire.
Da un lato, le varie dichiarazioni dei diritti dell'uomo e le molteplici iniziative
che ad esse si ispirano dicono l'affermarsi a livello mondiale di una sensibilità
morale più attenta a riconoscere il valore e la dignità di ogni
essere umano in quanto tale, senza alcuna distinzione di razza, nazionalità,
religione, opinione politica, ceto sociale.
Dall'altro lato, a queste nobili proclamazioni si contrappone purtroppo, nei
fatti, una loro tragica negazione. Questa è ancora più sconcertante,
anzi più scandalosa, proprio perché si realizza in una società
che fa dell'affermazione e della tutela dei diritti umani il suo obiettivo principale
e insieme il suo vanto. Come mettere d'accordo queste ripetute affermazioni
di principio con il continuo moltiplicarsi e la diffusa legittimazione degli
attentati alla vita umana? Come conciliare queste dichiarazioni col rifiuto
del più debole, del più bisognoso, dell'anziano, dell'appena concepito?
Questi attentati vanno in direzione esattamente contraria al rispetto della
vita e rappresentano una minaccia frontale a tutta la cultura dei diritti dell'uomo.
È una minaccia capace, al limite, di mettere a repentaglio lo stesso
significato della convivenza democratica: da società di " con- viventi
", le nostre città rischiano di diventare società di esclusi,
di emarginati, di rimossi e soppressi. Se poi lo sguardo si allarga ad un orizzonte
planetario, come non pensare che la stessa affermazione dei diritti delle persone
e dei popoli, quale avviene in alti consessi internazionali, si riduce a sterile
esercizio retorico, se non si smaschera l'egoismo dei Paesi ricchi che chiudono
l'accesso allo sviluppo dei Paesi poveri o lo condizionano ad assurdi divieti
di procreazione, contrapponendo lo sviluppo all'uomo? Non occorre forse mettere
in discussione gli stessi modelli economici, adottati sovente dagli Stati anche
per spinte e condizionamenti di carattere internazionale, che generano ed alimentano
situazioni di ingiustizia e violenza nelle quali la vita umana di intere popolazioni
viene avvilita e conculcata?
19. Dove stanno le radici
di una contraddizione tanto paradossale?
Le possiamo riscontrare in complessive valutazioni di ordine culturale e morale,
a iniziare da quella mentalità che, esasperando e persino deformando
il concetto di soggettività, riconosce come titolare di diritti solo
chi si presenta con piena o almeno incipiente autonomia ed esce da condizioni
di totale dipendenza dagli altri. Ma come conciliare tale impostazione con l'esaltazione
dell'uomo quale essere " indisponibile "? La teoria dei diritti umani
si fonda proprio sulla considerazione del fatto che l'uomo, diversamente dagli
animali e dalle cose, non può essere sottomesso al dominio di nessuno.
Si deve pure accennare a quella logica che tende a identificare la dignità
personale con la capacità di comunicazione verbale ed esplicita e, in
ogni caso, sperimentabile. È chiaro che, con tali presupposti, non c'è
spazio nel mondo per chi, come il nascituro o il morente, è un soggetto
strutturalmente debole, sembra totalmente assoggettato alla mercé di
altre persone e da loro radicalmente dipendente e sa comunicare solo mediante
il muto linguaggio di una profonda simbiosi di affetti. È, quindi, la
forza a farsi criterio di scelta e di azione nei rapporti interpersonali e nella
convivenza sociale. Ma questo è l'esatto contrario di quanto ha voluto
storicamente affermare lo Stato di diritto, come comunità nella quale
alle " ragioni della forza " si sostituisce la " forza della
ragione ".
Ad un altro livello, le radici della contraddizione che intercorre tra la solenne
affermazione dei diritti dell'uomo e la loro tragica negazione nella pratica
risiedono in una concezione della libertà che esalta in modo assoluto
il singolo individuo, e non lo dispone alla solidarietà, alla piena accoglienza
e al servizio dell'altro. Se è vero che talvolta la soppressione della
vita nascente o terminale si colora anche di un malinteso senso di altruismo
e di umana pietà, non si può negare che una tale cultura di morte,
nel suo insieme, tradisce una concezione della libertà del tutto individualistica
che finisce per essere la libertà dei " più forti "
contro i deboli destinati a soccombere.
Proprio in questo senso si può interpretare la risposta di Caino alla
domanda del Signore " Dov'è Abele, tuo fratello? ": "
Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello? " (Gn 4, 9). Sì,
ogni uomo è " guardiano di suo fratello ", perché Dio
affida l'uomo all'uomo. Ed è anche in vista di tale affidamento che Dio
dona a ogni uomo la libertà, che possiede un'essenziale dimensione relazionale.
Essa è grande dono del Creatore, posta com'è al servizio della
persona e della sua realizzazione mediante il dono di sé e l'accoglienza
dell'altro; quando invece viene assolutizzata in chiave individualistica, la
libertà è svuotata del suo contenuto originario ed è contraddetta
nella sua stessa vocazione e dignità.
C'è un aspetto ancora più profondo da sottolineare: la libertà
rinnega sé stessa, si autodistrugge e si dispone all'eliminazione dell'altro
quando non riconosce e non rispetta più il suo costitutivo legame con
la verità. Ogni volta che la libertà, volendo emanciparsi da qualsiasi
tradizione e autorità, si chiude persino alle evidenze primarie di una
verità oggettiva e comune, fondamento della vita personale e sociale,
la persona finisce con l'assumere come unico e indiscutibile riferimento per
le proprie scelte non più la verità sul bene e sul male, ma solo
la sua soggettiva e mutevole opinione o, addirittura, il suo egoistico interesse
e il suo capriccio.
20. In questa concezione
della libertà, la convivenza sociale viene profondamente deformata. Se
la promozione del proprio io è intesa in termini di autonomia assoluta,
inevitabilmente si giunge alla negazione dell'altro, sentito come un nemico
da cui difendersi. In questo modo la società diventa un insieme di individui
posti l'uno accanto all'altro, ma senza legami reciproci: ciascuno vuole affermarsi
indipendentemente dall'altro, anzi vuol far prevalere i suoi interessi. Tuttavia,
di fronte ad analoghi interessi dell'altro, ci si deve arrendere a cercare qualche
forma di compromesso, se si vuole che nella società sia garantito a ciascuno
il massimo di libertà possibile. Viene meno così ogni riferimento
a valori comuni e a una verità assoluta per tutti: la vita sociale si
avventura nelle sabbie mobili di un relativismo totale. Allora tutto è
convenzionabile, tutto è negoziabile: anche il primo dei diritti fondamentali,
quello alla vita.
È quanto di fatto accade anche in ambito più propriamente politico
e statale: l'originario e inalienabile diritto alla vita è messo in discussione
o negato sulla base di un voto parlamentare o della volontà di una parte
- sia pure maggioritaria - della popolazione. È l'esito nefasto di un
relativismo che regna incontrastato: il " diritto " cessa di essere
tale, perché non è più solidamente fondato sull'inviolabile
dignità della persona, ma viene assoggettato alla volontà del
più forte. In questo modo la democrazia, ad onta delle sue regole, cammina
sulla strada di un sostanziale totalitarismo. Lo Stato non è più
la " casa comune " dove tutti possono vivere secondo principi di uguaglianza
sostanziale, ma si trasforma in Stato tiranno, che presume di poter disporre
della vita dei più deboli e indifesi, dal bambino non ancora nato al
vecchio, in nome di una utilità pubblica che non è altro, in realtà,
che l'interesse di alcuni.
Tutto sembra avvenire nel più saldo rispetto della legalità, almeno
quando le leggi che permettono l'aborto o l'eutanasia vengono votate secondo
le cosiddette regole democratiche. In verità, siamo di fronte solo a
una tragica parvenza di legalità e l'ideale democratico, che è
davvero tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana,
è tradito nelle sue stesse basi: " Come è possibile parlare
ancora di dignità di ogni persona umana, quando si permette che si uccida
la più debole e la più innocente? In nome di quale giustizia si
opera fra le persone la più ingiusta delle discriminazioni, dichiarandone
alcune degne di essere difese, mentre ad altre questa dignità è
negata? ".16 Quando si verificano queste condizioni si sono già
innescati quei dinamismi che portano alla dissoluzione di un'autentica convivenza
umana e alla disgregazione della stessa realtà statuale.
Rivendicare il diritto all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia e riconoscerlo
legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato
perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri.
Ma questa è la morte della vera libertà: " In verità,
in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del
peccato " (Gv 8, 34).
" Mi dovrò nascondere lontano da te " (Gn 4, 14): l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo
21. Nel ricercare le radici
più profonde della lotta tra la " cultura della vita " e la
" cultura della morte ", non ci si può fermare all'idea perversa
di libertà sopra ricordata. Occorre giungere al cuore del dramma vissuto
dall'uomo contemporaneo:l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, tipica del contesto
sociale e culturale dominato dal secolarismo, che coi suoi tentacoli pervasivi
non manca talvolta di mettere alla prova le stesse comunità cristiane.
Chi si lascia contagiare da questa atmosfera, entra facilmente nel vortice di
un terribile circolo vizioso: smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire
anche il senso dell'uomo, della sua dignità e della sua vita; a sua volta,
la sistematica violazione della legge morale, specie nella grave materia del
rispetto della vita umana e della sua dignità, produce una sorta di progressivo
oscuramento della capacità di percepire la presenza vivificante e salvante
di Dio.
Ancora una volta possiamo ispirarci al racconto dell'uccisione di Abele da parte
del fratello. Dopo la maledizione inflittagli da Dio, Caino così si rivolge
al Signore: " Troppo grande è la mia colpa per sopportarla! Ecco,
tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da
te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà
mi potrà uccidere " (Gn 4, 13-14).
Caino ritiene che il suo peccato non potrà ottenere perdono dal Signore
e che il suo destino inevitabile sarà di doversi " nascondere lontano
" da lui. Se Caino riesce a confessare che la sua colpa è "
troppo grande ", è perché egli sa di trovarsi di fronte a
Dio e al suo giusto giudizio. In realtà, solo davanti al Signore l'uomo
può riconoscere il suo peccato e percepirne tutta la gravità.
È questa l'esperienza di Davide, che dopo " aver fatto male agli
occhi del Signore ", rimproverato dal profeta Natan (cf. 2 Sam 11-12),
esclama: " Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi,
io l'ho fatto " (Sal 511, 5-6).
22. Per questo, quando
viene meno il senso di Dio, anche il senso dell'uomo viene minacciato e inquinato,
come lapidariamente afferma il Concilio Vaticano II: " La creatura senza
il Creatore svanisce... Anzi, l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa
".17 L'uomo non riesce più a percepirsi come " misteriosamente
altro " rispetto alle diverse creature terrene; egli si considera come
uno dei tanti esseri viventi, come un organismo che, tutt'al più, ha
raggiunto uno stadio molto elevato di perfezione. Chiuso nel ristretto orizzonte
della sua fisicità, si riduce in qualche modo a " una cosa "
e non coglie più il carattere " trascendente " del suo "
esistere come uomo ". Non considera più la vita come uno splendido
dono di Dio, una realtà " sacra " affidata alla sua responsabilità
e quindi alla sua amorevole custodia, alla sua " venerazione ". Essa
diventa semplicemente " una cosa ", che egli rivendica come sua esclusiva
proprietà, totalmente dominabile e manipolabile.
Così, di fronte alla vita che nasce e alla vita che muore, non è
più capace di lasciarsi interrogare sul senso più autentico della
sua esistenza, assumendo con vera libertà questi momenti cruciali del
proprio " essere ". Egli si preoccupa solo del " fare "
e, ricorrendo ad ogni forma di tecnologia, si affanna a programmare, controllare
e dominare la nascita e la morte. Queste, da esperienze originarie che chiedono
di essere " vissute ", diventano cose che si pretende semplicemente
di " possedere " o di " rifiutare ".
Del resto, una volta escluso il riferimento a Dio, non sorprende che il senso
di tutte le cose ne esca profondamente deformato, e la stessa natura, non più
" mater ", sia ridotta a " materiale " aperto a tutte le
manipolazioni. A ciò sembra condurre una certa razionalità tecnico-scientifica,
dominante nella cultura contemporanea, che nega l'idea stessa di una verità
del creato da riconoscere o di un disegno di Dio sulla vita da rispettare. E
ciò non è meno vero, quando l'angoscia per gli esiti di tale "
libertà senza legge " induce alcuni all'opposta istanza di una "
legge senza libertà ", come avviene, ad esempio, in ideologie che
contestano la legittimità di qualunque intervento sulla natura, quasi
in nome di una sua " divinizzazione ", che ancora una volta ne misconosce
la dipendenza dal disegno del Creatore. In realtà, vivendo " come
se Dio non esistesse ", l'uomo smarrisce non solo il mistero di Dio, ma
anche quello del mondo e il mistero del suo stesso essere.
23. L'eclissi del senso
di Dio e dell'uomo conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale
proliferano l'individualismo, l'utilitarismo e l'edonismo. Si manifesta anche
qui la perenne validità di quanto scrive l'Apostolo: " Poiché
hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa
d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è
indegno " (Rm 1, 28). Così i valori dell'essere sono sostituiti
da quelli dell'avere.
L'unico fine che conta è il perseguimento del proprio benessere materiale.
La cosiddetta " qualità della vita " è interpretata
in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo disordinato,
bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più
profonde - relazionali, spirituali e religiose - dell'esistenza.
In un simile contesto la sofferenza, inevitabile peso dell'esistenza umana ma
anche fattore di possibile crescita personale, viene " censurata ",
respinta come inutile, anzi combattuta come male da evitare sempre e comunque.
Quando non la si può superare e la prospettiva di un benessere almeno
futuro svanisce, allora pare che la vita abbia perso ogni significato e cresce
nell'uomo la tentazione di rivendicare il diritto alla sua soppressione.
Sempre nel medesimo orizzonte culturale, il corpo non viene più percepito
come realtà tipicamente personale, segno e luogo della relazione con
gli altri, con Dio e con il mondo. Esso è ridotto a pura materialità:
è semplice complesso di organi, funzioni ed energie da usare secondo
criteri di mera godibilità ed efficienza. Conseguentemente, anche la
sessualità è depersonalizzata e strumentalizzata: da segno, luogo
e linguaggio dell'amore, ossia del dono di sé e dell'accoglienza dell'altro
secondo l'intera ricchezza della persona, diventa sempre più occasione
e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei
propri desideri e istinti. Così si deforma e falsifica il contenuto originario
della sessualità umana e i due significati, unitivo e procreativo, insiti
nella natura stessa dell'atto coniugale, vengono artificialmente separati: in
questo modo l'unione è tradita e la fecondità è sottomessa
all'arbitrio dell'uomo e della donna. La procreazione allora diventa il "
nemico " da evitare nell'esercizio della sessualità: se viene accettata,
è solo perché esprime il proprio desiderio, o addirittura la propria
volontà, di avere il figlio " ad ogni costo " e non, invece,
perché dice totale accoglienza dell'altro e, quindi, apertura alla ricchezza
di vita di cui il figlio è portatore.
Nella prospettiva materialistica fin qui descritta, le relazioni interpersonali
conoscono un grave impoverimento. I primi a subirne i danni sono la donna, il
bambino, il malato o sofferente, l'anziano. Il criterio proprio della dignità
personale - quello cioè del rispetto, della gratuità e del servizio
- viene sostituito dal criterio dell'efficienza, della funzionalità e
dell'utilità: l'altro è apprezzato non per quello che " è
", ma per quello che " ha, fa e rende ". È la supremazia
del più forte sul più debole.
24. È nell'intimo
della coscienza morale che l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, con tutte
le sue molteplici e funeste conseguenze sulla vita, si consuma. È in
questione, anzitutto, la coscienza di ciascuna persona, che nella sua unicità
e irripetibilità si trova sola di fronte a Dio.18 Ma è pure in
questione, in un certo senso, la " coscienza morale " della società:
essa è in qualche modo responsabile non solo perché tollera o
favorisce comportamenti contrari alla vita, ma anche perché alimenta
la " cultura della morte ", giungendo a creare e a consolidare vere
e proprie " strutture di peccato " contro la vita. La coscienza morale,
sia individuale che sociale, è oggi sottoposta, anche per l'influsso
invadente di molti strumenti della comunicazione sociale, a un pericolo gravissimo
e mortale: quello della confusione tra il bene e il male in riferimento allo
stesso fondamentale diritto alla vita. Tanta parte dell'attuale società
si rivela tristemente simile a quell'umanità che Paolo descrive nella
Lettera ai Romani. È fatta " di uomini che soffocano la verità
nell'ingiustizia " (1, 18): avendo rinnegato Dio e credendo di poter costruire
la città terrena senza di lui, " hanno vaneggiato nei loro ragionamenti
" sicché " si è ottenebrata la loro mente ottusa "
(1, 21); " mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti "
(1, 22), sono diventati autori di opere degne di morte e " non solo continuano
a farle, ma anche approvano chi le fa " (1, 32). Quando la coscienza, questo
luminoso occhio dell'anima (cf. Mt 6, 22-23), chiama " bene il male e male
il bene " (Is 5, 20), è ormai sulla strada della sua degenerazione
più inquietante e della più tenebrosa cecità morale.
Eppure tutti i condizionamenti e gli sforzi per imporre il silenzio non riescono
a soffocare la voce del Signore che risuona nella coscienza di ogni uomo: è
sempre da questo intimo sacrario della coscienza che può ripartire un
nuovo cammino di amore, di accoglienza e di servizio alla vita umana.
" Vi siete accostati al sangue dell'aspersione " (cf. Eb 12, 22.24): segni di speranza e invito all'impegno
25. " La voce del
sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! " (Gn 4, 10). Non è
solo la voce del sangue di Abele, il primo innocente ucciso, a gridare verso
Dio, sorgente e difensore della vita. Anche il sangue di ogni altro uomo ucciso
dopo Abele è voce che si leva al Signore. In una forma assolutamente
unica, grida a Dio la voce del sangue di Cristo, di cui Abele nella sua innocenza
è figura profetica, come ci ricorda l'autore della Lettera agli Ebrei:
" Voi vi siete invece accostati al monte Sion e alla città del Dio
vivente... al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla
voce più eloquente di quello di Abele " (12, 22.24).
È il sangue dell'aspersione. Ne era stato simbolo e segno anticipatore
il sangue dei sacrifici dell'Antica Alleanza, con i quali Dio esprimeva la volontà
di comunicare la sua vita agli uomini, purificandoli e consacrandoli (cf. Es
24, 8; Lv 17, 11). Ora, tutto questo in Cristo si compie e si avvera: il suo
è il sangue dell'aspersione che redime, purifica e salva; è il
sangue del Mediatore della Nuova Alleanza " versato per molti, in remissione
dei peccati " (Mt 26, 28). Questo sangue, che fluisce dal fianco trafitto
di Cristo sulla croce (cf. Gv 19, 34), ha la " voce più eloquente
" del sangue di Abele; esso infatti esprime ed esige una più profonda
" giustizia ", ma soprattutto implora misericordia,19 si fa presso
il Padre intercessione per i fratelli (cf. Eb 7, 25), è fonte di redenzione
perfetta e dono di vita nuova.
Il sangue di Cristo, mentre rivela la grandezza dell'amore del Padre, manifesta
come l'uomo sia prezioso agli occhi di Dio e come sia inestimabile il valore
della sua vita. Ce lo ricorda l'apostolo Pietro: " Voi sapete che non a
prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra
vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo,
come di agnello senza difetti e senza macchia " (1 Pt 1, 18-19). Proprio
contemplando il sangue prezioso di Cristo, segno della sua donazione d'amore
(cf. Gv 13, 1), il credente impara a riconoscere e ad apprezzare la dignità
quasi divina di ogni uomo e può esclamare con sempre rinnovato e grato
stupore: " Quale valore deve avere l'uomo davanti agli occhi del Creatore
se "ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore" (Exultet
della Veglia pasquale), se "Dio ha dato il suo Figlio", affinché
egli, l'uomo, "non muoia, ma abbia la vita eterna" (cf. Gv 3, 16)!
".20
Il sangue di Cristo, inoltre, rivela all'uomo che la sua grandezza, e quindi
la sua vocazione, consiste nel dono sincero di sé. Proprio perché
viene versato come dono di vita, il sangue di Gesù non è più
segno di morte, di separazione definitiva dai fratelli, ma strumento di una
comunione che è ricchezza di vita per tutti. Chi nel sacramento dell'Eucaristia
beve questo sangue e dimora in Gesù (cf. Gv 6, 56) è coinvolto
nel suo stesso dinamismo di amore e di donazione di vita, per portare a pienezza
l'originaria vocazione all'amore che è propria di ogni uomo (cf. Gn 1,
27; 2, 18-24).
È ancora nel sangue di Cristo che tutti gli uomini attingono la forza
per impegnarsi a favore della vita. Proprio questo sangue è il motivo
più forte di speranza, anzi è il fondamento dell'assoluta certezza
che secondo il disegno di Dio la vittoria sarà della vita. " Non
ci sarà più la morte ", esclama la voce potente che esce
dal trono di Dio nella Gerusalemme celeste (Ap 21, 4). E san Paolo ci assicura
che la vittoria attuale sul peccato è segno e anticipazione della vittoria
definitiva sulla morte, quando " si compirà la parola della Scrittura:
"La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte,
la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?" " (1
Cor 15, 54-55).
26. In realtà, segni
anticipatori di questa vittoria non mancano nelle nostre società e culture,
pur così fortemente segnate dalla " cultura della morte ".
Si darebbe dunque un'immagine unilaterale, che potrebbe indurre a uno sterile
scoraggiamento, se alla denuncia delle minacce alla vita non si accompagnasse
la presentazione dei segni positivi operanti nell'attuale situazione dell'umanità.
Purtroppo tali segni positivi faticano spesso a manifestarsi e ad essere riconosciuti,
forse anche perché non trovano adeguata attenzione nei mezzi della comunicazione
sociale. Ma quante iniziative di aiuto e di sostegno alle persone più
deboli e indifese sono sorte e continuano a sorgere, nella comunità cristiana
e nella società civile, a livello locale, nazionale e internazionale,
ad opera di singoli, gruppi, movimenti ed organizzazioni di vario genere!
Sono ancora molti gli sposi che, con generosa responsabilità, sanno accogliere
i figli come " il preziosissimo dono del matrimonio ".21 Né
mancano famiglie che, al di là del loro quotidiano servizio alla vita,
sanno aprirsi all'accoglienza di bambini abbandonati, di ragazzi e giovani in
difficoltà, di persone portatrici di handicap, di anziani rimasti soli.
Non pochi centri di aiuto alla vita, o istituzioni analoghe, sono promossi da
persone e gruppi che, con ammirevole dedizione e sacrificio, offrono un sostegno
morale e materiale a mamme in difficoltà, tentate di ricorrere all'aborto.
Sorgono pure e si diffondono gruppi di volontari impegnati a dare ospitalità
a chi è senza famiglia, si trova in condizioni di particolare disagio
o ha bisogno di ritrovare un ambiente educativo che lo aiuti a superare abitudini
distruttive e a ricuperare il senso della vita.
La medicina, promossa con grande impegno da ricercatori e professionisti, prosegue
nel suo sforzo per trovare rimedi sempre più efficaci: risultati un tempo
del tutto impensabili e tali da aprire promettenti prospettive sono oggi ottenuti
a favore della vita nascente, delle persone sofferenti e dei malati in fase
acuta o terminale. Enti e organizzazioni varie si mobilitano per portare, anche
nei Paesi più colpiti dalla miseria e da malattie endemiche, i benefici
della medicina più avanzata. Così pure associazioni nazionali
e internazionali di medici si attivano tempestivamente per recare soccorso alle
popolazioni provate da calamità naturali, da epidemie o da guerre. Anche
se una vera giustizia internazionale nella ripartizione delle risorse mediche
è ancora lontana dalla sua piena realizzazione, come non riconoscere
nei passi sinora compiuti il segno di una crescente solidarietà tra i
popoli, di un'apprezzabile sensibilità umana e morale e di un maggiore
rispetto per la vita?
27. Di fronte a legislazioni
che hanno permesso l'aborto e a tentativi, qua e là riusciti, di legalizzare
l'eutanasia, sono sorti in tutto il mondo movimenti e iniziative di sensibilizzazione
sociale in favore della vita. Quando, in conformità alla loro ispirazione
autentica, agiscono con determinata fermezza ma senza ricorrere alla violenza,
tali movimenti favoriscono una più diffusa presa di coscienza del valore
della vita e sollecitano e realizzano un più deciso impegno per la sua
difesa.
Come non ricordare, inoltre, tutti quei gesti quotidiani di accoglienza, di
sacrificio, di cura disinteressata che un numero incalcolabile di persone compie
con amore nelle famiglie, negli ospedali, negli orfanotrofi, nelle case di riposo
per anziani e in altri centri o comunità a difesa della vita? Lasciandosi
guidare dall'esempio di Gesù " buon samaritano " (cf. Lc 10,
29-37) e sostenuta dalla sua forza, la Chiesa è sempre stata in prima
linea su queste frontiere della carità: tanti suoi figli e figlie, specialmente
religiose e religiosi, in forme antiche e sempre nuove, hanno consacrato e continuano
a consacrare la loro vita a Dio donandola per amore del prossimo più
debole e bisognoso.
Questi gesti costruiscono nel profondo quella " civiltà dell'amore
e della vita ", senza la quale l'esistenza delle persone e della società
smarrisce il suo significato più autenticamente umano. Anche se nessuno
li notasse e rimanessero nascosti ai più, la fede assicura che il Padre,
" che vede nel segreto " (Mt 6, 4), non solo saprà ricompensarli,
ma già fin d'ora li rende fecondi di frutti duraturi per tutti.
Tra i segni di speranza va pure annoverata la crescita, in molti strati dell'opinione
pubblica, di una nuova sensibilità sempre più contraria alla guerra
come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli e sempre più orientata
alla ricerca di strumenti efficaci ma " non violenti " per bloccare
l'aggressore armato. Nel medesimo orizzonte si pone altresì la sempre
più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte anche
solo come strumento di " legittima difesa " sociale, in considerazione
delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere
efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l'ha
commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi.
È da salutare con favore anche l'accresciuta attenzione allaqualità
della vita e all'ecologia, che si registra soprattutto nelle società
a sviluppo avanzato, nelle quali le attese delle persone non sono più
concentrate tanto sui problemi della sopravvivenza quanto piuttosto sulla ricerca
di un miglioramento globale delle condizioni di vita. Particolarmente significativo
è il risveglio di una riflessione etica attorno alla vita: con la nascita
e lo sviluppo sempre più diffuso della bioetica vengono favoriti la riflessione
e il dialogo - tra credenti e non credenti, come pure tra credenti di diverse
religioni - su problemi etici, anche fondamentali, che interessano la vita dell'uomo.
28. Questo orizzonte di
luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di
fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e
la vita, la " cultura della morte " e la " cultura della vita
". Ci troviamo non solo " di fronte ", ma necessariamente "
in mezzo " a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile
responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita.
Anche per noi risuona chiaro e forte l'invito di Mosè: " Vedi, io
pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male...; io ti ho posto
davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la
vita, perché viva tu e la tua discendenza " (Dt 30, 15.19). È
un invito che ben si addice anche a noi, chiamati ogni giorno a dover decidere
tra la " cultura della vita " e la " cultura della morte ".
Ma l'appello del Deuteronomio è ancora più profondo, perché
ci sollecita ad una scelta propriamente religiosa e morale. Si tratta di dare
alla propria esistenza un orientamento fondamentale e di vivere in fedeltà
e coerenza con la legge del Signore: " Io oggi ti comando di amare il Signore
tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi
e le sue norme...; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza,
amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui,
poiché è lui la tua vita e la tua longevità " (30,
16.19-20).
La scelta incondizionata a favore della vita raggiunge in pienezza il suo significato
religioso e morale quando scaturisce, viene plasmata ed è alimentata
dalla fede in Cristo. Nulla aiuta ad affrontare positivamente il conflitto tra
la morte e la vita, nel quale siamo immersi, come la fede nel Figlio di Dio
che si è fatto uomo ed è venuto tra gli uomini " perché
abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza " (Gv 10, 10): è la fede
nel Risorto, che ha vinto la morte; è la fede nel sangue di Cristo "
dalla voce più eloquente di quello di Abele " (Eb 12, 24).
Con la luce e la forza di tale fede, quindi, di fronte alle sfide dell'attuale
situazione, la Chiesa prende più viva coscienza della grazia e della
responsabilità che le vengono dal suo Signore per annunciare, celebrare
e servire il Vangelo della vita.
CAPITOLO II
SONO VENUTO PERCHÈ ABBIANO LA VITA
IL MESSAGGIO CRISTIANO SULLA VITA
" La vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta " (1 Gv 1, 2): lo sguardo rivolto a Cristo, " il Verbo della vita "
29. Di fronte alle innumerevoli
e gravi minacce alla vita presenti nel mondo contemporaneo, si potrebbe rimanere
come sopraffatti dal senso di un'impotenza insuperabile: il bene non potrà
mai avere la forza di vincere il male!
È questo il momento nel quale il Popolo di Dio, e in esso ciascun credente,
è chiamato a professare, con umiltà e coraggio, la propria fede
in Gesù Cristo " il Verbo della vita " (1 Gv 1, 1). Il Vangelo
della vita non è una semplice riflessione, anche se originale e profonda,
sulla vita umana; neppure è soltanto un comandamento destinato a sensibilizzare
la coscienza e a provocare significativi cambiamenti nella società; tanto
meno è un'illusoria promessa di un futuro migliore. Il Vangelo della
vita è una realtà concreta e personale, perché consiste
nell'annuncio della persona stessa di Gesù. All'apostolo Tommaso, e in
lui a ogni uomo, Gesù si presenta con queste parole: " Io sono la
via, la verità e la vita " (Gv 14, 6). È la stessa identità
indicata a Marta, la sorella di Lazzaro: " Io sono la risurrezione e la
vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in
me, non morrà in eterno " (Gv 11, 25-26). Gesù è il
Figlio che dall'eternità riceve la vita dal Padre (cf. Gv 5, 26) ed è
venuto tra gli uomini per farli partecipi di questo dono: " Io sono venuto
perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza " (Gv 10, 10).
È allora dalla parola, dall'azione, dalla persona stessa di Gesù
che all'uomo è data la possibilità di " conoscere "
la verità intera circa il valore della vita umana; è da quella
" fonte " che gli viene, in particolare, la capacità di "
fare " perfettamente tale verità (cf. Gv 3, 21), ossia di assumere
e realizzare in pienezza la responsabilità di amare e servire, di difendere
e promuovere la vita umana.
In Cristo, infatti, è annunciato definitivamente ed è pienamente
donato quel Vangelo della vita che, offerto già nella Rivelazione dell'Antico
Testamento, ed anzi scritto in qualche modo nel cuore stesso di ogni uomo e
donna, risuona in ogni coscienza " dal principio ", ossia dalla creazione
stessa, così che, nonostante i condizionamenti negativi del peccato,
può essere conosciuto nei suoi tratti essenziali anche dalla ragione
umana. Come scrive il Concilio Vaticano II, Cristo " con tutta la sua presenza
e con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, con i segni
e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la gloriosa risurrezione
di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie
e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè
Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e
risuscitarci per la vita eterna ".22
30. È dunque con
lo sguardo fisso al Signore Gesù che intendiamo riascoltare da lui "
le parole di Dio " (Gv 3, 34) e rimeditare il Vangelo della vita. Il senso
più profondo e originale di questa meditazione sul messaggio rivelato
circa la vita umana è stato colto dall'apostolo Giovanni, quando scrive,
all'inizio della sua Prima Lettera: " Ciò che era fin da principio,
ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri
occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani
hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è
fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza
e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile
a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché
anche voi siate in comunione con noi " (1, 1-3).
In Gesù, " Verbo della vita ", viene quindi annunciata e comunicata
la vita divina ed eterna. Grazie a tale annuncio e a tale dono, la vita fisica
e spirituale dell'uomo, anche nella sua fase terrena, acquista pienezza di valore
e di significato: la vita divina ed eterna, infatti, è il fine a cui
l'uomo che vive in questo mondo è orientato e chiamato. Il Vangelo della
vita racchiude così quanto la stessa esperienza e ragione umana dicono
circa il valore della vita, lo accoglie, lo eleva e lo porta a compimento.
" Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato " (Es 15, 2): la vita è sempre un bene
31. In verità, la
pienezza evangelica dell'annuncio sulla vita è preparata già nell'Antico
Testamento. È soprattutto nella vicenda dell'Esodo, fulcro dell'esperienza
di fede dell'Antico Testamento, che Israele scopre quanto la sua vita sia preziosa
agli occhi di Dio. Quando sembra ormai votato allo sterminio, perché
su tutti i suoi neonati maschi incombe la minaccia di morte (cf. Es 1, 15-22),
il Signore gli si rivela come salvatore, capace di assicurare un futuro a chi
è senza speranza. Nasce così in Israele una precisa consapevolezza:
la sua vita non si trova alla mercé di un faraone che può usarne
con dispotico arbitrio; al contrario, essa è l'oggetto di un tenero e
forte amore da parte di Dio.
La liberazione dalla schiavitù è il dono di una identità,
il riconoscimento di una dignità indelebile e l'inizio di una storia
nuova, in cui la scoperta di Dio e la scoperta di sé vanno di pari passo.
È una esperienza, quella dell'Esodo, fondante ed esemplare. Israele vi
apprende che, ogni volta in cui è minacciato nella sua esistenza, non
ha che da ricorrere a Dio con rinnovata fiducia per trovare in lui efficace
assistenza: " Io ti ho formato, mio servo sei tu; Israele, non sarai dimenticato
da me " (Is 44, 21).
Così, mentre riconosce il valore della propria esistenza come popolo,
Israele progredisce anche nella percezione del senso e del valore della vita
in quanto tale. È una riflessione che si sviluppa in modo particolare
nei libri sapienziali, muovendo dalla quotidiana esperienza della precarietà
della vita e dalla consapevolezza delle minacce che la insidiano. Di fronte
alle contraddizioni dell'esistenza, la fede è provocata ad offrire una
risposta.
È soprattutto il problema del dolore ad incalzare la fede e a metterla
alla prova. Come non cogliere il gemito universale dell'uomo nella meditazione
del libro di Giobbe? L'innocente schiacciato dalla sofferenza è, comprensibilmente,
portato a chiedersi: " Perché dare la luce ad un infelice e la vita
a chi ha l'amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene,
che la cercano più di un tesoro? " (3, 20-21). Ma anche nella più
fitta oscurità la fede orienta al riconoscimento fiducioso e adorante
del " mistero ": " Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa
è impossibile per te " (Gb 42, 2).
Progressivamente la Rivelazione fa cogliere con sempre maggiore chiarezza il
germe di vita immortale posto dal Creatore nel cuore degli uomini: " Egli
ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità
nel loro cuore " (Qo 3, 11). Questo germe di totalità e di pienezza
attende di manifestarsi nell'amore e di compiersi, per dono gratuito di Dio,
nella partecipazione alla sua vita eterna.
" Il nome di Gesù ha dato vigore a questo uomo " (At 3, 16): nella precarietà dell'esistenza umana Gesù porta a compimento il senso della vita
32. L'esperienza del popolo
dell'Alleanza si rinnova in quella di tutti i " poveri " che incontrano
Gesù di Nazaret. Come già il Dio " amante della vita "
(Sap 11, 26) aveva rassicurato Israele in mezzo ai pericoli, così ora
il Figlio di Dio, a quanti si sentono minacciati e impediti nella loro esistenza,
annuncia che anche la loro vita è un bene, al quale l'amore del Padre
dà senso e valore.
" I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono
sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la
buona novella " (Lc 7, 22). Con queste parole del profeta Isaia (35, 5-6;
61, 1), Gesù presenta il significato della propria missione: così
quanti soffrono per un'esistenza in qualche modo " diminuita ", ascoltano
da lui la buona novella dell'interesse di Dio nei loro confronti ed hanno la
conferma che anche la loro vita è un dono gelosamente custodito nelle
mani del Padre (cf. Mt 6, 25-34).
Sono i " poveri " ad essere interpellati particolarmente dalla predicazione
e dall'azione di Gesù. Le folle di malati e di emarginati, che lo seguono
e lo cercano (cf. Mt 4, 23-25), trovano nella sua parola e nei suoi gesti la
rivelazione di quale grande valore abbia la loro vita e di come siano fondate
le loro attese di salvezza.
Non diversamente accade nella missione della Chiesa, fin dalle sue origini.
Essa, che annuncia Gesù come colui che " passò beneficando
e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché
Dio era con lui " (At 10, 38), sa di essere portatrice di un messaggio
di salvezza che risuona in tutta la sua novità proprio nelle situazioni
di miseria e di povertà della vita dell'uomo. Così fa Pietro con
la guarigione dello storpio, posto ogni giorno presso la porta " Bella
" del tempio di Gerusalemme a chiedere l'elemosina: " Non possiedo
né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù
Cristo, il Nazareno, cammina! " (At 3, 6). Nella fede in Gesù, "
autore della vita " (At 3, 15), la vita che giace abbandonata e implorante
ritrova consapevolezza di sé e dignità piena.
La parola e i gesti di Gesù e della sua Chiesa non riguardano solo chi
è nella malattia, nella sofferenza o nelle varie forme di emarginazione
sociale. Più profondamente toccano il senso stesso della vita di ogni
uomo nelle sue dimensioni morali e spirituali. Solo chi riconosce che la propria
vita è segnata dalla malattia del peccato, nell'incontro con Gesù
Salvatore può ritrovare la verità e l'autenticità della
propria esistenza, secondo le sue stesse parole: " Non sono i sani che
hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti,
ma i peccatori a convertirsi " (Lc 5, 31-32).
Chi, invece, come il ricco agricoltore della parabola evangelica, pensa di poter
assicurare la propria vita mediante il possesso dei soli beni materiali, in
realtà si illude: essa gli sta sfuggendo, ed egli ne resterà ben
presto privo, senza essere arrivato a percepirne il vero significato: "Stolto,
questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato
di chi sarà? " (Lc 12, 20).
33. È nella vita
stessa di Gesù, dall'inizio alla fine, che si ritrova questa singolare
" dialettica " tra l'esperienza della precarietà della vita
umana e l'affermazione del suo valore. Infatti, la precarietà segna la
vita di Gesù fin dalla sua nascita. Egli trova certamente l'accoglienza
dei giusti, che si uniscono al " sì " pronto e gioioso di Maria
(cf. Lc 1, 38). Ma c'è anche, da subito, il rifiuto di un mondo che si
fa ostile e cerca il bambino " per ucciderlo " (Mt 2, 13), oppure
resta indifferente e disattento al compiersi del mistero di questa vita che
entra nel mondo: " non c'era posto per loro nell'albergo " (Lc 2,
7). Proprio dal contrasto tra le minacce e le insicurezze da una parte e la
potenza del dono di Dio dall'altra, risplende con maggior forza la gloria che
si sprigiona dalla casa di Nazaret e dalla mangiatoia di Betlemme: questa vita
che nasce è salvezza per l'intera umanità (cf. Lc 2, 11).
Contraddizioni e rischi della vita vengono assunti pienamente da Gesù:
" da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi
diventaste ricchi per mezzo della sua povertà " (2 Cor 8, 9). La
povertà, di cui parla Paolo, non è solo spogliamento dei privilegi
divini, ma anche condivisione delle condizioni più umili e precarie della
vita umana (cf. Fil 2, 6-7). Gesù vive questa povertà lungo tutto
il corso della sua vita, fino al momento culminante della Croce: " umiliò
se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo
Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro
nome " (Fil 2, 8-9). È proprio nella sua morte che Gesù rivela
tutta la grandezza e il valore della vita, in quanto il suo donarsi in croce
diventa fonte di vita nuova per tutti gli uomini (cf. Gv 12, 32). In questo
peregrinare nelle contraddizioni e nella stessa perdita della vita, Gesù
è guidato dalla certezza che essa è nelle mani del Padre. Per
questo sulla Croce può dirgli: " Padre nelle tue mani consegno il
mio spirito " (Lc 23, 46), cioè la mia vita. Davvero grande è
il valore della vita umana se il Figlio di Dio l'ha assunta e l'ha resa luogo
nel quale la salvezza si attua per l'intera umanità!
" Chiamati... ad essere conformi all'immagine del Figlio suo " (Rm
8, 28-29): la gloria di Dio risplende sul volto dell'uomo
34. La vita è sempre
un bene. È, questa, una intuizione o addirittura un dato di esperienza,
di cui l'uomo è chiamato a cogliere la ragione profonda.
Perché la vita è un bene? L'interrogativo attraversa tutta la
Bibbia e fin dalle sue prime pagine trova una risposta efficace e mirabile.
La vita che Dio dona all'uomo è diversa e originale di fronte a quella
di ogni altra creatura vivente, in quanto egli, pur imparentato con la polvere
della terra (cf. Gn 2, 7; 3, 19; Gb 34, 15; Sal 103/102, 14; 104/103, 29), è
nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria
(cf. Gn 1, 26-27; Sal 8, 6). È quanto ha voluto sottolineare anche sant'Ireneo
di Lione con la sua celebre definizione: " l'uomo che vive è la
gloria di Dio ".23 All'uomo è donata un'altissima dignità,
che ha le sue radici nell'intimo legame che lo unisce al suo Creatore: nell'uomo
risplende un riflesso della stessa realtà di Dio.
Lo afferma il libro della Genesi nel primo racconto delle origini, ponendo l'uomo
al vertice dell'attività creatrice di Dio, come suo coronamento, al termine
di un processo che dall'indistinto caos porta alla creatura più perfetta.
Tutto nel creato è ordinato all'uomo e tutto è a lui sottomesso:
" Riempite la terra; soggiogatela e dominate... su ogni essere vivente
" (1, 28), comanda Dio all'uomo e alla donna. Un messaggio simile viene
anche dall'altro racconto delle origini: " Il Signore Dio prese l'uomo
e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse
" (Gn 2, 15). Si riafferma così il primato dell'uomo sulle cose:
esse sono finalizzate a lui e affidate alla sua responsabilità, mentre
per nessuna ragione egli può essere asservito ai suoi simili e quasi
ridotto al rango di cosa.
Nella narrazione biblica la distinzione dell'uomo dalle altre creature è
evidenziata soprattutto dal fatto che solo la sua creazione è presentata
come frutto di una speciale decisione da parte di Dio, di una deliberazione
che consiste nello stabilire un legame particolare e specifico con il Creatore:
" Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza " (Gn 1,
26). La vita che Dio offre all'uomo è un dono con cui Dio partecipa qualcosa
di sé alla sua creatura.
Israele si interrogherà a lungo sul senso di questo legame particolare
e specifico dell'uomo con Dio. Anche il libro del Siracide riconosce che Dio
nel creare gli uomini " secondo la sua natura li rivestì di forza,
e a sua immagine li formò " (17, 3). A ciò l'autore sacro
riconduce non solo il loro dominio sul mondo, ma anche le facoltà spirituali
più proprie dell'uomo, come la ragione, il discernimento del bene e del
male, la volontà libera: " Li riempì di dottrina e d'intelligenza,
e indicò loro anche il bene e il male " (Sir 17, 6). La capacità
di attingere la verità e la libertà sono prerogative dell'uomo
in quanto creato ad immagine del suo Creatore, il Dio vero e giusto (cf. Dt
32, 4). Soltanto l'uomo, fra tutte le creature visibili, è " capa-
ce di conoscere e di amare il proprio Creatore".24 La vita che Dio dona
all'uomo è ben più di un esistere nel tempo. È tensione
verso una pienezza di vita; è germe di una esistenza che va oltre i limiti
stessi del tempo: " Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità;
lo fece a immagine della propria natura " (Sap 2, 23).
35. Anche il racconto jahvista
delle origini esprime la stessa convinzione. L'antica narrazione, infatti, parla
di un soffio divino che viene inalato nell'uomo perché questi entri nella
vita: " Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò
nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente "
(Gn 2, 7).
L'origine divina di questo spirito di vita spiega la perenne insoddisfazione
che accompagna l'uomo nei suoi giorni. Fatto da Dio, portando in sé una
traccia indelebile di Dio, l'uomo tende naturalmente a lui. Quando ascolta l'aspirazione
profonda del suo cuore, ogni uomo non può non fare propria la parola
di verità espressa da sant'Agostino: " Tu ci hai fatti per te, o
Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te
".25
Quanto mai eloquente è l'insoddisfazione di cui è preda la vita
dell'uomo nell'Eden fin quando il suo unico riferimento rimane il mondo vegetale
e animale (cf. Gn 2, 20). Solo l'apparizione della donna, di un essere cioè
che è carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa (cf. Gn 2, 23), e in
cui ugualmente vive lo spirito di Dio Creatore, può soddisfare l'esigenza
di dialogo inter-personale che è così vitale per l'esistenza umana.
Nell'altro, uomo o donna, si riflette Dio stesso, approdo definitivo e appagante
di ogni persona.
" Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo
perché te ne curi? ", si chiede il Salmista (Sal 8, 5). Di fronte
all'immensità dell'universo, egli è ben piccola cosa; ma proprio
questo contrasto fa emergere la sua grandezza: " Lo hai fatto poco meno
degli angeli (ma si potrebbe tradurre anche: " poco meno di Dio "),
di gloria e di onore lo hai coronato " (Sal 8, 6). La gloria di Dio risplende
sul volto dell'uomo. In lui il Creatore trova il suo riposo, come commenta stupito
e commosso sant'Ambrogio: " È finito il sesto giorno e si è
conclusa la creazione del mondo con la formazione di quel capolavoro che è
l'uomo, il quale esercita il dominio su tutti gli esseri viventi ed è
come il culmine dell'universo e la suprema bellezza di ogni essere creato. Veramente
dovremmo mantenere un reverente silenzio, poiché il Signore si riposò
da ogni opera del mondo. Si riposò poi nell'intimo dell'uomo, si riposò
nella sua mente e nel suo pensiero; infatti aveva creato l'uomo dotato di ragione,
capace d'imitarlo, emulo delle sue virtù, bramoso delle grazie celesti.
In queste sue doti riposa Iddio che ha detto: "O su chi riposerò,
se non su chi è umile, tranquillo e teme le mie parole?" (Is 66,
1-2). Ringrazio il Signore Dio nostro che ha creato un'opera così meravigliosa
nella quale trovare il suo riposo ".26
36. Purtroppo lo stupendo
progetto di Dio viene offuscato dalla irruzione del peccato nella storia. Con
il peccato l'uomo si ribella al Creatore, finendo con l'idolatrare le creature:
" Hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore " (Rm
1, 25). In questo modo l'essere umano non solo deturpa in se stesso l'immagine
di Dio, ma è tentato di offenderla anche negli altri, sostituendo ai
rapporti di comunione atteggiamenti di diffidenza, di indifferenza, di inimicizia,
fino all'odio omicida. Quando non si riconosce Dio come Dio, si tradisce il
senso profondo dell'uomo e si pregiudica la comunione tra gli uomini.
Nella vita dell'uomo, l'immagine di Dio torna a risplendere e si manifesta in
tutta la sua pienezza con la venuta nella carne umana del Figlio di Dio: "
Egli è immagine del Dio invisibile " (Col 1, 15), " irradiazione
della sua gloria e impronta della sua sostanza " (Eb 1, 3). Egli è
l'immagine perfetta del Padre.
Il progetto di vita consegnato al primo Adamo trova finalmente in Cristo il
suo compimento. Mentre la disobbedienza di Adamo rovina e deturpa il disegno
di Dio sulla vita dell'uomo e introduce la morte nel mondo, l'obbedienza redentrice
di Cristo è fonte di grazia che si riversa sugli uomini spalancando a
tutti le porte del regno della vita (cf. Rm 5, 12-21). Afferma l'apostolo Paolo:
" Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne
spirito datore di vita " (1 Cor 15, 45).
A quanti accettano di porsi alla sequela di Cristo viene donata la pienezza
della vita: in loro l'immagine divina viene restaurata, rinnovata e condotta
alla perfezione. Questo è il disegno di Dio sugli esseri umani: che divengano
" conformi all'immagine del Figlio suo " (Rm 8, 29). Solo così,
nello splendore di questa immagine, l'uomo può essere liberato dalla
schiavitù dell'idolatria, può ricostruire la fraternità
dispersa e ritrovare la sua identità.
" Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno " (Gv 11, 26): il dono della vita eterna
37. La vita che il Figlio
di Dio è venuto a donare agli uomini non si riduce alla sola esistenza
nel tempo. La vita, che da sempre è " in lui " e costituisce
" la luce degli uomini " (Gv 1, 4), consiste nell'essere generati
da Dio e nel partecipare alla pienezza del suo amore: " A quanti l'hanno
accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel
suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da
volere di uomo, ma da Dio sono stati generati " (Gv 1, 12-13).
A volte Gesù chiama questa vita, che egli è venuto a donare, semplicemente
così: " la vita "; e presenta la generazione da Dio come una
condizione necessaria per poter raggiungere il fine per cui Dio ha creato l'uomo:
" Se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio "
(Gv 3, 3). Il dono di questa vita costituisce l'oggetto proprio della missione
di Gesù: egli " è colui che discende dal cielo e dà
la vita al mondo " (Gv 6, 33), così che può affermare con
piena verità: " Chi segue me... avrà la luce della vita "
(Gv 8, 12).
Altre volte Gesù parla di " vita eterna ", dove l'aggettivo
non richiama soltanto una prospettiva sovratemporale. " Eterna " è
la vita che Gesù promette e dona, perché è pienezza di
partecipazione alla vita dell' " Eterno ". Chiunque crede in Gesù
ed entra in comunione con lui ha la vita eterna (cf. Gv 3, 15; 6, 40), perché
da lui ascolta le uniche parole che rivelano e infondono pienezza di vita alla
sua esistenza; sono le " parole di vita eterna " che Pietro riconosce
nella sua confessione di fede: " Signore, da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio
" (Gv 6, 68-69). In che cosa consista poi la vita eterna, lo dichiara Gesù
stesso rivolgendosi al Padre nella grande preghiera sacerdotale: " Questa
è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai
mandato, Gesù Cristo " (Gv 17, 3). Conoscere Dio e il suo Figlio
è accogliere il mistero della comunione d'amore del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo nella propria vita, che si apre già fin d'ora alla
vita eterna nella partecipazione alla vita divina.
38. La vita eterna è,
dunque, la vita stessa di Dio ed insieme la vita dei figli di Dio. Stupore sempre
nuovo e gratitudine senza limiti non possono non prendere il credente di fronte
a questa inattesa e ineffabile verità che ci viene da Dio in Cristo.
Il credente fa sue le parole dell'apostolo Giovanni: " Quale grande amore
ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!...
Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è
stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato,
noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è
" (1 Gv 3, 1-2).
Così giunge al suo culmine la verità cristiana sulla vita. La
dignità di questa non è legata solo alle sue origini, al suo venire
da Dio, ma anche al suo fine, al suo destino di comunione con Dio nella conoscenza
e nell'amore di Lui. È alla luce di questa verità che sant'Ireneo
precisa e completa la sua esaltazione dell'uomo: " gloria di Dio "
è, sì, " l'uomo che vive ", ma " la vita dell'uomo
consiste nella visione di Dio ".27
Nascono da qui immediate conseguenze per la vita umana nella sua stessa condizione
terrena, nella quale è già germogliata ed è in crescita
la vita eterna. Se l'uomo ama istintivamente la vita perché è
un bene, tale amore trova ulteriore motivazione e forza, nuova ampiezza e profondità
nelle dimensioni divine di questo bene. In simile prospettiva, l'amore che ogni
essere umano ha per la vita non si riduce alla semplice ricerca di uno spazio
in cui esprimere se stesso ed entrare in relazione con gli altri, ma si sviluppa
nella gioiosa consapevolezza di poter fare della propria esistenza il "
luogo " della manifestazione di Dio, dell'incontro e della comunione con
Lui. La vita che Gesù ci dona non svaluta la nostra esistenza nel tempo,
ma la assume e la conduce al suo ultimo destino: " Io sono la risurrezione
e la vita...; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno "
(Gv 11, 25.26).
" Domanderò conto ... a ognuno di suo fratello " (Gn 9, 5):
venerazione e amore per la vita di tutti
39. La vita dell'uomo proviene
da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio
vitale. Di questa vita, pertanto, Dio è l'unico signore: l'uomo non può
disporne. Dio stesso lo ribadisce a Noè dopo il diluvio: " Domanderò
conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello " (Gn 9,
5). E il testo biblico si preoccupa di sottolineare come la sacralità
della vita abbia il suo fondamento in Dio e nella sua azione creatrice: "
Perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l'uomo " (Gn 9, 6).
La vita e la morte dell'uomo sono, dunque, nelle mani di Dio, in suo potere:
" Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana
", esclama Giobbe (12, 10). " Il Signore fa morire e fa vivere, scendere
agli inferi e risalire " (1 Sam 2, 6). Egli solo può dire: "
Sono io che do la morte e faccio vivere " (Dt 32, 39).
Ma questo potere Dio non lo esercita come arbitrio minaccioso, bensì
come cura e sollecitudine amorosa nei riguardi delle sue creature. Se è
vero che la vita dell'uomo è nelle mani di Dio, non è men vero
che queste sono mani amorevoli come quelle di una madre che accoglie, nutre
e si prende cura del suo bambino: " Io sono tranquillo e sereno come bimbo
svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia
" (Sal 131/130, 2; cf. Is 49, 15; 66, 12-13; Os 11, 4). Così nelle
vicende dei popoli e nella sorte degli individui Israele non vede il frutto
di una pura casualità o di un destino cieco, ma l'esito di un disegno
d'amore con il quale Dio raccoglie tutte le potenzialità di vita e contrasta
le forze di morte, che nascono dal peccato: " Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza
" (Sap 1, 13-14).
40. Dalla sacralità
della vita scaturisce la sua inviolabilità, inscritta fin dalle origini
nel cuore dell'uomo, nella sua coscienza. La domanda " Che hai fatto? "
(Gn 4, 10), con cui Dio si rivolge a Caino dopo che questi ha ucciso il fratello
Abele, traduce l'esperienza di ogni uomo: nel profondo della sua coscienza,
egli viene sempre richiamato alla inviolabilità della vita - della sua
vita e di quella degli altri -, come realtà che non gli appartiene, perché
proprietà e dono di Dio Creatore e Padre.
Il comandamento relativo all'inviolabilità della vita umana risuona al
centro delle " dieci parole " nell'Alleanza del Sinai (cf. Es 34,
28). Esso proibisce, anzitutto, l'omicidio: " Non uccidere " (Es 20,
13); " Non far morire l'innocente e il giusto " (Es 23, 7); ma proibisce
anche - come viene esplicitato nell'ulteriore legislazione di Israele - ogni
lesione inflitta all'altro (cf. Es 21, 12-27). Certo, bisogna riconoscere che
nell'Antico Testamento questa sensibilità per il valore della vita, pur
già così marcata, non raggiunge ancora la finezza del Discorso
della Montagna, come emerge da alcuni aspetti della legislazione allora vigente,
che prevedeva pene corporali non lievi e persino la pena di morte. Ma il messaggio
complessivo, che spetterà al Nuovo Testamento di portare alla perfezione,
è un forte appello al rispetto dell'inviolabilità della vita fisica
e dell'integrità personale, ed ha il suo vertice nel comandamento positivo
che obbliga a farsi carico del prossimo come di se stessi: " Amerai il
tuo prossimo come te stesso " (Lv 19, 18).
41. Il comandamento del
" non uccidere ", incluso e approfondito in quello positivo dell'amore
del prossimo, viene ribadito in tutta la sua validità dal Signore Gesù.
Al giovane ricco che gli chiede: " Maestro, che cosa devo fare di buono
per ottenere la vita eterna? ", risponde: " Se vuoi entrare nella
vita, osserva i comandamenti " (Mt 19, 16.17). E cita, come primo, il "
non uccidere " (v. 18). Nel Discorso della Montagna, Gesù esige
dai discepoli una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei anche
nel campo del rispetto della vita: " Avete inteso che fu detto agli antichi:
Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io
vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a
giudizio " (Mt 5, 21-22).
Con la sua parola e i suoi gesti Gesù esplicita ulteriormente le esigenze
positive del comandamento circa l'inviolabilità della vita. Esse erano
già presenti nell'Antico Testamento, dove la legislazione si preoccupava
di garantire e salvaguardare le situazioni di vita debole e minacciata: il forestiero,
la vedova, l'orfano, il malato, il povero in genere, la stessa vita prima della
nascita (cf. Es 21, 22; 22, 20-26). Con Gesù queste esigenze positive
acquistano vigore e slancio nuovi e si manifestano in tutta la loro ampiezza
e profondità: vanno dal prendersi cura della vita del fratello (familiare,
appartenente allo stesso popolo, straniero che abita nella terra di Israele),
al farsi carico dell'estraneo, fino all'amare il nemico.
L'estraneo non è più tale per chi deve farsi prossimo di chiunque
è nel bisogno fino ad assumersi la responsabilità della sua vita,
come insegna in modo eloquente e incisivo la parabola del buon samaritano (cf.
Lc 10, 25-37). Anche il nemico cessa di essere tale per chi è tenuto
ad amarlo (cf. Mt 5, 38-48; Lc 6, 27-35) e a " fargli del bene " (cf.
Lc 6, 27.33.35), venendo incontro alle necessità della sua vita con prontezza
e senso di gratuità (cf. Lc 6, 34-35). Vertice di questo amore è
la preghiera per il nemico, mediante la quale ci si pone in sintonia con l'amore
provvidente di Dio: " Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per
i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che
fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i
giusti e sopra gli ingiusti " (Mt 5, 44-45; cf. Lc 6, 28.35).
Così il comandamento di Dio a salvaguardia della vita dell'uomo ha il
suo aspetto più profondo nell'esigenza di venerazione e di amore nei
confronti di ogni persona e della sua vita. È questo l'insegnamento che
l'apostolo Paolo, facendo eco alla parola di Gesù (cf. Mt 19, 17-18),
rivolge ai cristiani di Roma: " Il precetto: Non commettere adulterio,
non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si
riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non
fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore "
(Rm 13, 9-10).
" Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela " (Gn 1, 28): le responsabilità dell'uomo verso la vita
42. Difendere e promuovere,
venerare e amare la vita è un compito che Dio affida a ogni uomo, chiamandolo,
come sua palpitante immagine, a partecipare alla signoria che Egli ha sul mondo:
" Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli
del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra" " (Gn
1, 28).
Il testo biblico mette in luce l'ampiezza e la profondità della signoria
che Dio dona all'uomo. Si tratta, anzitutto, del dominio sulla terra e su ogni
essere vivente, come ricorda il libro della Sapienza: " Dio dei padri e
Signore di misericordia... con la tua sapienza hai formato l'uomo, perché
domini sulle creature che tu hai fatto, e governi il mondo con santità
e giustizia " (9, 1.2-3). Anche il Salmista esalta il dominio dell'uomo
come segno della gloria e dell'onore ricevuti dal Creatore: " Gli hai dato
potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti
i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo
e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare " (Sal 8, 7-9).
Chiamato a coltivare e custodire il giardino del mondo (cf. Gn 2, 15), l'uomo
ha una specifica responsabilità sull'ambiente di vita, ossia sul creato
che Dio ha posto al servizio della sua dignità personale, della sua vita:
in rapporto non solo al presente, ma anche alle generazioni future. È
la questione ecologica - dalla preservazione degli " habitat " naturali
delle diverse specie animali e delle varie forme di vita, alla " ecologia
umana " propriamente detta 28 - che trova nella pagina biblica una luminosa
e forte indicazione etica per una soluzione rispettosa del grande bene della
vita, di ogni vita. In realtà, " il dominio accordato dal Creatore
all'uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di
libertà di "usare e abusare", o di disporre delle cose come
meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio,
ed espressa simbolicamente con la proibizione di "mangiare il frutto dell'albero"
(cf. Gn 2, 16-17), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della
natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali,
che non si possono impunemente trasgredire ".29
43. Una certa partecipazione dell'uomo alla signoria di Dio si manifesta anche
nella specifica responsabilità che gli viene affidata nei confronti della
vita propriamente umana. È responsabilità che tocca il suo vertice
nella donazione della vita mediante la generazione da parte dell'uomo e della
donna nel matrimonio, come ci ricorda il Concilio Vaticano II: " Lo stesso
Dio che disse: "non è bene che l'uomo sia solo" (Gn 2, 18)
e che "creò all'inizio l'uomo maschio e femmina" (Mt 19, 4),
volendo comunicare all'uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera
creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: "crescete e moltiplicatevi"
(Gn 1, 28) ".30
Parlando di " una certa speciale partecipazione " dell'uomo e della
donna all'" opera creatrice " di Dio, il Concilio intende rilevare
come la generazione del figlio sia un evento profondamente umano e altamente
religioso, in quanto coinvolge i coniugi che formano " una sola carne "
(Gn 2, 24) ed insieme Dio stesso che si fa presente. Come ho scritto nella Lettera
alle Famiglie, " quando dall'unione coniugale dei due nasce un nuovo uomo,
questi porta con sé al mondo una particolare immagine e somiglianza di
Dio stesso: nella biologia della generazione è inscritta la genealogia
della persona. Affermando che i coniugi, come genitori, sono collaboratori di
Dio Creatore nel concepimento e nella generazione di un nuovo essere umano non
ci riferiamo solo alle leggi della biologia; intendiamo sottolineare piuttosto
che nella paternità e maternità umane Dio stesso è presente
in modo diverso da come avviene in ogni altra generazione "sulla terra".
Infatti soltanto da Dio può provenire quella "immagine e somiglianza"
che è propria dell'essere umano, così come è avvenuto nella
creazione. La generazione è la continuazione della creazione ".31
È quanto insegna, con linguaggio immediato ed eloquente, il testo sacro
riportando il grido gioioso della prima donna, " la madre di tutti i viventi
" (Gn 3, 20). Consapevole dell'intervento di Dio, Eva esclama: " Ho
acquistato un uomo dal Signore " (Gn 4, 1). Nella generazione dunque, mediante
la comunicazione della vita dai genitori al figlio, si trasmette, grazie alla
creazione dell'anima immortale,32 l'immagine e la somiglianza di Dio stesso.
In questo senso si esprime l'inizio del " libro della genealogia di Adamo
": " Quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio;
maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando
furono creati. Adamo aveva centotrenta anni quando generò a sua immagine,
a sua somiglianza, un figlio e lo chiamò Set " (Gn 5, 1-3). Proprio
in questo loro ruolo di collaboratori di Dio, che trasmette la sua immagine
alla nuova creatura, sta la grandezza dei coniugi disposti " a cooperare
con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente
dilata e arricchisce la Sua famiglia".33 In questa luce il Vescovo Anfilochio
esaltava il " matrimonio santo, eletto ed elevato al di sopra di tutti
i doni terreni " come " generatore dell'umanità, artefice di
immagini di Dio ".34
Così l'uomo e la donna uniti in matrimonio sono associati ad un'opera
divina: mediante l'atto della generazione, il dono di Dio viene accolto e una
nuova vita si apre al futuro.
Ma, al di là della missione specifica dei genitori, il compito di accogliere
e servire la vita riguarda tutti e deve manifestarsi soprattutto verso la vita
nelle condizioni di maggior debolezza. È Cristo stesso che ce lo ricorda,
chiedendo di essere amato e servito nei fratelli provati da qualsiasi tipo di
sofferenza: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati... Quanto
è fatto a ciascuno di loro è fatto a Cristo stesso (cf. Mt 25,
31-46).
" Sei tu che hai creato le mie viscere " (Sal 139/138, 13): la dignità
del bambino non ancora nato
44. La vita umana viene
a trovarsi in situazione di grande precarietà quando entra nel mondo
e quando esce dal tempo per approdare all'eternità. Sono ben presenti
nella Parola di Dio - soprattutto nei riguardi dell'esistenza insidiata dalla
malattia e dalla vecchiaia - gli inviti alla cura e al rispetto. Se mancano
inviti diretti ed espliciti a salvaguardare la vita umana alle sue origini,
in specie la vita non ancora nata, come anche quella vicina alla sua fine, ciò
si spiega facilmente per il fatto che anche la sola possibilità di offendere,
aggredire o addirittura negare la vita in queste condizioni esula dall'orizzonte
religioso e culturale del popolo di Dio.
Nell'Antico Testamento la sterilità è temuta come una maledizione,
mentre la prole numerosa è sentita come una benedizione: " Dono
del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo " (Sal
127/126, 3; cf. Sal 128/127, 3-4). Gioca in questa convinzione anche la consapevolezza
di Israele di essere il popolo dell'Alleanza, chiamato a moltiplicarsi secondo
la promessa fatta ad Abramo: " Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci
a contarle... tale sarà la tua discendenza " (Gn 15, 5). Ma è
soprattutto operante la certezza che la vita trasmessa dai genitori ha la sua
origine in Dio, come attestano le tante pagine bibliche che con rispetto e amore
parlano del concepimento, del plasmarsi della vita nel grembo materno, della
nascita e dello stretto legame che v'è tra il momento iniziale dell'esistenza
e l'agire di Dio Creatore.
" Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi
alla luce, ti avevo consacrato " (Ger 1, 5):l'esistenza di ogni individuo,
fin dalle sue origini, è nel disegno di Dio. Giobbe, dal fondo del suo
dolore, si ferma a contemplare l'opera di Dio nel miracoloso formarsi del suo
corpo nel grembo della madre, traendone motivo di fiducia ed esprimendo la certezza
dell'esistenza di un progetto divino sulla sua vita: " Le tue mani mi hanno
plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte; vorresti ora distruggermi?
Ricordati che come argilla mi hai plasmato e in polvere mi farai tornare. Non
m'hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne
mi hai rivestito, d'ossa e di nervi mi hai intessuto. Vita e benevolenza tu
mi hai concesso e la tua premura ha custodito il mio spirito " (10, 8-12).
Accenti di adorante stupore per l'intervento di Dio sulla vita in formazione
nel grembo materno risuonano anche nei Salmi.35
Come pensare che anche un solo momento di questo meraviglioso processo dello
sgorgare della vita possa essere sottratto all'opera sapiente e amorosa del
Creatore e lasciato in balìa dell'arbitrio dell'uomo? Non lo pensa certo
la madre dei sette fratelli, che professa la sua fede in Dio, principio e garanzia
della vita fin dal suo concepimento, e al tempo stesso fondamento della speranza
della nuova vita oltre la morte: " Non so come siate apparsi nel mio seno;
non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra
di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all'origine
l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi
restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi
non vi curate di voi stessi " (2 Mac 7, 22-23).
45. La rivelazione del
Nuovo Testamento conferma l'indiscusso riconoscimento del valore della vita
fin dai suoi inizi. L'esaltazione della fecondità e l'attesa premurosa
della vita risuonano nelle parole con cui Elisabetta gioisce per la sua gravidanza:
" Il Signore... si è degnato di togliere la mia vergogna "
(Lc 1, 25). Ma ancor più il valore della persona fin dal suo concepimento
è celebrato nell'incontro tra la Vergine Maria ed Elisabetta, e tra i
due fanciulli che esse portano in grembo. Sono proprio loro, i bambini, a rivelare
l'avvento dell'era messianica: nel loro incontro inizia ad operare la forza
redentrice della presenza del Figlio di Dio tra gli uomini. " Subito -
scrive sant'Ambrogio - si fanno sentire i benefici della venuta di Maria e della
presenza del Signore... Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni
percepì per primo la grazia; essa udì secondo l'ordine della natura,
egli esultò in virtù del mistero; essa sentì l'arrivo di
Maria, egli del Signore; la donna l'arrivo della donna, il bambino l'arrivo
del Bambino. Esse parlano delle grazie ricevute, essi nel seno delle loro madri
realizzano la grazia e il mistero della misericordia a profitto delle madri
stesse: e queste per un duplice miracolo profetizzano sotto l'ispirazione dei
figli che portano. Del figlio si dice che esultò, della madre che fu
ricolma di Spirito Santo. Non fu prima la madre a essere ricolma dello Spirito,
ma fu il figlio, ripieno di Spirito Santo, a ricolmare anche la madre ".36
" Ho creduto anche quando dicevo: "Sono troppo infelice" "
(Sal 116/115, 10): la vita nella vecchiaia e nella sofferenza
46. Anche per quanto riguarda gli ultimi istanti dell'esistenza, sarebbe anacronistico
attendersi dalla rivelazione biblica un espresso riferimento all'attuale problematica
del rispetto delle persone anziane e malate e un'esplicita condanna dei tentativi
di anticiparne violentemente la fine: siamo infatti in un contesto culturale
e religioso che non è intaccato da simile tentazione, e che anzi, per
quanto riguarda l'anziano, riconosce nella sua saggezza ed esperienza una insostituibile
ricchezza per la famiglia e la società.
La vecchiaia è segnata da prestigio e circondata da venerazione (cf.
2 Mac 6, 23). E il giusto non chiede di essere privato della vecchiaia e del
suo peso; al contrario così egli prega: " Sei tu, Signore, la mia
speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza... E ora, nella vecchiaia
e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza,
a tutte le generazioni le tue meraviglie " (Sal 71/70, 5.18). L'ideale
del tempo messianico è proposto come quello in cui " non ci sarà
più... un vecchio che non giunga alla pienezza dei suoi giorni "
(Is 65, 20).
Ma, nella vecchiaia, come affrontare il declino inevitabile della vita? Come
atteggiarsi di fronte alla morte? Il credente sa che la sua vita sta nelle mani
di Dio: " Signore, nelle tue mani è la mia vita " (cf. Sal
16/15, 5), e da lui accetta anche il morire: " Questo è il decreto
del Signore per ogni uomo; perché ribellarsi al volere dell'Altissimo?
" (Sir 41, 4). Come della vita, così della morte l'uomo non è
padrone; nella sua vita come nella sua morte, egli deve affidarsi totalmente
al " volere dell'Altissimo ", al suo disegno di amore.
Anche nel momento della malattia, l'uomo è chiamato a vivere lo stesso
affidamento al Signore e a rinnovare la sua fondamentale fiducia in lui che
" guarisce tutte le malattie " (cf. Sal 103/102, 3). Quando ogni orizzonte
di salute sembra chiudersi di fronte all'uomo - tanto da indurlo a gridare:
" I miei giorni sono come ombra che declina, e io come erba inaridisco
" (Sal 102/101, 12) -, anche allora il credente è animato dalla
fede incrollabile nella potenza vivificante di Dio. La malattia non lo spinge
alla disperazione e alla ricerca della morte, ma all'invocazione piena di speranza:
" Ho creduto anche quando dicevo: "Sono troppo infelice" (Sal
116/115, 10); " Signore Dio mio, a te ho gridato e mi hai guarito. Signore,
mi hai fatto risalire dagli inferi, mi hai dato vita perché non scendessi
nella tomba " (Sal 30/29, 3-4).
47. La missione di Gesù,
con le numerose guarigioni operate, indica quanto Dio abbia a cuore anche la
vita corporale dell'uomo. " Medico della carne e dello spirito ",37
Gesù è mandato dal Padre ad annunciare la buona novella ai poveri
e a sanare i cuori affranti (cf. Lc 4, 18; Is 61, 1). Inviando poi i suoi discepoli
nel mondo, egli affida loro una missione, nella quale la guarigione dei malati
si accompagna all'annuncio del Vangelo: " E strada facendo, predicate che
il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti,
sanate i lebbrosi, cacciate i demoni " (Mt 10, 7-8; cf. Mc 6, 13; 16, 18).
Certo, la vita del corpo nella sua condizione terrena non è un assoluto
per il credente, tanto che gli può essere richiesto di abbandonarla per
un bene superiore; come dice Gesù, " chi vorrà salvare la
propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa
mia e del Vangelo, la salverà " (Mc 8, 35). Diverse sono, a questo
proposito, le testimonianze del Nuovo Testamento. Gesù non esita a sacrificare
sé stesso e, liberamente, fa della sua vita una offerta al Padre (cf.
Gv 10, 17) e ai suoi (cf. Gv 10, 15). Anche la morte di Giovanni il Battista,
precursore del Salvatore, attesta che l'esistenza terrena non è il bene
assoluto: è più importante la fedeltà alla parola del Signore
anche se essa può mettere in gioco la vita (cf. Mc 6, 17-29). E Stefano,
mentre viene privato della vita nel tempo, perché testimone fedele della
risurrezione del Signore, segue le orme del Maestro e va incontro ai suoi lapidatori
con le parole del perdono (cf. At 7, 59-60), aprendo la strada all'innumerevole
schiera di martiri, venerati dalla Chiesa fin dall'inizio.
Nessun uomo, tuttavia, può scegliere arbitrariamente di vivere o di morire;
di tale scelta, infatti, è padrone assoluto soltanto il Creatore, colui
nel quale " viviamo, ci muoviamo ed esistiamo " (At 17, 28).
" Quanti si attengono ad essa avranno la vita " (Bar 4, 1): dalla
Legge del Sinai al dono dello Spirito
48. La vita porta indelebilmente inscritta in sé una sua verità.
L'uomo, accogliendo il dono di Dio, deve impegnarsi amantenere la vita in questa
verità, che le è essenziale. Distaccarsene equivale a condannare
se stessi all'insignificanza e all'infelicità, con la conseguenza di
poter diventare anche una minaccia per l'esistenza altrui, essendo stati rotti
gli argini che garantiscono il rispetto e la difesa della vita, in ogni situazione.
La verità della vita è rivelata dal comandamento di Dio. La parola
del Signore indica concretamente quale indirizzo la vita debba seguire per poter
rispettare la propria verità e salvaguardare la propria dignità.
Non è soltanto lo specifico comandamento " non uccidere " (Es
20, 13; Dt 5, 17) ad assicurare la protezione della vita: tutta intera la Legge
del Signore è a servizio di tale protezione, perché rivela quella
verità nella quale la vita trova il suo pieno significato.
Non meraviglia, dunque, che l'Alleanza di Dio con il suo popolo sia così
fortemente legata alla prospettiva della vita, anche nella sua dimensione corporea.
Il comandamento è in essa offerto come via della vita: " Io pongo
oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi
ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare
i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi
e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere
in possesso " (Dt 30, 15-16). È in questione non soltanto la terra
di Canaan e l'esistenza del popolo di Israele, ma il mondo di oggi e del futuro
e l'esistenza di tutta l'umanità. Infatti, non è assolutamente
possibile che la vita resti autentica e piena distaccandosi dal bene; e il bene,
a sua volta, è essenzialmente legato ai comandamenti del Signore, cioè
alla " legge della vita " (Sir 17, 9). Il bene da compiere non si
sovrappone alla vita come un peso che grava su di essa, perché la ragione
stessa della vita è precisamente il bene e la vita è costruita
solo mediante il compimento del bene.
È dunque il complesso della Legge a salvaguardare pienamente la vita
dell'uomo. Ciò spiega come sia difficile mantenersi fedeli al "
non uccidere " quando non vengono osservate le altre " parole di vita
" (At 7, 38), alle quali questo comandamento è connesso. Al di fuori
di questo orizzonte, il comandamento finisce per diventare un semplice obbligo
estrinseco, di cui ben presto si vorranno vedere i limiti e si cercheranno le
attenuazioni o le eccezioni. Solo se ci si apre alla pienezza della verità
su Dio, sull'uomo e sulla storia, la parola " non uccidere " torna
a risplendere come bene per l'uomo in tutte le sue dimensioni e relazioni. In
questa prospettiva possiamo cogliere la pienezza di verità contenuta
nel passo del libro del Deuteronomio, ripreso da Gesù nella risposta
alla prima tentazione: " L'uomo non vive soltanto di pane, ma... di quanto
esce dalla bocca del Signore " (8, 3; cf. Mt 4, 4). È ascoltando
la parola del Signore che l'uomo può vivere secondo dignità e
giustizia; è osservando la Legge di Dio che l'uomo può portare
frutti di vita e di felicità: " quanti si attengono ad essa avranno
la vita, quanti l'abbandonano moriranno " (Bar 4, 1).
49. La storia di Israele
mostra quanto sia difficile mantenere la fedeltà alla legge della vita,
che Dio ha inscritto nel cuore degli uomini e ha consegnato sul Sinai al popolo
dell'Alleanza. Di fronte alla ricerca di progetti di vita alternativi al piano
di Dio, sono in particolare i Profeti a richiamare con forza che solo il Signore
è l'autentica fonte della vita. Così Geremia scrive: " Il
mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente
di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua
" (2, 13). I Profeti puntano il dito accusatore su quanti disprezzano la
vita e violano i diritti delle persone: " Calpestano come la polvere della
terra la testa dei poveri " (Am 2, 7); " Essi hanno riempito questo
luogo di sangue innocente " (Ger 19, 4). E tra essi il profeta Ezechiele
più volte stigmatizza la città di Gerusalemme, chiamandola "
la città sanguinaria " (22, 2; 24, 6.9), la " città
che sparge il sangue in mezzo a se stessa " (22, 3).
Ma mentre denunciano le offese alla vita, i Profeti si preoccupano soprattutto
di suscitare l'attesa di un nuovo principio di vita, capace di fondare un rinnovato
rapporto con Dio e con i fratelli, dischiudendo possibilità inedite e
straordinarie per comprendere e attuare tutte le esigenze insite nel Vangelo
della vita . Ciò sarà possibile unicamente grazie al dono di Dio,
che purifica e rinnova: " Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati;
io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli;
vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo
" (Ez 36, 25-26; cf. Ger 31, 31-34). Grazie a questo " cuore nuovo
" si può comprendere e realizzare il senso più vero e profondo
della vita: quello di essere un dono che si compie nel donarsi. È il
messaggio luminoso che sul valore della vita ci viene dalla figura del Servo
del Signore: " Quan- do offrirà se stesso in espiazione, vedrà
una discendenza, vivrà a lungo... Dopo il suo intimo tormento vedrà
la luce " (Is 53, 10.11).
È nella vicenda di Gesù di Nazaret che la Legge si compie e il
cuore nuovo viene donato mediante il suo Spirito. Gesù, infatti, non
rinnega la Legge, ma la porta a compimento (cf. Mt 5, 17): Legge e Profeti si
riassumono nella regola d'oro dell'amore reciproco (cf. Mt 7, 12). In Lui la
Legge diventa definitivamente " vangelo ", buona notizia della signoria
di Dio sul mondo, che riporta tutta l'esistenza alle sue radici e alle sue prospettive
originarie. È la Legge Nuova, " la legge dello Spirito che dà
vita in Cristo Gesù " (Rm 8, 2), la cui espressione fondamentale,
a imitazione del Signore che dà la vita per i propri amici (cf. Gv 15,
13), è il dono di sé nell'amore ai fratelli: " Noi sappiamo
di essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli "
(1 Gv 3, 14). È legge di libertà, di gioia e di beatitudine.
" Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto " (Gv 19, 37): sull'albero della Croce si compie il Vangelo della vita
50. Al termine di questo
capitolo, nel quale abbiamo meditato il messaggio cristiano sulla vita, vorrei
fermarmi con ciascuno di voi a contemplare Colui che hanno trafitto e che attira
tutti a sé (cf. Gv 19, 37; 12, 32). Guardando " lo spettacolo "
della Croce (cf. Lc 23, 48), potremo scoprire in questo albero glorioso il compimento
e la rivelazione piena di tutto il Vangelo della vita.
Nelle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, " il sole si eclissò
e si fece buio su tutta la terra... Il velo del tempio si squarciò nel
mezzo " (Lc 23, 44.45). È il simbolo di un grande sconvolgimento
cosmico e di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra
la vita e la morte. Noi pure, oggi, ci troviamo nel mezzo di una lotta drammatica
tra la " cultura della morte " e la " cultura della vita ".
Ma da questa oscurità lo splendore della Croce non viene sommerso; essa,
anzi, si staglia ancora più nitida e luminosa e si rivela come il centro,
il senso e il fine di tutta la storia e di ogni vita umana.
Gesù è inchiodato sulla Croce e viene innalzato da terra. Vive
il momento della sua massima " impotenza " e la sua vita sembra totalmente
consegnata agli scherni dei suoi avversari e alle mani dei suoi uccisori: viene
beffeggiato, deriso, oltraggiato (cf. Mc 15, 24-36). Eppure, proprio di fronte
a tutto ciò e " vistolo spirare in quel modo ", il centurione
romano esclama: " Veramente quest'uomo era Figlio di Dio! " (Mc 15,
39). Si rivela così, nel momento della sua estrema debolezza, l'identità
del Figlio di Dio: sulla Croce si manifesta la sua gloria!
Con la sua morte, Gesù illumina il senso della vita e della morte di
ogni essere umano. Prima di morire, Gesù prega il Padre invocando il
perdono per i suoi persecutori (cf. Lc 23, 34) e al malfattore, che gli chiede
di ricordarsi di lui nel suo regno, risponde: " In verità ti dico,
oggi sarai con me nel paradiso " (Lc 23, 43). Dopo la sua morte "
i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono " (Mt
27, 52). La salvezza operata da Gesù è donazione di vita e di
risurrezione. Lungo la sua esistenza, Gesù aveva donato salvezza anche
sanando e beneficando tutti (cf. At 10, 38). Ma i miracoli, le guarigioni e
le stesse risuscitazioni erano segno di un'altra salvezza, consistente nel perdono
dei peccati, ossia nella liberazione dell'uomo dalla malattia più profonda,
e nella sua elevazione alla vita stessa di Dio.
Sulla Croce si rinnova e si realizza nella sua piena e definitiva perfezione
il prodigio del serpente innalzato da Mosè nel deserto (cf. Gv 3, 14-15;
Nm 21, 8-9). Anche oggi, volgendo lo sguardo a Colui che è stato trafitto,
ogni uomo minacciato nella sua esistenza incontra la sicura speranza di trovare
liberazione e redenzione.
51. Ma c'è ancora
un altro avvenimento preciso che attira il mio sguardo e suscita la mia commossa
meditazione: " Dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: 'Tutto è
compiuto!'. E, chinato il capo, rese lo spirito " (Gv 19, 30). E il soldato
romano " gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì
sangue e acqua " (Gv 19, 34).
Tutto ormai è giunto al suo pieno compimento. Il " rendere lo spirito
" descrive la morte di Gesù, simile a quella di ogni altro essere
umano, ma sembra alludere anche al " dono dello Spirito ", col quale
Egli ci riscatta dalla morte e ci apre a una vita nuova.
È la vita stessa di Dio che viene partecipata all'uomo. È la vita
che, mediante i sacramenti della Chiesa - di cui il sangue e l'acqua sgorgati
dal fianco di Cristo sono simbolo - viene continuamente comunicata ai figli
di Dio, costituiti così come popolo della Nuova Alleanza. Dalla Croce,
fonte di vita, nasce e si diffonde il " popolo della vita ".
La contemplazione della Croce ci porta così alle radici più profonde
di quanto è accaduto. Gesù, che entrando nel mondo aveva detto:
" Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà " (cf.Eb 10,
9), si rese in tutto obbediente al Padre e, avendo " amato i suoi che erano
nel mondo, li amò sino alla fine " (Gv 13, 1), donando tutto se
stesso per loro.
Lui, che non era " venuto per essere servito, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per molti " (Mc 10, 45), raggiunge sulla Croce
il vertice dell'amore. " Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici " (Gv 15, 13). Ed egli è morto per
noi mentre eravamo ancora peccatori (cf. Rm 5, 8).
In tal modo egli proclama che la vita raggiunge il suo centro, il suo senso
e la sua pienezza quando viene donata.
La meditazione a questo punto si fa lode e ringraziamento e, nello stesso tempo,
ci sollecita a imitare Gesù e a seguirne le orme (cf. 1 Pt 2, 21).
Anche noi siamo chiamati a dare la nostra vita per i fratelli realizzando così
in pienezza di verità il senso e il destino della nostra esistenza.
Lo potremo fare perché Tu, o Signore, ci hai donato l'esempio e ci hai
comunicato la forza del tuo Spirito. Lo potremo fare se ogni giorno, con Te
e come Te, saremo obbedienti al Padre e faremo la sua volontà.
Concedici, perciò, di ascoltare con cuore docile e generoso ogni parola
che esce dalla bocca di Dio: impareremo così non solo a " non uccidere
" la vita dell'uomo, ma a venerarla, amarla e promuoverla.
CAPITOLO III
NON UCCIDERE
LA LEGGE SANTA DI DIO
" Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti " (Mt 19, 17): Vangelo e comandamento
52. " Ed ecco un tale
gli si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono
per ottenere la vita eterna?" " (Mt 19, 16). Gesù rispose:
" Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti " (Mt 19, 17).
Il Maestro parla della vita eterna, ossia della partecipazione alla vita stessa
di Dio. A questa vita si giunge attraverso l'osservanza dei comandamenti del
Signore, compreso dunque il comandamento " non uccidere ". Proprio
questo è il primo precetto del Decalogo che Gesù ricorda al giovane
che gli chiede quali comandamenti debba osservare: " Gesù rispose:
"Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare..." " (Mt
19, 18).
Il comandamento di Dio non è mai separato dal suo amore: è sempre
un dono per la crescita e la gioia dell'uomo. Come tale, costituisce un aspetto
essenziale e un elemento irrinunciabile del Vangelo, anzi esso stesso si configura
come " vangelo ", ossia buona e lieta notizia. Anche il Vangelo della
vita è un grande dono di Dio e insieme un compito impegnativo per l'uomo.
Esso suscita stupore e gratitudine nella persona libera e chiede di essere accolto,
custodito e valorizzato con vivo senso di responsabilità: donandogli
la vita, Dio esige dall'uomo che la ami, la rispetti e la promuova. In tal modo
il dono si fa comandamento, e il comandamento è esso stesso un dono.
L'uomo, immagine vivente di Dio, è voluto dal suo Creatore come re e
signore. " Dio ha fatto l'uomo - scrive san Gregorio di Nissa - in modo
tale che potesse svolgere la sua funzione di re della terra... L'uomo è
stato creato a immagine di Colui che governa l'universo. Tutto dimostra che
fin dal principio la sua natura è contrassegnata dalla regalità...
Anche l'uomo è re. Creato per dominare il mondo, ha ricevuto la somiglianza
col re universale, è l'immagine viva che partecipa con la sua dignità
alla perfezione del divino modello ".38 Chiamato ad essere fecondo e a
moltiplicarsi, a soggiogare la terra e a dominare sugli esseri infraumani (cf.
Gn 1, 28), l'uomo è re e signore non solo delle cose, ma anche ed anzitutto
di se stesso 39 e, in un certo senso, della vita che gli è donata e che
egli puó trasmettere mediante l'opera generatrice compiuta nell'amore
e nel rispetto del disegno di Dio. La sua, tuttavia, non è una signoria
assoluta, ma ministeriale; è riflesso reale della signoria unica e infinita
di Dio. Per questo l'uomo deve viverla con sapienza e amore, partecipando alla
sapienza e all'amore incommensurabili di Dio. E ciò avviene con l'obbedienza
alla sua Legge santa: un'obbedienza libera e gioiosa (cf. Sal 119/118), che
nasce ed è nutrita dalla consapevolezza che i precetti del Signore sono
dono di grazia affidati all'uomo sempre e solo per il suo bene, per la custodia
della sua dignità personale e per il perseguimento della sua felicità.
Come già di fronte alle cose, ancor più di fronte alla vita, l'uomo
non è padrone assoluto e arbitro insindacabile, ma - e in questo sta
la sua impareggiabile grandezza - è " ministro del disegno di Dio
".40
La vita viene affidata all'uomo come un tesoro da non disperdere, come un talento
da trafficare. Di essa l'uomo deve rendere conto al suo Signore (cf. Mt 25,
14-30; Lc 19, 12-27).
" Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo " (Gn 9, 5): la vita umana è sacra e inviolabile
53. " La vita umana
è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta "l'azione creatrice
di Dio" e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore,
suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla
sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé
il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente ".41 Con
queste parole l'Istruzione Donum vitae espone il contenuto centrale della rivelazione
di Dio sulla sacralità e inviolabilità della vita umana.
La Sacra Scrittura, infatti, presenta all'uomo il precetto " non uccidere
" come comandamento divino (Es 20, 13; Dt 5, 17). Esso - come ho già
sottolineato - si trova nel Decalogo, al cuore dell'Alleanza che il Signore
conclude con il popolo eletto; ma era già contenuto nell'originaria alleanza
di Dio con l'umanità dopo il castigo purificatore del diluvio, provocato
dal dilagare del peccato e della violenza (cf. Gn 9, 5-6).
Dio si proclama Signore assoluto della vita dell'uomo, plasmato a sua immagine
e somiglianza (cf. Gn 1, 26-28). La vita umana presenta, pertanto, un carattere
sacro ed inviolabile, in cui si rispecchia l'inviolabilità stessa del
Creatore. Proprio per questo sarà Dio a farsi giudice severo di ogni
violazione del comandamento " non uccidere ", posto alle basi dell'intera
convivenza sociale. Egli è il " goel ", ossia il difensore
dell'innocente (cf. Gn 4, 9-15; Is 41, 14; Ger 50, 34; Sal 19/18, 15). Anche
in questo modo Dio dimostra di non godere della rovina dei viventi (cf. Sap
1, 13). Solo Satana ne può godere: per la sua invidia la morte è
entrata nel mondo (cf. Sap 2, 24). Egli, che è " omicida fin da
principio ", è anche " menzognero e padre della menzogna "
(Gv 8, 44): ingannando l'uomo, lo conduce a traguardi di peccato e di morte,
presentati come mete e frutti di vita.
54. Esplicitamente, il
precetto " non uccidere " ha un forte contenuto negativo: indica il
confine estremo che non può mai essere valicato. Implicitamente, però,
esso spinge ad un atteggiamento positivo di rispetto assoluto per la vita portando
a promuoverla e a progredire sulla via dell'amore che si dona, accoglie e serve.
Anche il popolo dell'Alleanza, pur con lentezze e contraddizioni, ha conosciuto
una maturazione progressiva secondo questo orientamento, preparandosi così
al grande annuncio di Gesù: l'amore del prossimo è comandamento
simile a quello dell'amore di Dio; " da questi due comandamenti dipende
tutta la Legge e i Profeti " (cf. Mt 22, 36-40). " Il precetto...
non uccidere... e qualsiasi altro comandamento - sottolinea san Paolo - si riassume
in queste parole: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" " (Rm
13, 9; cf. Gal 5, 14). Assunto e portato a compimento nella Legge Nuova, il
precetto " non uccidere " rimane come condizione irrinunciabile per
poter " entrare nella vita " (cf. Mt 19, 16-19). In questa stessa
prospettiva, risuona perentoria anche la parola dell'apostolo Giovanni: "
Chiun- que odia il proprio fratello è omicida e voi sapete che nessun
omicida possiede in se stesso la vita eterna " (1 Gv 3, 15).
Sin dai suoi inizi, la Tradizione viva della Chiesa - come testimonia la Didachè,
il più antico scritto cristiano non biblico - ha riproposto in modo categorico
il comandamento " non uccidere ": " Vi sono due vie, una della
vita, e l'altra della morte; vi è una grande differenza fra di esse...
Secondo precetto della dottrina: Non ucciderai... non farai perire il bambino
con l'aborto né l'ucciderai dopo che è nato... La via della morte
è questa: ... non hanno compassione per il povero, non soffrono con il
sofferente, non riconoscono il loro Creatore, uccidono i loro figli e con l'aborto
fanno perire creature di Dio; allontanano il bisognoso, opprimono il tribolato,
sono avvocati dei ricchi e giudici ingiusti dei poveri; sono pieni di ogni peccato.
Possiate star sempre lontani, o figli, da tutte queste colpe! ".42
Procedendo nel tempo, la stessa Tradizione della Chiesa ha sempre unanimemente
insegnato il valore assoluto e permanente del comandamento " non uccidere
". È noto che, nei primi secoli, l'omicidio veniva posto fra i tre
peccati più gravi - insieme all'apostasia e all'adulterio - e si esigeva
una penitenza pubblica particolarmente onerosa e lunga prima che all'omicida
pentito venissero concessi il perdono e la riammissione nella comunione ecclesiale.
55. La cosa non deve stupire:
uccidere l'essere umano, nel quale è presente l'immagine di Dio, è
peccato di particolare gravità. Solo Dio è padrone della vita!
Da sempre, tuttavia, di fronte ai molteplici e spesso drammatici casi che la
vita individuale e sociale presenta, la riflessione dei credenti ha cercato
di raggiungere un'intelligenza più completa e profonda di quanto il comandamento
di Dio proibisca e prescriva.43 Vi sono, infatti, situazioni in cui i valori
proposti dalla Legge di Dio appaiono sotto forma di un vero paradosso. È
il caso, ad esempio, della legittima difesa, in cui il diritto a proteggere
la propria vita e il dovere di non ledere quella dell'altro risultano in concreto
difficilmente componibili. Indubbiamente, il valore intrinseco della vita e
il dovere di portare amore a se stessi non meno che agli altri fondano un vero
diritto alla propria difesa. Lo stesso esigente precetto dell'amore per gli
altri, enunciato nell'Antico Testamento e confermato da Gesù, suppone
l'amore per se stessi quale termine di confronto: " Amerai il prossimo
tuo come te stesso " (Mc 12, 31). Al diritto di difendersi, dunque, nessuno
potrebbe rinunciare per scarso amore alla vita o a se stesso, ma solo in forza
di un amore eroico, che approfondisce e trasfigura lo stesso amore di sé,
secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf. Mt 5, 38-48) nella radicalità
oblativa di cui è esempio sublime lo stesso Signore Gesù.
D'altra parte, " la legittima difesa può essere non soltanto un
diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri,
del bene comune della famiglia o della comunità civile ".44 Accade
purtroppo che la necessità di porre l'aggressore in condizione di non
nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l'esito mortale
va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione,
anche nel caso in cui egli non fosse moralmente responsabile per mancanza dell'uso
della ragione.45
56. In questo orizzonte
si colloca anche il problema della pena di morte, su cui si registra, nella
Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede
un'applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione. Il problema va
inquadrato nell'ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme
alla dignità dell'uomo e pertanto, in ultima analisi, al disegno di Dio
sull'uomo e sulla società. In effetti, la pena che la società
infligge " ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla
colpa ".46 La pubblica autorità deve farsi vindice della violazione
dei diritti personali e sociali mediante l'imposizione al reo di una adeguata
espiazione del crimine, quale condizione per essere riammesso all'esercizio
della propria libertà. In tal modo l'autorità ottiene anche lo
scopo di difendere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, non senza
offrire allo stesso reo uno stimolo e un aiuto a correggersi e redimersi.47
È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la
misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e
decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo
se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della
società non fosse possibile altrimenti. Oggi, però, a seguito
dell'organizzazione sempre più adeguata dell'istituzione penale, questi
casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.
In ogni caso resta valido il principio indicato dal nuovo Catechismo della Chiesa
Cattolica, secondo cui " se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere
le vite umane dall'aggressore e per proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza
delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché
essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono
più conformi alla dignità della persona umana ".48
57. Se così grande
attenzione va posta al rispetto di ogni vita, persino di quella del reo e dell'ingiusto
aggressore, il comandamento " non uccidere " ha valore assoluto quando
si riferisce alla persona innocente. E ciò tanto più se si tratta
di un essere umano debole e indifeso, che solo nella forza assoluta del comandamento
di Dio trova la sua radicale difesa rispetto all'arbitrio e alla prepotenza
altrui.
In effetti, l'inviolabilità assoluta della vita umana innocente è
una verità morale esplicitamente insegnata nella Sacra Scrittura, costantemente
ritenuta nella Tradizione della Chiesa e unanimemente proposta dal suo Magistero.
Tale unanimità è frutto evidente di quel " senso soprannaturale
della fede " che, suscitato e sorretto dallo Spirito Santo, garantisce
dall'errore il popolo di Dio, quando " esprime l'universale suo consenso
in materia di fede e di costumi ".49
Dinanzi al progressivo attenuarsi nelle coscienze e nella società della
percezione dell'assoluta e grave illiceità morale della diretta soppressione
di ogni vita umana innocente, specialmente al suo inizio e al suo termine, il
Magistero della Chiesa ha intensificato i suoi interventi a difesa della sacralità
e dell'inviolabilità della vita umana. Al Magistero pontificio, particolarmente
insistente, s'è sempre unito quello episcopale, con numerosi e ampi documenti
dottrinali e pastorali, sia di Conferenze Episcopali, sia di singoli Vescovi.
Né è mancato, forte e incisivo nella sua brevità, l'intervento
del Concilio Vaticano II.50
Pertanto, con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori,
in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'uccisione
diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente
immorale. Tale dottrina, fondata in quella legge non scritta che ogni uomo,
alla luce della ragione, trova nel proprio cuore (cf. Rm 2, 14-15), è
riaffermata dalla Sacra Scrittura, trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e
insegnata dal Magistero ordinario e universale.51
La scelta deliberata di privare un essere umano innocente della sua vita è
sempre cattiva dal punto di vista morale e non può mai essere lecita
né come fine, né come mezzo per un fine buono. È, infatti,
grave disobbedienza alla legge morale, anzi a Dio stesso, autore e garante di
essa; contraddice le fondamentali virtù della giustizia e della carità.
" Niente e nessuno può autorizzare l'uccisione di un essere umano
innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile
o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida
per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né
può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità
può legittimamente imporlo né permetterlo ".52
Nel diritto alla vita, ogni essere umano innocente è assolutamente uguale
a tutti gli altri. Tale uguaglianza è la base di ogni autentico rapporto
sociale che, per essere veramente tale, non può non fondarsi sulla verità
e sulla giustizia, riconoscendo e tutelando ogni uomo e ogni donna come persona
e non come una cosa di cui si possa disporre. Di fronte alla norma morale che
proibisce la soppressione diretta di un essere umano innocente " non ci
sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo
o l'ultimo miserabile sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti
alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali ".53
" Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi " (Sal 139/138, 16):
il delitto abominevole dell'aborto
58. Fra tutti i delitti
che l'uomo può compiere contro la vita, l'aborto procurato presenta caratteristiche
che lo rendono particolarmente grave e deprecabile. Il Concilio Vaticano II
lo definisce, insieme all'infanticidio, " delitto abominevole ".54
Ma oggi, nella coscienza di molti, la percezione della sua gravità è
andata progressivamente oscurandosi. L'accettazione dell'aborto nella mentalità,
nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima
crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere
tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale
alla vita. Di fronte a una così grave situazione, occorre più
che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le
cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione
di autoinganno. A tale proposito risuona categorico il rimprovero del Profeta:
" Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano
le tenebre in luce e la luce in tenebre " (Is 5, 20). Proprio nel caso
dell'aborto si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella
di " interruzione della gravidanza ", che tende a nasconderne la vera
natura e ad attenuarne la gravità nell'opinione pubblica. Forse questo
fenomeno linguistico è esso stesso sintomo di un disagio delle coscienze.
Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l'aborto procurato
è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere
umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento
e la nascita.
La gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta la sua verità
se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in particolare, se si considerano
le circostanze specifiche che lo qualificano. Chi viene soppresso è un
essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente
in assoluto si possa immaginare: mai potrebbe essere considerato un aggressore,
meno che mai un ingiusto aggressore! È debole, inerme, al punto di essere
privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza
implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato
alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo. Eppure, talvolta,
è proprio lei, la mamma, a deciderne e a chiederne la soppressione e
persino a procurarla.
È vero che molte volte la scelta abortiva riveste per la madre carattere
drammatico e doloroso, in quanto la decisione di disfarsi del frutto del concepimento
non viene presa per ragioni puramente egoistiche e di comodo, ma perché
si vorrebbero salvaguardare alcuni importanti beni, quali la propria salute
o un livello dignitoso di vita per gli altri membri della famiglia. Talvolta
si temono per il nascituro condizioni di esistenza tali da far pensare che per
lui sarebbe meglio non nascere. Tuttavia, queste e altre simili ragioni, per
quanto gravi e drammatiche, non possono mai giustificare la soppressione deliberata
di un essere umano innocente.
59. A decidere della morte
del bambino non ancora nato, accanto alla madre, ci sono spesso altre persone.
Anzitutto, può essere colpevole il padre del bambino, non solo quando
espressamente spinge la donna all'aborto, ma anche quando indirettamente favorisce
tale sua decisione perché la lascia sola di fronte ai problemi della
gravidanza: 55 in tal modo la famiglia viene mortalmente ferita e profanata
nella sua natura di comunità di amore e nella sua vocazione ad essere
" santuario della vita ". Né vanno taciute le sollecitazioni
che a volte provengono dal più ampio contesto familiare e dagli amici.
Non di rado la donna è sottoposta a pressioni talmente forti da sentirsi
psicologicamente costretta a cedere all'aborto: non v'è dubbio che in
questo caso la responsabilità morale grava particolarmente su quelli
che direttamente o indirettamente l'hanno forzata ad abortire. Responsabili
sono pure i medici e il personale sanitario, quando mettono a servizio della
morte la competenza acquisita per promuovere la vita.
Ma la responsabilità coinvolge anche i legislatori, che hanno promosso
e approvato leggi abortive e, nella misura in cui la cosa dipende da loro, gli
amministratori delle strutture sanitarie utilizzate per praticare gli aborti.
Una responsabilità generale non meno grave riguarda sia quanti hanno
favorito il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e
disistima della maternità, sia coloro che avrebbero dovuto assicurare
- e non l'hanno fatto - valide politiche familiari e sociali a sostegno delle
famiglie, specialmente di quelle numerose o con particolari difficoltà
economiche ed educative. Non si può infine sottovalutare la rete di complicità
che si allarga fino a comprendere istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni
che si battono sistematicamente per la legalizzazione e la diffusione dell'aborto
nel mondo. In tal senso l'aborto va oltre la responsabilità delle singole
persone e il danno loro arrecato, assumendo una dimensione fortemente sociale:
è una ferita gravissima inferta alla società e alla sua cultura
da quanti dovrebbero esserne i costruttori e i difensori. Come ho scritto nella
mia Lettera alle Famiglie, " ci troviamo di fronte ad un'enorme minaccia
contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell'intera civiltà
".56 Ci troviamo di fronte a quella che può definirsi una "
struttura di peccato " contro la vita umana non ancora nata.
60. Alcuni tentano di giustificare
l'aborto sostenendo che il frutto del concepimento, almeno fin a un certo numero
di giorni, non può essere ancora considerato una vita umana personale.
In realtà, " dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura
una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere
umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non
lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre... la scienza genetica
moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante
si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente:
una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già
ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l'avventura di una
vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per
impostarsi e per trovarsi pronta ad agire ".57 Anche se la presenza di
un'anima spirituale non può essere rilevata dall'osservazione di nessun
dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull'embrione umano
a fornire " un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza
personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo
umano non sarebbe una persona umana? ".58
Del resto, tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell'obbligo
morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona
per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a
sopprimere l'embrione umano. Proprio per questo, al di là dei dibattiti
scientifici e delle stesse affermazioni filosofiche nelle quali il Magistero
non si è espressamente impegnato, la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora
insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua
esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto
all'essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale:
" L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo
concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere
i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni
essere umano innocente alla vita ".59
61. I testi della Sacra
Scrittura, che non parlano mai di aborto volontario e quindi non presentano
condanne dirette e specifiche in proposito, mostrano una tale considerazione
dell'essere umano nel grembo materno, da esigere come logica conseguenza che
anche ad esso si estenda il comandamento di Dio: " non uccidere ".
La vita umana è sacra e inviolabile in ogni momento della sua esistenza,
anche in quello iniziale che precede la nascita. L'uomo, fin dal grembo materno,
appartiene a Dio che tutto scruta e conosce, che lo forma e lo plasma con le
sue mani, che lo vede mentre è ancora un piccolo embrione informe e che
in lui intravede l'adulto di domani i cui giorni sono contati e la cui vocazione
è già scritta nel " libro della vita " (cf. Sal 139/138,
1.13-16). Anche lì, quando è ancora nel grembo materno, - come
testimoniano numerosi testi biblici 60 - l'uomo è il termine personalissimo
dell'amorosa e paterna provvidenza di Dio.
La Tradizione cristiana - come ben rileva la Dichiarazione emanata al riguardo
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede 61 - è chiara e unanime,
dalle origini fino ai nostri giorni, nel qualificare l'aborto come disordine
morale particolarmente grave. Fin dal suo primo confronto con il mondo greco-romano,
nel quale erano ampiamente praticati l'aborto e l'infanticidio, la comunità
cristiana si è radicalmente opposta, con la sua dottrina e con la sua
prassi, ai costumi diffusi in quella società, come dimostra la già
citata Didachè.62 Tra gli scrittori ecclesiastici di area greca, Atenagora
ricorda che i cristiani considerano come omicide le donne che fanno ricorso
a medicine abortive, perché i bambini, anche se ancora nel seno della
madre, " sono già l'oggetto delle cure della Provvidenza divina
".63 Tra i latini, Tertulliano afferma: " È un omicidio anticipato
impedire di nascere; poco importa che si sopprima l'anima già nata o
che la si faccia scomparire nel nascere. È già un uomo colui che
lo sarà ".64
Lungo la sua storia ormai bimillenaria, questa medesima dottrina è stata
costantemente insegnata dai Padri della Chiesa, dai suoi Pastori e Dottori.
Anche le discussioni di carattere scientifico e filosofico circa il momento
preciso dell'infusione dell'anima spirituale non hanno mai comportato alcuna
esitazione circa la condanna morale dell'aborto.
62. Il più recente
Magistero pontificio ha ribadito con grande vigore questa dottrina comune. In
particolare Pio XI nell'Enciclica Casti connubii ha respinto le pretestuose
giustificazioni dell'aborto; 65 Pio XII ha escluso ogni aborto diretto, cioè
ogni atto che tende direttamente a distruggere la vita umana non ancora nata,
" sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo
al fine "; 66 Giovanni XXIII ha riaffermato che la vita umana è
sacra, perché " fin dal suo affiorare impegna direttamente l'azione
creatrice di Dio ".67 Il Concilio Vaticano II, come già ricordato,
ha condannato con grande severità l'aborto: " La vita, una volta
concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio
sono abominevoli delitti ".68
La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni
penali coloro che si macchiavano della colpa dell'aborto e tale prassi, con
pene più o meno gravi, è stata confermata nei vari periodi storici.
Il Codice di Diritto Canonico del 1917 comminava per l'aborto la pena della
scomunica.69 Anche la rinnovata legislazione canonica si pone in questa linea
quando sancisce che " chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre
nella scomunica latae sententiae ",70 cioè automatica. La scomunica
colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi
anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: 71
con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più
gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente
la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica
è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di
un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza.
Di fronte a una simile unanimità nella tradizione dottrinale e disciplinare
della Chiesa, Paolo VI ha potuto dichiarare che tale insegnamento non è
mutato ed è immutabile.72 Pertanto, con l'autorità che Cristo
ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi - che
a varie riprese hanno condannato l'aborto e che nella consultazione precedentemente
citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa
dottrina - dichiaro che l'aborto diretto, cioè voluto come fine o come
mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata
di un essere umano innocente. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale
e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa
ed insegnata dal Magistero ordinario e universale.73
Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà
mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché
contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla
ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa.
63. La valutazione morale
dell'aborto è da applicare anche alle recenti forme di intervento sugli
embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano
inevitabilmente l'uccisione. È il caso della sperimentazione sugli embrioni,
in crescente espansione nel campo della ricerca biomedica e legalmente ammessa
in alcuni Stati. Se " si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione
umano a patto che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non
comportino per lui rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione,
al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale
",74 si deve invece affermare che l'uso degli embrioni o dei feti umani
come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro
dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto
al bambino già nato e ad ogni persona.75
La stessa condanna morale riguarda anche il procedimento che sfrutta gli embrioni
e i feti umani ancora vivi - talvolta " prodotti " appositamente per
questo scopo mediante la fecondazione in vitro - sia come " materiale biologico
" da utilizzare sia come fornitori di organi o di tessuti da trapiantare
per la cura di alcune malattie. In realtà, l'uccisione di creature umane
innocenti, seppure a vantaggio di altre, costituisce un atto assolutamente inaccettabile.
Una speciale attenzione deve essere riservata alla valutazione morale delle
tecniche diagnostiche prenatali, che permettono di individuare precocemente
eventuali anomalie del nascituro. Infatti, per la complessità di queste
tecniche, tale valutazione deve farsi più accurata e articolata. Quando
sono esenti da rischi sproporzionati per il bambino e per la madre e sono ordinate
a rendere possibile una terapia precoce o anche a favorire una serena e consapevole
accettazione del nascituro, queste tecniche sono moralmente lecite. Dal momento
però che le possibilità di cura prima della nascita sono oggi
ancora ridotte, accade non poche volte che queste tecniche siano messe al servizio
di una mentalità eugenetica, che accetta l'aborto selettivo, per impedire
la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie. Una simile mentalità
è ignominiosa e quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare
il valore di una vita umana soltanto secondo parametri di " normalità
" e di benessere fisico, aprendo così la strada alla legittimazione
anche dell'infanticidio e dell'eutanasia.
In realtà, però, proprio il coraggio e la serenità con
cui tanti nostri fratelli, affetti da gravi menomazioni, conducono la loro esistenza
quando sono da noi accettati ed amati, costituiscono una testimonianza particolarmente
efficace dei valori autentici che qualificano la vita e che la rendono, anche
in condizioni di difficoltà, preziosa per sé e per gli altri.
La Chiesa è vicina a quei coniugi che, con grande ansia e sofferenza,
accettano di accogliere i loro bambini gravemente colpiti da handicap, così
come è grata a tutte quelle famiglie che, con l'adozione, accolgono quanti
sono stati abbandonati dai loro genitori a motivo di menomazioni o malattie.
" Sono io che do la morte e faccio vivere " (Dt 32, 39): il dramma dell'eutanasia
64. All'altro capo dell'esistenza,
l'uomo si trova posto di fronte al mistero della morte. Oggi, in seguito ai
progressi della medicina e in un contesto culturale spesso chiuso alla trascendenza,
l'esperienza del morire si presenta con alcune caratteristiche nuove. Infatti,
quando prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta
piacere e benessere, la sofferenza appare come uno scacco insopportabile, di
cui occorre liberarsi ad ogni costo. La morte, considerata " assurda "
se interrompe improvvisamente una vita ancora aperta a un futuro ricco di possibili
esperienze interessanti, diventa invece una " liberazione rivendicata "
quando l'esistenza è ritenuta ormai priva di senso perché immersa
nel dolore e inesorabilmente votata ad un'ulteriore più acuta sofferenza.
Inoltre, rifiutando o dimenticando il suo fondamentale rapporto con Dio, l'uomo
pensa di essere criterio e norma a se stesso e ritiene di avere il diritto di
chiedere anche alla società di garantirgli possibilità e modi
di decidere della propria vita in piena e totale autonomia. È, in particolare,
l'uomo che vive nei Paesi sviluppati a comportarsi così: egli si sente
spinto a ciò anche dai continui progressi della medicina e dalle sue
tecniche sempre più avanzate. Mediante sistemi e apparecchiature estremamente
sofisticati, la scienza e la pratica medica sono oggi in grado non solo di risolvere
casi precedentemente insolubili e di lenire o eliminare il dolore, ma anche
di sostenere e protrarre la vita perfino in situazioni di debolezza estrema,
di rianimare artificialmente persone le cui funzioni biologiche elementari hanno
subito tracolli improvvisi, di intervenire per rendere disponibili organi da
trapiantare.
In un tale contesto si fa sempre più forte la tentazione dell'eutanasia,
cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo
così fine " dolcemente " alla vita propria o altrui. In realtà,
ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità
si presenta assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più
allarmanti della " cultura di morte ", che avanza soprattutto nelle
società del benessere, caratterizzate da una mentalità efficientistica
che fa apparire troppo oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone
anziane e debilitate. Esse vengono molto spesso isolate dalla famiglia e dalla
società, organizzate quasi esclusivamente sulla base di criteri di efficienza
produttiva, secondo i quali una vita irrimediabilmente inabile non ha più
alcun valore.
65. Per un corretto giudizio
morale sull'eutanasia, occorre innanzitutto chiaramente definirla. Per eutanasia
in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura
sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore.
" L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi
usati ".76
Da essa va distinta la decisione di rinunciare al cosiddetto " accanimento
terapeutico ", ossia a certi interventi medici non più adeguati
alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati
che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per
la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente
e inevitabile, si può in coscienza " rinunciare a trattamenti che
procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza
tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi ".77
Si dà certamente l'obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale
obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare
se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto
alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati
non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto l'accettazione della
condizione umana di fronte alla morte.78
Nella medicina moderna vanno acquistando rilievo particolare le cosiddette "
cure palliative ", destinate a rendere più sopportabile la sofferenza
nella fase finale della malattia e ad assicurare al tempo stesso al paziente
un adeguato accompagnamento umano. In questo contesto sorge, tra gli altri,
il problema della liceità del ricorso ai diversi tipi di analgesici e
sedativi per sollevare il malato dal dolore, quando ciò comporta il rischio
di abbreviargli la vita. Se, infatti, può essere considerato degno di
lode chi accetta volontariamente di soffrire rinunciando a interventi antidolorifici
per conservare la piena lucidità e partecipare, se credente, in maniera
consapevole alla passione del Signore, tale comportamento " eroico "
non può essere ritenuto doveroso per tutti. Già Pio XII aveva
affermato che è lecito sopprimere il dolore per mezzo di narcotici, pur
con la conseguenza di limitare la coscienza e di abbreviare la vita, "
se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce
l'adempimento di altri doveri religiosi e morali ".79 In questo caso, infatti,
la morte non è voluta o ricercata, nonostante che per motivi ragionevoli
se ne corra il rischio: semplicemente si vuole lenire il dolore in maniera efficace,
ricorrendo agli analgesici messi a disposizione dalla medicina. Tuttavia, "
non si deve privare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo
": 80 avvicinandosi alla morte, gli uomini devono essere in grado di poter
soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono potersi
preparare con piena coscienza all'incontro definitivo con Dio.
Fatte queste distinzioni, in conformità con il Magistero dei miei Predecessori
81 e in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'eutanasia
è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata
moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata
sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla
Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale.82
Una tale pratica comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del
suicidio o dell'omicidio.
66. Ora, il suicidio è
sempre moralmente inaccettabile quanto l'omicidio. La tradizione della Chiesa
l'ha sempre respinto come scelta gravemente cattiva.83 Benché determinati
condizionamenti psicologici, culturali e sociali possano portare a compiere
un gesto che contraddice così radicalmente l'innata inclinazione di ognuno
alla vita, attenuando o annullando la responsabilità soggettiva, il suicidio,
sotto il profilo oggettivo, è un atto gravemente immorale, perché
comporta il rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia
e di carità verso il prossimo, verso le varie comunità di cui
si fa parte e verso la società nel suo insieme.84 Nel suo nucleo più
profondo, esso costituisce un rifiuto della sovranità assoluta di Dio
sulla vita e sulla morte, così proclamata nella preghiera dell'antico
saggio di Israele: " Tu hai potere sulla vita e sulla morte; conduci giù
alle porte degli inferi e fai risalire " (Sap 16, 13; cf. Tb 13, 2).
Condividere l'intenzione suicida di un altro e aiutarlo a realizzarla mediante
il cosiddetto " suicidio assistito " significa farsi collaboratori,
e qualche volta attori in prima persona, di un'ingiustizia, che non può
mai essere giustificata, neppure quando fosse richiesta. " Non è
mai lecito - scrive con sorprendente attualità sant'Agostino - uccidere
un altro: anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché, sospeso
tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l'anima che lotta
contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure
quando il malato non fosse più in grado di vivere ".85 Anche se
non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre,
l'eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante "
perversione " di essa: la vera " compassione ", infatti, rende
solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare
la sofferenza. E tanto più perverso appare il gesto dell'eutanasia se
viene compiuto da coloro che - come i parenti - dovrebbero assistere con pazienza
e con amore il loro congiunto o da quanti - come i medici -, per la loro specifica
professione, dovrebbero curare il malato anche nelle condizioni terminali più
penose.
La scelta dell'eutanasia diventa più grave quando si configura come un
omicidio che gli altri praticano su una persona che non l'ha richiesta in nessun
modo e che non ha mai dato ad essa alcun consenso. Si raggiunge poi il colmo
dell'arbitrio e dell'ingiustizia quando alcuni, medici o legislatori, si arrogano
il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. Si ripropone così
la tentazione dell'Eden: diventare come Dio " conoscendo il bene e il male
" (cf. Gn 3, 5). Ma Dio solo ha il potere di far morire e di far vivere:
" Sono io che do la morte e faccio vivere " (Dt 32, 39; cf. 2 Re 5,
7; 1 Sam 2, 6). Egli attua il suo potere sempre e solo secondo un disegno di
sapienza e di amore. Quando l'uomo usurpa tale potere, soggiogato da una logica
di stoltezza e di egoismo, inevitabilmente lo usa per l'ingiustizia e per la
morte.
Così la vita del più debole è messa nelle mani del più
forte; nella società si perde il senso della giustizia ed è minata
alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra
le persone.
67. Ben diversa, invece,
è la via dell'amore e della vera pietà, che la nostra comune umanità
impone e che la fede in Cristo Redentore, morto e risorto, illumina con nuove
ragioni. La domanda che sgorga dal cuore dell'uomo nel confronto supremo con
la sofferenza e la morte, specialmente quando è tentato di ripiegarsi
nella disperazione e quasi di annientarsi in essa, è soprattutto domanda
di compagnia, di solidarietà e di sostegno nella prova. È richiesta
di aiuto per continuare a sperare, quando tutte le speranze umane vengono meno.
Come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, " in faccia alla morte l'enigma
della condizione umana diventa sommo " per l'uomo; e tuttavia " l'istinto
del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di
una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe
dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla
sola materia, insorge contro la morte ".86
Questa naturale ripugnanza per la morte e questa germinale speranza di immortalità
sono illuminate e portate a compimento dalla fede cristiana, che promette e
offre la partecipazione alla vittoria del Cristo Risorto: è la vittoria
di Colui che, mediante la sua morte redentrice, ha liberato l'uomo dalla morte,
" salario del peccato " (Rm 6, 23), e gli ha donato lo Spirito, pegno
di risurrezione e di vita (cf. Rm 8, 11). La certezza dell'immortalità
futura e la speranza nella risurrezione promessa proiettano una luce nuova sul
mistero del soffrire e del morire e infondono nel credente una forza straordinaria
per affidarsi al disegno di Dio.
L'apostolo Paolo ha espresso questa novità nei termini di un'appartenenza
totale al Signore che abbraccia qualsiasi condizione umana: " Nessuno di
noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo,
viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo,
sia che moriamo, siamo dunque del Signore " (Rm 14, 7-8). Morire per il
Signore significa vivere la propria morte come atto supremo di obbedienza al
Padre (cf. Fil 2, 8), accettando di incontrarla nell'" ora " voluta
e scelta da lui (cf. Gv 13, 1), che solo può dire quando il cammino terreno
è compiuto. Vivere per il Signore significa anche riconoscere che la
sofferenza, pur restando in se stessa un male e una prova, può sempre
diventare sorgente di bene. Lo diventa se viene vissuta per amore e con amore,
nella partecipazione, per dono gratuito di Dio e per libera scelta personale,
alla sofferenza stessa di Cristo crocifisso. In tal modo, chi vive la sua sofferenza
nel Signore viene più pienamente conformato a lui (cf. Fil 3, 10; 1 Pt
2, 21) e intimamente associato alla sua opera redentrice a favore della Chiesa
e dell'umanità.87 È questa l'esperienza dell'Apostolo, che anche
ogni persona che soffre è chiamata a rivivere: " Sono lieto delle
sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca
alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è
la Chiesa " (Col 1, 24).
" Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini " (At 5, 29): la legge civile e la legge morale
68. Una delle caratteristiche
proprie degli attuali attentati alla vita umana - come si è già
detto più volte - consiste nella tendenza ad esigere una loro legittimazione
giuridica, quasi fossero diritti che lo Stato, almeno a certe condizioni, deve
riconoscere ai cittadini e, conseguentemente, nella tendenza a pretendere la
loro attuazione con l'assistenza sicura e gratuita dei medici e degli operatori
sanitari.
Si pensa non poche volte che la vita di chi non è ancora nato o è
gravemente debilitato sia un bene solo relativo: secondo una logica proporzionalista
o di puro calcolo, dovrebbe essere confrontata e soppesata con altri beni. E
si ritiene pure che solo chi si trova nella situazione concreta e vi è
personalmente coinvolto possa compiere una giusta ponderazione dei beni in gioco:
di conseguenza, solo lui potrebbe decidere della moralità della sua scelta.
Lo Stato, perciò, nell'interesse della convivenza civile e dell'armonia
sociale, dovrebbe rispettare questa scelta, giungendo anche ad ammettere l'aborto
e l'eutanasia.
Si pensa, altre volte, che la legge civile non possa esigere che tutti i cittadini
vivano secondo un grado di moralità più elevato di quello che
essi stessi riconoscono e condividono. Per questo la legge dovrebbe sempre esprimere
l'opinione e la volontà della maggioranza dei cittadini e riconoscere
loro, almeno in certi casi estremi, anche il diritto all'aborto e all'eutanasia.
Del resto, la proibizione e la punizione dell'aborto e dell'eutanasia in questi
casi condurrebbero inevitabilmente - così si dice - ad un aumento di
pratiche illegali: esse, peraltro, non sarebbero soggette al necessario controllo
sociale e verrebbero attuate senza la dovuta sicurezza medica. Ci si chiede,
inoltre, se sostenere una legge concretamente non applicabile non significhi,
alla fine, minare anche l'autorità di ogni altra legge.
Nelle opinioni più radicali, infine, si giunge a sostenere che, in una
società moderna e pluralistica, dovrebbe essere riconosciuta a ogni persona
piena autonomia di disporre della propria vita e della vita di chi non è
ancora nato: non spetterebbe, infatti, alla legge la scelta tra le diverse opinioni
morali e, tanto meno, essa potrebbe pretendere di imporne una particolare a
svantaggio delle altre.
69. In ogni caso, nella
cultura democratica del nostro tempo si è largamente diffusa l'opinione
secondo la quale l'ordinamento giuridico di una società dovrebbe limitarsi
a registrare e recepire le convinzioni della maggioranza e, pertanto, dovrebbe
costruirsi solo su quanto la maggioranza stessa riconosce e vive come morale.
Se poi si ritiene addirittura che una verità comune e oggettiva sia di
fatto inaccessibile, il rispetto della libertà dei cittadini - che in
un regime democratico sono ritenuti i veri sovrani - esigerebbe che, a livello
legislativo, si riconosca l'autonomia delle singole coscienze e quindi, nello
stabilire quelle norme che in ogni caso sono necessarie alla convivenza sociale,
ci si adegui esclusivamente alla volontà della maggioranza, qualunque
essa sia. In tal modo, ogni politico, nella sua azione, dovrebbe separare nettamente
l'ambito della coscienza privata da quello del comportamento pubblico.
Si registrano, di conseguenza, due tendenze, in apparenza diametralmente opposte.
Da un lato, i singoli individui rivendicano per sé la più completa
autonomia morale di scelta e chiedono che lo Stato non faccia propria e non
imponga nessuna concezione etica, ma si limiti a garantire lo spazio più
ampio possibile alla libertà di ciascuno, con l'unico limite esterno
di non ledere lo spazio di autonomia al quale anche ogni altro cittadino ha
diritto. Dall'altro lato, si pensa che, nell'esercizio delle funzioni pubbliche
e professionali, il rispetto dell'altrui libertà di scelta imponga a
ciascuno di prescindere dalle proprie convinzioni per mettersi a servizio di
ogni richiesta dei cittadini, che le leggi riconoscono e tutelano, accettando
come unico criterio morale per l'esercizio delle proprie funzioni quanto è
stabilito da quelle medesime leggi. In questo modo la responsabilità
della persona viene delegata alla legge civile, con un'abdicazione alla propria
coscienza morale almeno nell'ambito dell'azione pubblica.
70. Comune radice di tutte
queste tendenze è il relativismo etico che contraddistingue tanta parte
della cultura contemporanea. Non manca chi ritiene che tale relativismo sia
una condizione della democrazia, in quanto solo esso garantirebbe tolleranza,
rispetto reciproco tra le persone, e adesione alle decisioni della maggioranza,
mentre le norme morali, considerate oggettive e vincolanti, porterebbero all'autoritarismo
e all'intolleranza.
Ma è proprio la problematica del rispetto della vita a mostrare quali
equivoci e contraddizioni, accompagnati da terribili esiti pratici, si celino
in questa posizione.
È vero che la storia registra casi in cui si sono commessi dei crimini
in nome della " verità ". Ma crimini non meno gravi e radicali
negazioni della libertà si sono commessi e si commettono anche in nome
del " relativismo etico ". Quando una maggioranza parlamentare o sociale
decreta la legittimità della soppressione, pur a certe condizioni, della
vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione " tirannica
" nei confronti dell'essere umano più debole e indifeso? La coscienza
universale giustamente reagisce nei confronti dei crimini contro l'umanità
di cui il nostro secolo ha fatto così tristi esperienze. Forse che questi
crimini cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da tiranni
senza scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare?
In realtà, la democrazia non può essere mitizzata fino a farne
un surrogato della moralità o un toccasana dell'immoralità. Fondamentalmente,
essa è un " ordinamento " e, come tale, uno strumento e non
un fine. Il suo carattere " morale " non è automatico, ma dipende
dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento
umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che
persegue e dei mezzi di cui si serve. Se oggi si registra un consenso pressoché
universale sul valore della democrazia, ciò va considerato un positivo
" segno dei tempi ", come anche il Magistero della Chiesa ha più
volte rilevato.88 Ma il valore della democrazia sta o cade con i valori che
essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità
di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili,
nonché l'assunzione del " bene comune " come fine e criterio
regolativo della vita politica.
Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli "
maggioranze " di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale
obiettiva che, in quanto " legge naturale " iscritta nel cuore dell'uomo,
è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per
un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse
a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso
ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un
puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrapposti interessi.89
Qualcuno potrebbe pensare che anche una tale funzione, in mancanza di meglio,
sia da apprezzare ai fini della pace sociale. Pur riconoscendo un qualche aspetto
di verità in una tale valutazione, è difficile non vedere che,
senza un ancoraggio morale obiettivo, neppure la democrazia può assicurare
una pace stabile, tanto più che la pace non misurata sui valori della
dignità di ogni uomo e della solidarietà tra tutti gli uomini
è non di rado illusoria. Negli stessi regimi partecipativi, infatti,
la regolazione degli interessi avviene spesso a vantaggio dei più forti,
essendo essi i più capaci di manovrare non soltanto le leve del potere,
ma anche la formazione del consenso. In una tale situazione, la democrazia diventa
facilmente una parola vuota.
71. Urge dunque, per l'avvenire
della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l'esistenza
di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità
stessa dell'essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona:
valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato
potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere,
rispettare e promuovere.
Occorre riprendere, in tal senso, gli elementi fondamentali della visione dei
rapporti tra legge civile e legge morale, quali sono proposti dalla Chiesa,
ma che pure fanno parte del patrimonio delle grandi tradizioni giuridiche dell'umanità.
Certamente, il compito della legge civile è diverso e di ambito più
limitato rispetto a quello della legge morale. Però " in nessun
ambito di vita la legge civile può sostituirsi alla coscienza né
può dettare norme su ciò che esula dalla sua competenza ",90
che è quella di assicurare il bene comune delle persone, attraverso il
riconoscimento e la difesa dei loro fondamentali diritti, la promozione della
pace e della pubblica moralità.91 Il compito della legge civile consiste,
infatti, nel garantire un'ordinata convivenza sociale nella vera giustizia,
perché tutti " possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla
con tutta pietà e dignità " (1 Tm 2, 2). Proprio per questo,
la legge civile deve assicurare per tutti i membri della società il rispetto
di alcuni diritti fondamentali, che appartengono nativamente alla persona e
che qualsiasi legge positiva deve riconoscere e garantire. Primo e fondamentale
tra tutti è l'inviolabile diritto alla vita di ogni essere umano innocente.
Se la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto
provocherebbe, se proibito, un danno più grave,92 essa non può
mai accettare però di legittimare, come diritto dei singoli - anche se
questi fossero la maggioranza dei componenti la società -, l'offesa inferta
ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così
fondamentale come quello alla vita. La tolleranza legale dell'aborto o dell'eutanasia
non può in alcun modo richiamarsi al rispetto della coscienza degli altri,
proprio perché la società ha il diritto e il dovere di tutelarsi
contro gli abusi che si possono verificare in nome della coscienza e sotto il
pretesto della libertà.93
Nell'Enciclica Pacem in terris, Giovanni XXIII aveva ricordato in proposito:
" Nell'epoca moderna l'attuazione del bene comune trova la sua indicazione
di fondo nei diritti e nei doveri della persona. Per cui i compiti precipui
dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre,
tutelare e promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere
più facile l'adempimento dei rispettivi doveri. "Tutelare l'intangibile
campo dei diritti della persona umana e renderle agevole il compimento dei suoi
doveri vuol essere ufficio essenziale di ogni pubblico potere". Per cui
ogni atto dei poteri pubblici, che sia o implichi un misconoscimento o una violazione
di quei diritti, è un atto contrastante con la loro stessa ragion d'essere
e rimane per ciò stesso destituito d'ogni valore giuridico ".94
72. In continuità
con tutta la tradizione della Chiesa è anche la dottrina sulla necessaria
conformità della legge civile con la legge morale, come appare, ancora
una volta, dall'enciclica citata di Giovanni XXIII: " L'autorità
è postulata dall'ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue
leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell'ordine, e quindi in contrasto
con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza...;
in tal caso, anzi, chiaramente l'autorità cessa di essere tale e degenera
in sopruso ".95 È questo il limpido insegnamento di san Tommaso
d'Aquino, che tra l'altro scrive: " La legge umana in tanto è tale
in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna.
Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina
legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto
un atto di violenza ".96 E ancora: " Ogni legge posta dagli uomini
in tanto ha ragione di legge in quanto deriva dalla legge naturale. Se invece
in qualche cosa è in contrasto con la legge naturale, allora non sarà
legge bensì corruzione della legge ".97
Ora la prima e più immediata applicazione di questa dottrina riguarda
la legge umana che misconosce il diritto fondamentale e fontale alla vita, diritto
proprio di ogni uomo. Così le leggi che, con l'aborto e l'eutanasia,
legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale
e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di
tutti gli uomini e negano, pertanto, l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Si potrebbe obiettare che tale non è il caso dell'eutanasia, quando essa
è richiesta in piena coscienza dal soggetto interessato. Ma uno Stato
che legittimasse tale richiesta e ne autorizzasse la realizzazione, si troverebbe
a legalizzare un caso di suicidio-omicidio, contro i principi fondamentali dell'indisponibilità
della vita e della tutela di ogni vita innocente. In questo modo si favorisce
una diminuzione del rispetto della vita e si apre la strada a comportamenti
distruttivi della fiducia nei rapporti sociali.
Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque
radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune
e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. Il
misconoscimento del diritto alla vita, infatti, proprio perché porta
a sopprimere la persona per il cui servizio la società ha motivo di esistere,
è ciò che si contrappone più frontalmente e irreparabilmente
alla possibilità di realizzare il bene comune. Ne segue che, quando una
legge civile legittima l'aborto o l'eutanasia cessa, per ciò stesso,
di essere una vera legge civile, moralmente obbligante.
73. L'aborto e l'eutanasia
sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare.
Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma
sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione
di coscienza. Fin dalle origini della Chiesa, la predicazione apostolica ha
inculcato ai cristiani il dovere di obbedire alle autorità pubbliche
legittimamente costituite (cf. Rm 13, 1-7; 1 Pt 2, 13-14), ma nello stesso tempo
ha ammonito fermamente che " bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini " (At 5, 29). Già nell'Antico Testamento, proprio in riferimento
alle minacce contro la vita, troviamo un esempio significativo di resistenza
al comando ingiusto dell'autorità. Al faraone, che aveva ordinato di
far morire ogni neonato maschio, le levatrici degli Ebrei si opposero. Esse
" non fecero come aveva loro ordinato il re di Egitto e lasciarono vivere
i bambini " (Es 1, 17). Ma occorre notare il motivo profondo di questo
loro comportamento: " Le levatrici temettero Dio " (ivi). È
proprio dall'obbedienza a Dio - al quale solo si deve quel timore che è
riconoscimento della sua assoluta sovranità - che nascono la forza e
il coraggio di resistere alle leggi ingiuste degli uomini. È la forza
e il coraggio di chi è disposto anche ad andare in prigione o ad essere
ucciso di spada, nella certezza che " in questo sta la costanza e la fede
dei santi " (Ap 13, 10).
Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella
che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa,
" né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge
siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto ".98
Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto
parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva,
volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa
ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. Simili
casi non sono rari. Si registra infatti il dato che mentre in alcune parti del
mondo continuano le campagne per l'introduzione di leggi a favore dell'aborto,
sostenute non poche volte da potenti organismi internazionali, in altre Nazioni
invece - in particolare in quelle che hanno già fatto l'amara esperienza
di simili legislazioni permissive - si vanno manifestando segni di ripensamento.
Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente
una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione
all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio
sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne
gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica.
Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una
legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne
gli aspetti iniqui.
74. L'introduzione di legislazioni
ingiuste pone spesso gli uomini moralmente retti di fronte a difficili problemi
di coscienza in materia di collaborazione in ragione della doverosa affermazione
del proprio diritto a non essere costretti a partecipare ad azioni moralmente
cattive. Talvolta le scelte che si impongono sono dolorose e possono richiedere
il sacrificio di affermate posizioni professionali o la rinuncia a legittime
prospettive di avanzamento nella carriera. In altri casi, può risultare
che il compiere alcune azioni in se stesse indifferenti, o addirittura positive,
previste nell'articolato di legislazioni globalmente ingiuste, consenta la salvaguardia
di vite umane minacciate. D'altro canto, però, si può giustamente
temere che la disponibilità a compiere tali azioni non solo comporti
uno scandalo e favorisca l'indebolirsi della necessaria opposizione agli attentati
contro la vita, ma induca insensibilmente ad arrendersi sempre più ad
una logica permissiva.
Per illuminare questa difficile questione morale occorre richiamare i principi
generali sulla cooperazione ad azioni cattive. I cristiani, come tutti gli uomini
di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a
non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse
dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Infatti, dal
punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male.
Tale cooperazione si verifica quando l'azione compiuta, o per la sua stessa
natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto,
si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente
o come condivisione dell'intenzione immorale dell'agente principale. Questa
cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto
della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile
la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno personalmente compie esiste,
infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi
e sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso (cf. Rm 2, 6; 14,
12).
Rifiutarsi di partecipare a commettere un'ingiustizia è non solo un dovere
morale, ma è anche un diritto umano basilare. Se così non fosse,
la persona umana sarebbe costretta a compiere un'azione intrinsecamente incompatibile
con la sua dignità e in tal modo la sua stessa libertà, il cui
senso e fine autentici risiedono nell'orientamento al vero e al bene, ne sarebbe
radicalmente compromessa. Si tratta, dunque, di un diritto essenziale che, proprio
perché tale, dovrebbe essere previsto e protetto dalla stessa legge civile.
In tal senso, la possibilità di rifiutarsi di partecipare alla fase consultiva,
preparatoria ed esecutiva di simili atti contro la vita dovrebbe essere assicurata
ai medici, agli operatori sanitari e ai responsabili delle istituzioni ospedaliere,
delle cliniche e delle case di cura. Chi ricorre all'obiezione di coscienza
deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi
danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale.
" Amerai il prossimo tuo come te stesso " (Lc 10, 27): " promuovi " la vita.
75. I comandamenti di Dio
ci insegnano la via della vita. Iprecetti morali negativi, cioè quelli
che dichiarano moralmente inaccettabile la scelta di una determinata azione,
hanno un valore assoluto per la libertà umana: essi valgono sempre e
comunque, senza eccezioni. Indicano che la scelta di determinati comportamenti
è radicalmente incompatibile con l'amore verso Dio e con la dignità
della persona, creata a sua immagine: tale scelta, perciò, non può
essere riscattata dalla bontà di nessuna intenzione e di nessuna conseguenza,
è in contrasto insanabile con la comunione tra le persone, contraddice
la decisione fondamentale di orientare la propria vita a Dio.99
Già in questo senso i precetti morali negativi hanno un'importantissima
funzione positiva: il " no " che esigono incondizionatamente dice
il limite invalicabile al di sotto del quale l'uomo libero non può scendere
e, insieme, indica il minimo che egli deve rispettare e dal quale deve partire
per pronunciare innumerevoli " sì ", capaci di occupare progressivamente
l'intero orizzonte del bene (cf. Mt 5, 48). I comandamenti, in particolare i
precetti morali negativi, sono l'inizio e la prima tappa necessaria del cammino
verso la libertà: " La prima libertà - scrive sant'Agostino
- consiste nell'essere esenti da crimini... come sarebbero l'omicidio, l'adulterio,
la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando
uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia
a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l'inizio
della libertà, non la libertà perfetta ".100
76. Il comandamento "
non uccidere " stabilisce quindi il punto di partenza di un cammino di
vera libertà, che ci porta a promuovere attivamente la vita e sviluppare
determinati atteggiamenti e comportamenti al suo servizio: così facendo
esercitiamo la nostra responsabilità verso le persone che ci sono affidate
e manifestiamo, nei fatti e nella verità, la nostra riconoscenza a Dio
per il grande dono della vita (cf. Sal 139/138, 13-14).
Il Creatore ha affidato la vita dell'uomo alla sua responsabile sollecitudine,
non perché ne disponga in modo arbitrario, ma perché la custodisca
con saggezza e la amministri con amorevole fedeltà. Il Dio dell'Alleanza
ha affidato la vita di ciascun uomo all'altro uomo suo fratello, secondo la
legge della reciprocità del dare e del ricevere, del dono di sé
e dell'accoglienza dell'altro. Nella pienezza dei tempi, incarnandosi e donando
la sua vita per l'uomo, il Figlio di Dio ha mostrato a quale altezza e profondità
possa giungere questa legge della reciprocità. Con il dono del suo Spirito,
Cristo dà contenuti e significati nuovi alla legge della reciprocità,
all'affidamento dell'uomo all'uomo. Lo Spirito, che è artefice di comunione
nell'amore, crea tra gli uomini una nuova fraternità e solidarietà,
vero riflesso del mistero di reciproca donazione e accoglienza proprio della
Trinità santissima. Lo stesso Spirito diventa la legge nuova, che dona
ai credenti la forza e sollecita la loro responsabilità per vivere reciprocamente
il dono di sé e l'accoglienza dell'altro, partecipando all'amore stesso
di Gesù Cristo e secondo la sua misura.
77. Da questa legge nuova
viene animato e plasmato anche il comandamento del " non uccidere ".
Per il cristiano, quindi, esso implica in definitiva l'imperativo di rispettare,
amare e promuovere la vita di ogni fratello, secondo le esigenze e le dimensioni
dell'amore di Dio in Gesù Cristo. " Egli ha dato la sua vita per
noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli " (1 Gv 3, 16).
Il comandamento del " non uccidere ", anche nei suoi contenuti più
positivi di rispetto, amore e promozione della vita umana, vincola ogni uomo.
Esso, infatti, risuona nella coscienza morale di ciascuno come un'eco insopprimibile
dell'alleanza originaria di Dio creatore con l'uomo; da tutti può essere
conosciuto alla luce della ragione e può essere osservato grazie all'opera
misteriosa dello Spirito che, soffiando dove vuole (cf. Gv 3, 8), raggiunge
e coinvolge ogni uomo che vive in questo mondo.
È dunque un servizio d'amore quello che tutti siamo impegnati ad assicurare
al nostro prossimo, perché la sua vita sia difesa e promossa sempre,
ma soprattutto quando è più debole o minacciata. È una
sollecitudine non solo personale ma sociale, che tutti dobbiamo coltivare, ponendo
l'incondizionato rispetto della vita umana a fondamento di una rinnovata società.
Ci è chiesto di amare e onorare la vita di ogni uomo e di ogni donna
e di lavorare con costanza e con coraggio, perché nel nostro tempo, attraversato
da troppi segni di morte, si instauri finalmente una nuova cultura della vita,
frutto della cultura della verità e dell'amore.
CAPITOLO IV
L'AVETE FATTO A ME
PER UNA NUOVA CULTURA DELLA VITA UMANA
" Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose " (1 Pt 2, 9): il popolo della vita e per la vita
78. La Chiesa ha ricevuto
il Vangelo come annuncio e fonte di gioia e di salvezza. L'ha ricevuto in dono
da Gesù, inviato dal Padre " per annunziare ai poveri un lieto messaggio
" (Lc 4, 18). L'ha ricevuto mediante gli Apostoli, da Lui mandati in tutto
il mondo (cf. Mc 16, 15; Mt 28, 19-20). Nata da questa azione evangelizzatrice,
la Chiesa sente risuonare in se stessa ogni giorno la parola ammonitrice dell'Apostolo:
" Guai a me se non predicassi il Vangelo " (1 Cor 9, 16). " Evan-
gelizzare, infatti, - come scriveva Paolo VI - è la grazia e la vocazione
propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste
per evangeliz- zare ".101
L'evangelizzazione è un'azione globale e dinamica, che coinvolge la Chiesa
nella sua partecipazione alla missione profetica, sacerdotale e regale del Signore
Gesù. Essa, pertanto, comporta inscindibilmente le dimensioni dell'annuncio,
della celebrazione e del servizio della carità. È un atto profondamente
ecclesiale, che chiama in causa tutti i diversi operai del Vangelo, ciascuno
secondo i propri carismi e il proprio ministero.
Così è anche quando si tratta di annunciare il Vangelo della vita,
parte integrante del Vangelo che è Gesù Cristo. Di questo Vangelo
noi siamo al servizio, sostenuti dalla consapevolezza di averlo ricevuto in
dono e di essere inviati a proclamarlo a tutta l'umanità " fino
agli estremi confini della terra " (At 1, 8). Nutriamo perciò umile
e grata coscienza di essere il popolo della vita e per la vita e in tal modo
ci presentiamo davanti a tutti.
79. Siamo il popolo della
vita perché Dio, nel suo amore gratuito, ci ha donato il Vangelo della
vita e da questo stesso Vangelo noi siamo stati trasformati e salvati. Siamo
stati riconquistati dall' " autore della vita " (At 3, 15) a prezzo
del suo sangue prezioso (cf. 1 Cor 6, 20; 7, 23; 1 Pt 1, 19) e mediante il lavacro
battesimale siamo stati inseriti in lui (cf. Rm 6, 4-5; Col 2, 12), come rami
che dall'unico albero traggono linfa e fecondità (cf. Gv 15, 5). Rinnovati
interiormente dalla grazia dello Spirito, " che è Signore e dà
la vita ", siamo diventati un popolo per la vita e come tali siamo chiamati
a comportarci.
Siamo mandati: essere al servizio della vita non è per noi un vanto,
ma un dovere, che nasce dalla coscienza di essere " il popolo che Dio si
è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose "
(1 Pt 2, 9). Nel nostro cammino ci guida e ci sostiene la legge dell'amore:
è l'amore di cui è sorgente e modello il Figlio di Dio fatto uomo,
che " morendo ha dato la vita al mondo ".102
Siamo mandati come popolo. L'impegno a servizio della vita grava su tutti e
su ciascuno. È una responsabilità propriamente " ecclesiale
", che esige l'azione concertata e generosa di tutti i membri e di tutte
le articolazioni della comunità cristiana. Il compito comunitario però
non elimina né diminuisce la responsabilità della singola persona,
alla quale è rivolto il comando del Signore a " farsi prossimo "
di ogni uomo: " Và e anche tu fà lo stesso " (Lc 10,
37).
Tutti insieme sentiamo il dovere di annunciare il Vangelo della vita, di celebrarlo
nella liturgia e nell'intera esistenza, diservirlo con le diverse iniziative
e strutture di sostegno e di promozione.
" Quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo anche a voi "
(1 Gv 1, 3): annunciare il Vangelo della vita
80. " Ciò che
era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo
veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò
che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita... noi lo annunziamo
anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi " (1 Gv
1, 1.3). Gesù è l'unico Vangelo: noi non abbiamo altro da dire
e da testimoniare.
È proprio l'annuncio di Gesù ad essere annuncio della vita. Egli,
infatti, è " il Verbo della vita " (1 Gv 1, 1). In lui "
la vita si è fatta visibile " (1 Gv 1, 2); anzi lui stesso è
" la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a
noi " (ivi). Questa stessa vita, grazie al dono dello Spirito, è
stata comunicata all'uomo. Ordinata alla vita in pienezza, la " vita eterna
", anche la vita terrena di ciascuno acquista il suo senso pieno.
Illuminati da questo Vangelo della vita, sentiamo il bisogno di proclamarlo
e di testimoniarlo nella novità sorprendente che lo contraddistingue:
poiché si identifica con Gesù stesso, apportatore di ogni novità
103 e vincitore della " vecchiezza " che deriva dal peccato e porta
alla morte,104 tale Vangelo supera ogni aspettativa dell'uomo e svela a quali
sublimi altezze viene elevata, per grazia, la dignità della persona.
Così la contempla san Gregorio di Nissa: " L'uomo che, tra gli esseri,
non conta nulla, che è polvere, erba, vanità, una volta che è
adottato dal Dio dell'universo come figlio, diventa familiare di questo Essere,
la cui eccellenza e grandezza nessuno può vedere, ascoltare e comprendere.
Con quale parola, pensiero o slancio dello spirito si potrà esaltare
la sovrabbondanza di questa grazia? L'uomo sorpassa la sua natura: da mortale
diventa immortale, da perituro imperituro, da effimero eterno, da uomo diventa
dio ".105
La gratitudine e la gioia per l'incommensurabile dignità dell'uomo ci
spinge a rendere tutti partecipi di questo messaggio: " Quello che abbiamo
veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate
in comunione con noi " (1 Gv 1, 3). È necessario far giungere il
Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle pieghe più
recondite dell'intera società.
81. Si tratta di annunciare
anzitutto il centro di questo Vangelo. Esso è annuncio di un Dio vivo
e vicino, che ci chiama a una profonda comunione con sé e ci apre alla
speranza certa della vita eterna; è affermazione dell'inscindibile legame
che intercorre tra la persona, la sua vita e la sua corporeità; è
presentazione della vita umana come vita di relazione, dono di Dio, frutto e
segno del suo amore; è proclamazione dello straordinario rapporto di
Gesù con ciascun uomo, che consente di riconoscere in ogni volto umano
il volto di Cristo; è indicazione del " dono sincero di sé
" quale compito e luogo di realizzazione piena della propria libertà.
Nello stesso tempo, si tratta di additare tutte le conseguenze di questo stesso
Vangelo, che così si possono riassumere: la vita umana, dono prezioso
di Dio, è sacra e inviolabile e per questo, in particolare, sono assolutamente
inaccettabili l'aborto procurato e l'eutanasia; la vita dell'uomo non solo non
deve essere soppressa, ma va protetta con ogni amorosa attenzione; la vita trova
il suo senso nell'amore ricevuto e donato, nel cui orizzonte attingono piena
verità la sessualità e la procreazione umana; in questo amore
anche la sofferenza e la morte hanno un senso e, pur permanendo il mistero che
le avvolge, possono diventare eventi di salvezza; il rispetto per la vita esige
che la scienza e la tecnica siano sempre ordinate all'uomo e al suo sviluppo
integrale; l'intera società deve rispettare, difendere e promuovere la
dignità di ogni persona umana, in ogni momento e condizione della sua
vita.
82. Per essere veramente
un popolo al servizio della vita dobbiamo, con costanza e coraggio, proporre
questi contenuti fin dal primo annuncio del Vangelo e, in seguito, nella catechesi
e nelle diverse forme di predicazione, nel dialogo personale e in ogni azione
educativa. Agli educatori, insegnanti, catechisti e teologi, spetta il compito
di mettere in risalto le ragioni antropologiche che fondano e sostengono il
rispetto di ogni vita umana. In tal modo, mentre faremo risplendere l'originale
novità del Vangelo della vita, potremo aiutare tutti a scoprire anche
alla luce della ragione e dell'esperienza, come il messaggio cristiano illumini
pienamente l'uomo e il significato del suo essere ed esistere; troveremo preziosi
punti di incontro e di dialogo anche con i non credenti, tutti insieme impegnati
a far sorgere una nuova cultura della vita.
Circondati dalle voci più contrastanti, mentre molti rigettano la sana
dottrina intorno alla vita dell'uomo, sentiamo rivolta anche a noi la supplica
indirizzata da Paolo a Timoteo: " Annunzia la parola, insisti in ogni occasione
opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità
e dottrina " (2 Tm 4, 2). Questa esortazione deve risuonare con particolare
vigore nel cuore di quanti, nella Chiesa, partecipano più direttamente,
a diverso titolo, alla sua missione di " maestra " della verità.
Risuoni innanzitutto per noi Vescovi: a noi per primi è chiesto di farci
annunciatori instancabili delVangelo della vita; a noi è pure affidato
il compito di vigilare sulla trasmissione integra e fedele dell'insegnamento
riproposto in questa Enciclica e di ricorrere alle misure più opportune
perché i fedeli siano preservati da ogni dottrina ad esso contraria.
Una speciale attenzione dobbiamo porre perché nelle facoltà teologiche,
nei seminari e nelle diverse istituzioni cattoliche venga diffusa, illustrata
e approfondita la conoscenza della sana dottrina.106 L'esortazione di Paolo
risuoni per tutti i teologi, per i pastori e per quanti altri svolgono compiti
diinsegnamento, catechesi e formazione delle coscienze: consapevoli del ruolo
ad essi spettante, non si assumano mai la grave responsabilità di tradire
la verità e la loro stessa missione esponendo idee personali contrarie
al Vangelo della vita quale il Magistero fedelmente ripropone e interpreta.
Nell'annunciare questo Vangelo, non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità,
rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla
mentalità di questo mondo (cf. Rm 12, 2). Dobbiamo essere nel mondo ma
non del mondo (cf. Gv 15, 19; 17, 16), con la forza che ci viene da Cristo,
che con la sua morte e risurrezione ha vinto il mondo (cf. Gv 16, 33).
" Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio " (Sal 139/138, 14): celebrare il Vangelo della vita
83. Mandati nel mondo come
" popolo per la vita ", il nostro annuncio deve diventare anche una
vera e propria celebrazione del Vangelo della vita. È anzi questa stessa
celebrazione, con la forza evocativa dei suoi gesti, simboli e riti, a diventare
luogo prezioso e significativo per trasmettere la bellezza e la grandezza di
questo Vangelo.
A tal fine, urge anzitutto coltivare, in noi e negli altri, uno sguardo contemplativo.107
Questo nasce dalla fede nel Dio della vita, che ha creato ogni uomo facendolo
come un prodigio (cf. Sal 139/138, 14). È lo sguardo di chi vede la vita
nella sua profondità, cogliendone le dimensioni di gratuità, di
bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità.
È lo sguardo di chi non pretende d'impossessarsi della realtà,
ma la accoglie come un dono, scoprendo in ogni cosa il riflesso del Creatore
e in ogni persona la sua immagine vivente (cf. Gn 1, 27; Sal 8, 6). Questo sguardo
non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza,
nella marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni
si lascia interpellare per andare alla ricerca di un senso e, proprio in queste
circostanze, si apre a ritrovare nel volto di ogni persona un appello al confronto,
al dialogo, alla solidarietà.
È tempo di assumere tutti questo sguardo, ridiventando capaci, con l'animo
colmo di religioso stupore, di venerare e onorare ogni uomo, come ci invitava
a fare Paolo VI in uno dei suoi messaggi natalizi.108 Animato da questo sguardo
contemplativo, il popolo nuovo dei redenti non può non prorompere in
inni di gioia, di lode e di ringraziamento per il dono inestimabile della vita,
per il mistero della chiamata di ogni uomo a partecipare in Cristo alla vita
di grazia e a un'esistenza di comunione senza fine con Dio Creatore e Padre.
84. Celebrare il Vangelo
della vita significa celebrare il Dio della vita, il Dio che dona la vita: "
Noi dobbiamo celebrare la Vita eterna, dalla quale procede qualsiasi altra vita.
Da essa riceve la vita, proporzionalmente alle sue capacità, ogni essere
che partecipa in qualche modo alla vita. Questa Vita divina, che è al
di sopra di qualsiasi vita, vivifica e conserva la vita. Qualsiasi vita e qualsiasi
movimento vitale procedono da questa Vita che trascende ogni vita ed ogni principio
di vita. Ad essa le anime debbono la loro incorruttibilità, come pure
grazie ad essa vivono tutti gli animali e tutte le piante, che ricevono della
vita l'eco più debole. Agli uomini, esseri composti di spirito e di materia,
la Vita dona la vita. Se poi ci accade di abbandonarla, allora la Vita, per
il traboccare del suo amore verso l'uomo, ci converte e ci richiama a sé.
Non solo: ci promette di condurci, anime e corpi, alla vita perfetta, all'immortalità.
È troppo poco dire che questa Vita è viva: essa è Principio
di vita, Causa e Sorgente unica di vita. Ogni vivente deve contemplarla e lodarla:
è Vita che trabocca vita ".109
Anche noi, come il Salmista, nella preghiera quotidiana, individuale e comunitaria,
lodiamo e benediciamo Dio nostro Padre, che ci ha tessuti nel seno materno e
ci ha visti e amati quando ancora eravamo informi (cf. Sal 139/138, 13. 15-16),
ed esclamiamo con gioia incontenibile: " Ti lodo, perché mi hai
fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo
" (Sal 139/138, 14). Sì, " questa vita mortale è, nonostante
i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità,
un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento
degno d'essere cantato in gaudio e in gloria".110 Di più, l'uomo
e la sua vita non ci appaiono solo come uno dei prodigi più alti della
creazione: all'uomo Dio ha conferito una dignità quasi divina (cf. Sal
8, 6-7). In ogni bimbo che nasce e in ogni uomo che vive o che muore noi riconosciamo
l'immagine della gloria di Dio: questa gloria noi celebriamo in ogni uomo, segno
del Dio vivente, icona di Gesù Cristo.
Siamo chiamati ad esprimere stupore e gratitudine per la vita ricevuta in dono
e ad accogliere, gustare e comunicare il Vangelo della vita non solo con la
preghiera personale e comunitaria, ma soprattutto con le celebrazioni dell'anno
liturgico. Sono qui da ricordare in particolare i Sacramenti, segni efficaci
della presenza e dell'azione salvifica del Signore Gesù nell'esistenza
cristiana: essi rendono gli uomini partecipi della vita divina, assicurando
loro l'energia spirituale necessaria per realizzare nella sua piena verità
il significato del vivere, del soffrire e del morire. Grazie ad una genuina
riscoperta del senso dei riti e ad una loro adeguata valorizzazione, le celebrazioni
liturgiche, soprattutto quelle sacramentali, saranno sempre più in grado
di esprimere la verità piena sulla nascita, la vita, la sofferenza e
la morte, aiutando a vivere queste realtà come partecipazione al mistero
pasquale di Cristo morto e risorto.
85. Nella celebrazione
del Vangelo della vita occorre saperapprezzare e valorizzare anche i gesti e
i simboli, di cui sono ricche le diverse tradizioni e consuetudini culturali
e popolari. Sono momenti e forme di incontro con cui, nei diversi Paesi e culture,
si manifestano la gioia per una vita che nasce, il rispetto e la difesa di ogni
esistenza umana, la cura per chi soffre o è nel bisogno, la vicinanza
all'anziano o al morente, la condivisione del dolore di chi è nel lutto,
la speranza e il desiderio dell'immortalità.
In questa prospettiva, accogliendo anche il suggerimento offerto dai Cardinali
nel Concistoro del 1991, propongo che si celebri ogni anno nelle varie Nazioni
una Giornata per la Vita, quale già si attua ad iniziativa di alcune
Conferenze Episcopali. È necessario che tale Giornata venga preparata
e celebrata con l'attiva partecipazione di tutte le componenti della Chiesa
locale. Suo scopo fondamentale è quello di suscitare, nelle coscienze,
nelle famiglie, nella Chiesa e nella società civile, il riconoscimento
del senso e del valore della vita umana in ogni suo momento e condizione, ponendo
particolarmente al centro dell'attenzione la gravità dell'aborto e dell'eutanasia,
senza tuttavia trascurare gli altri momenti e aspetti della vita, che meritano
di essere presi di volta in volta in attenta considerazione, secondo quanto
suggerito dall'evolversi della situazione storica.
86. Nella logica del culto
spirituale gradito a Dio (cf. Rm 12, 1), la celebrazione del Vangelo della vita
chiede di realizzarsi soprattutto nell'esistenza quotidiana, vissuta nell'amore
per gli altri e nella donazione di se stessi. Sarà così tutta
la nostra esistenza a farsi accoglienza autentica e responsabile del dono della
vita e lode sincera e riconoscente a Dio che ci ha fatto tale dono. È
quanto già avviene in tantissimi gesti di donazione, spesso umile e nascosta,
compiuti da uomini e donne, bambini e adulti, giovani e anziani, sani e ammalati.
È in questo contesto, ricco di umanità e di amore, che nascono
anche i gesti eroici. Essi sono la celebrazione più solenne del Vangelo
della vita, perché lo proclamano con il dono totale di sé; sono
la manifestazione luminosa del grado più elevato di amore, che è
dare la vita per la persona amata (cf. Gv 15, 13); sono la partecipazione al
mistero della Croce, nella quale Gesù svela quanto valore abbia per lui
la vita di ogni uomo e come questa si realizzi in pienezza nel dono sincero
di sé. Al di là dei fatti clamorosi, c'è l'eroismo del
quotidiano, fatto di piccoli o grandi gesti di condivisione che alimentano un'autentica
cultura della vita. Tra questi gesti merita particolare apprezzamento la donazione
di organi compiuta in forme eticamente accettabili, per offrire una possibilità
di salute e perfino di vita a malati talvolta privi di speranza.
A tale eroismo del quotidiano appartiene la testimonianza silenziosa, ma quanto
mai feconda ed eloquente, di " tutte le madri coraggiose, che si dedicano
senza riserve alla propria famiglia, che soffrono nel dare alla luce i propri
figli, e poi sono pronte ad intraprendere ogni fatica, ad affrontare ogni sacrificio,
per trasmettere loro quanto di meglio esse custodiscono in sé ".111
Nel vivere la loro missione " non sempre queste madri eroiche trovano sostegno
nel loro ambiente. Anzi, i modelli di civiltà, spesso promossi e propagati
dai mezzi di comunicazione, non favoriscono la maternità. Nel nome del
progresso e della modernità vengono presentati come ormai superati i
valori della fedeltà, della castità, del sacrificio, nei quali
si sono distinte e continuano a distinguersi schiere di spose e di madri cristiane...
Vi ringraziamo, madri eroiche, per il vostro amore invincibile! Vi ringraziamo
per l'intrepida fiducia in Dio e nel suo amore. Vi ringraziamo per il sacrificio
della vostra vita... Cristo nel Mistero pasquale vi restituisce il dono che
gli avete fatto. Egli infatti ha il potere di restituirvi la vita che gli avete
portato in offerta ".112
" Che giova, fratelli miei se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?
" (Gc 2, 14): servire il Vangelo della vita
87. In forza della partecipazione
alla missione regale di Cristo, il sostegno e la promozione della vita umana
devono attuarsi mediante il servizio della carità, che si esprime nella
testimonianza personale, nelle diverse forme di volontariato, nell'animazione
sociale e nell'impegno politico. È, questa, un'esigenza particolarmente
pressante nell'ora presente, nella quale la " cultura della morte "
così fortemente si contrappone alla " cultura della vita "
e spesso sembra avere il sopravvento. Ancor prima, però, è un'esigenza
che nasce dalla " fede che opera per mezzo della carità " (Gal
5, 6), come ci ammonisce la Lettera di Giacomo: " Che giova, fratelli miei,
se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può
salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo
quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e
saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così
anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa " (2, 14-17).
Nel servizio della carità c'è un atteggiamento che ci deve animare
e contraddistinguere: dobbiamo prenderci cura dell'altro in quanto persona affidata
da Dio alla nostra responsabilità. Come discepoli di Gesù, siamo
chiamati a farci prossimi di ogni uomo (cf. Lc 10, 29-37), riservando una speciale
preferenza a chi è più povero, solo e bisognoso. Proprio attraverso
l'aiuto all'affamato, all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al
carcerato - come pure al bambino non ancora nato, all'anziano sofferente o vicino
alla morte - ci è dato di servire Gesù, come Egli stesso ha dichiarato:
" Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli
più piccoli, l'avete fatto a me " (Mt 25, 40). Per questo, non possiamo
non sentirci interpellati e giudicati dalla pagina sempre attuale di san Giovanni
Crisostomo: " Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si
trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo
fuori, dove patisce freddo e nudità ".113
Il servizio della carità nei riguardi della vita deve essere profondamente
unitario: non può tollerare unilateralismi e discriminazioni, perché
la vita umana è sacra e inviolabile in ogni sua fase e situazione; essa
è un bene indivisibile. Si tratta dunque di " prendersi cura "
di tutta la vita e della vita di tutti. Anzi, ancora più profondamente,
si tratta di andare fino alle radici stesse della vita e dell'amore.
Proprio partendo da un amore profondo per ogni uomo e donna, si è sviluppata
lungo i secoli una straordinaria storia di carità, che ha introdotto
nella vita ecclesiale e civile numerose strutture di servizio alla vita, che
suscitano l'ammirazione di ogni osservatore non prevenuto. È una storia
che, con rinnovato senso di responsabilità, ogni comunità cristiana
deve continuare a scrivere con una molteplice azione pastorale e sociale. In
tal senso si devono mettere in atto forme discrete ed efficaci diaccompagnamento
della vita nascente, con una speciale vicinanza a quelle mamme che, anche senza
il sostegno del padre, non temono di mettere al mondo il loro bambino e di educarlo.
Analoga cura deve essere riservata alla vita nella marginalità o nella
sofferenza, specie nelle sue fasi finali.
88. Tutto questo comporta
una paziente e coraggiosa opera educativa che solleciti tutti e ciascuno a farsi
carico dei pesi degli altri (cf. Gal 6, 2); richiede una continua promozione
di vocazioni al servizio, in particolare tra i giovani; implica la realizzazione
di progetti e iniziative concrete, stabili ed evangelicamente ispirate.
Molteplici sono gli strumenti da valorizzare con competenza e serietà
di impegno. Alle sorgenti della vita, i centri per i metodi naturali di regolazione
della fertilità vanno promossi come un valido aiuto per la paternità
e maternità responsabili, nella quale ogni persona, a cominciare dal
figlio, è riconosciuta e rispettata per se stessa e ogni scelta è
animata e guidata dal criterio del dono sincero di sé. Anche i consultori
matrimoniali e familiari, mediante la loro specifica azione di consulenza e
di prevenzione, svolta alla luce di un'antropologia coerente con la visione
cristiana della persona, della coppia e della sessualità, costituiscono
un prezioso servizio per riscoprire il senso dell'amore e della vita e per sostenere
e accompagnare ogni famiglia nella sua missione di " santuario della vita
". A servizio della vita nascente si pongono pure i centri di aiuto alla
vita e le case o i centri di accoglienza della vita. Grazie alla loro opera,
non poche madri nubili e coppie in difficoltà ritrovano ragioni e convinzioni
e incontrano assistenza e sostegno per superare disagi e paure nell'accogliere
una vita nascente o appena venuta alla luce.
Di fronte alla vita in condizioni di disagio, di devianza, di malattia e di
marginalità, altri strumenti - come le comunità di recupero per
tossicodipendenti, le comunità alloggio per i minori o per i malati mentali,
i centri di cura e accoglienza per malati di AIDS, le cooperative di solidarietà
soprattutto per i disabili - sono espressione eloquente di ciò che la
carità sa inventare per dare a ciascuno ragioni nuove di speranza e possibilità
concrete di vita.
Quando poi l'esistenza terrena volge al termine, è ancora la carità
a trovare le modalità più opportune perché gli anziani,
specialmente se non autosufficienti, e i cosiddetti malati terminali possano
godere di un'assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro
esigenze, in particolare alla loro angoscia e solitudine. Insostituibile è
in questi casi il ruolo delle famiglie; ma esse possono trovare grande aiuto
nelle strutture sociali di assistenza e, quando necessario, nel ricorso alle
cure palliative, avvalendosi degli idonei servizi sanitari e sociali, operanti
sia nei luoghi di ricovero e cura pubblici che a domicilio.
In particolare, deve essere riconsiderato il ruolo degli ospedali, delle cliniche
e delle case di cura: la loro vera identità non è solo quella
di strutture nelle quali ci si prende cura dei malati e dei morenti, ma anzitutto
quella di ambienti nei quali la sofferenza, il dolore e la morte vengono riconosciuti
ed interpretati nel loro significato umano e specificamente cristiano. In modo
speciale tale identità deve mostrarsi chiara ed efficace negli istituti
dipendenti da religiosi o, comunque, legati alla Chiesa.
89. Queste strutture e
luoghi di servizio alla vita, e tutte le altre iniziative di sostegno e solidarietà
che le situazioni potranno di volta in volta suggerire, hanno bisogno di essere
animate da persone generosamente disponibili e profondamente consapevoli di
quanto decisivo sia il Vangelo della vita per il bene dell'individuo e della
società.
Peculiare è la responsabilità affidata agli operatori sanitari:
medici, farmacisti, infermieri, cappellani, religiosi e religiose, amministratori
e volontari. La loro professione li vuole custodi e servitori della vita umana.
Nel contesto culturale e sociale odierno, nel quale la scienza e l'arte medica
rischiano di smarrire la loro nativa dimensione etica, essi possono essere talvolta
fortemente tentati di trasformarsi in artefici di manipolazione della vita o
addirittura in operatori di morte. Di fronte a tale tentazione la loro responsabilità
è oggi enormemente accresciuta e trova la sua ispirazione più
profonda e il suo sostegno più forte proprio nell'intrinseca e imprescindibile
dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva l'antico
e sempre attuale giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è
chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua
sacralità.
Il rispetto assoluto di ogni vita umana innocente esige anchel'esercizio dell'obiezione
di coscienza di fronte all'aborto procurato e all'eutanasia. Il " far morire
" non può mai essere considerato come una cura medica, neppure quando
l'intenzione fosse solo quella di assecondare una richiesta del paziente: è,
piuttosto, la negazione della professione sanitaria che si qualifica come un
appassionato e tenace " sì " alla vita. Anche la ricerca biomedica,
campo affascinante e promettente di nuovi grandi benefici per l'umanità,
deve sempre rifiutare sperimentazioni, ricerche o applicazioni che, misconoscendo
l'inviolabile dignità dell'essere umano, cessano di essere a servizio
degli uomini e si trasformano in realtà che, mentre sembrano soccorrerli,
li opprimono.
90. Uno specifico ruolo
sono chiamate a svolgere le persone impegnate nel volontariato: esse offrono
un apporto prezioso nel servizio alla vita, quando sanno coniugare capacità
professionale e amore generoso e gratuito. Il Vangelo della vita le spinge ad
elevare i sentimenti di semplice filantropia all'altezza della carità
di Cristo; a riconquistare ogni giorno, tra fatiche e stanchezze, la coscienza
della dignità di ogni uomo; ad andare alla scoperta dei bisogni delle
persone iniziando - se necessario - nuovi cammini là dove più
urgente è il bisogno e più deboli sono l'attenzione e il sostegno.
Il realismo tenace della carità esige che il Vangelo della vita sia servito
anche mediante forme di animazione sociale e di impegno politico, difendendo
e proponendo il valore della vita nelle nostre società sempre più
complesse e pluraliste. Singoli, famiglie, gruppi, realtà associative
hanno, sia pure a titolo e in modi diversi, una responsabilità nell'animazione
sociale e nell'elaborazione di progetti culturali, economici, politici e legislativi
che, nel rispetto di tutti e secondo la logica della convivenza democratica,
contribuiscano a edificare una società nella quale la dignità
di ogni persona sia riconosciuta e tutelata, e la vita di tutti sia difesa e
promossa.
Tale compito grava in particolare sui responsabili della cosa pubblica. Chiamati
a servire l'uomo e il bene comune, hanno il dovere di compiere scelte coraggiose
a favore della vita, innanzitutto nell'ambito delle disposizioni legislative.
In un regime democratico, ove le leggi e le decisioni si formano sulla base
del consenso di molti, può attenuarsi nella coscienza dei singoli che
sono investiti di autorità il senso della responsabilità personale.
Ma a questa nessuno può mai abdicare, soprattutto quando ha un mandato
legislativo o decisionale, che lo chiama a rispondere a Dio, alla propria coscienza
e all'intera società di scelte eventualmente contrarie al vero bene comune.
Se le leggi non sono l'unico strumento per difendere la vita umana, esse però
svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una
mentalità e un costume. Ripeto ancora una volta che una norma che viola
il diritto naturale alla vita di un innocente è ingiusta e, come tale,
non può avere valore di legge. Per questo rinnovo con forza il mio appello
a tutti i politici perché non promulghino leggi che, misconoscendo la
dignità della persona, minano alla radice la stessa convivenza civile.
La Chiesa sa che, nel contesto di democrazie pluraliste, per la presenza di
forti correnti culturali di diversa impostazione, è difficile attuare
un'efficace difesa legale della vita. Mossa tuttavia dalla certezza che la verità
morale non può non avere un'eco nell'intimo di ogni coscienza, essa incoraggia
i politici, cominciando da quelli cristiani, a non rassegnarsi e a compiere
quelle scelte che, tenendo conto delle possibilità concrete, portino
a ristabilire un ordine giusto nell'affermazione e promozione del valore della
vita. In questa prospettiva, occorre rilevare che non basta eliminare le leggi
inique. Si dovranno rimuovere le cause che favoriscono gli attentati alla vita,
soprattutto assicurando il dovuto sostegno alla famiglia e alla maternità:
la politica familiare deve essere perno e motore di tutte le politiche sociali.
Pertanto, occorre avviare iniziative sociali e legislative capaci di garantire
condizioni di autentica libertà nella scelta in ordine alla paternità
e alla maternità; inoltre è necessario reimpostare le politiche
lavorative, urbanistiche, abitative e dei servizi, perché si possano
conciliare tra loro i tempi del lavoro e quelli della famiglia e diventi effettivamente
possibile la cura dei bambini e degli anziani.
91. Un capitolo importante
della politica per la vita è costituito oggi dalla problematica demografica.
Le pubbliche autorità hanno certo la responsabilità di prendere
" iniziative al fine di orientare la demografia della popolazione ";
114 ma tali iniziative devono sempre presupporre e rispettare la responsabilità
primaria ed inalienabile dei coniugi e delle famiglie e non possono ricorrere
a metodi non rispettosi della persona e dei suoi diritti fondamentali, a cominciare
dal diritto alla vita di ogni essere umano innocente. È, quindi, moralmente
inaccettabile che, per regolare le nascite, si incoraggi o addirittura si imponga
l'uso di mezzi come la contraccezione, la sterilizzazione e l'aborto.
Ben altre sono le vie per risolvere il problema demografico: i Governi e le
varie istituzioni internazionali devono innanzitutto mirare alla creazione di
condizioni economiche, sociali, medico-sanitarie e culturali che consentano
agli sposi di fare le loro scelte procreative in piena libertà e con
vera responsabilità; devono poi sforzarsi di " potenzia re le possibilità
e distribuire con maggiore giustizia le ricchezze, affinché tutti possano
partecipare equamente ai beni del creato. Occorre creare soluzioni a livello
mondiale, instaurando un'autentica economia di comunione e condivisione dei
beni, sia sul piano internazionale che su quello nazionale ".115 Questa
sola è la strada che rispetta la dignità delle persone e delle
famiglie, oltre che l'autentico patrimonio culturale dei popoli.
Vasto e complesso è dunque il servizio al Vangelo della vita. Esso ci
appare sempre più come ambito prezioso e favorevole per una fattiva collaborazione
con i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali nella linea di
quell'ecumenismo delle opere che il Concilio Vaticano II ha autorevolmente incoraggiato.116
Esso, inoltre, si presenta come spazio provvidenziale per il dialogo e la collaborazione
con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini di buona volontà:
la difesa e la promozione della vita non sono monopolio di nessuno, ma compito
e responsabilità di tutti. La sfida che ci sta di fronte, alla vigilia
del terzo millennio, è ardua: solo la concorde cooperazione di quanti
credono nel valore della vita potrà evitare una sconfitta della civiltà
dalle conseguenze imprevedibili.
" Dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo
" (Sal 126/125, 3): la famiglia " santuario della vita "
92. All'interno del "
popolo della vita e per la vita ",decisiva è la responsabilità
della famiglia: è una responsabilità che scaturisce dalla sua
stessa natura - quella di essere comunità di vita e di amore, fondata
sul matrimonio - e dalla sua missione di " custodire, rivelare e comunicare
l'amore ".117 È in questione l'amore stesso di Dio, del quale i
genitori sono costituiti collaboratori e quasi interpreti nel trasmettere la
vita e nell'educarla secondo il suo progetto di Padre.118 È quindi l'amore
che si fa gratuità, accoglienza, donazione: nella famiglia ciascuno è
riconosciuto, rispettato e onorato perché è persona e, se qualcuno
ha più bisogno, più intensa e più vigile è la cura
nei suoi confronti.
La famiglia è chiamata in causa nell'intero arco di esistenza dei suoi
membri, dalla nascita alla morte. Essa è veramente " ilsantuario
della vita..., il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente
accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può
svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana ".119 Per
questo, determinante e insostituibile è il ruolo della famiglia nel costruire
la cultura della vita.
Come chiesa domestica, la famiglia è chiamata ad annunciare, celebrare
e servire il Vangelo della vita. È un compito che riguarda innanzitutto
i coniugi, chiamati ad essere trasmettitori della vita, sulla base di una sempre
rinnovata consapevolezza del senso della generazione, come evento privilegiato
nel quale si manifesta che la vita umana è un dono ricevuto per essere
a sua volta donato. Nella procreazione di una nuova vita i genitori avvertono
che il figlio " se è frutto della loro reciproca donazione d'amore,
è, a sua volta, un dono per ambedue, un dono che scaturisce dal dono
".120
È soprattutto attraverso l'educazione dei figli che la famiglia assolve
la sua missione di annunciare il Vangelo della vita. Con la parola e con l'esempio,
nella quotidianità dei rapporti e delle scelte e mediante gesti e segni
concreti, i genitori iniziano i loro figli alla libertà autentica, che
si realizza nel dono sincero di sé, e coltivano in loro il rispetto dell'altro,
il senso della giustizia, l'accoglienza cordiale, il dialogo, il servizio generoso,
la solidarietà e ogni altro valore che aiuti a vivere la vita come un
dono. L'opera educativa dei genitori cristiani deve farsi servizio alla fede
dei figli e aiuto loro offerto perché adempiano la vocazione ricevuta
da Dio. Rientra nella missione educativa dei genitori insegnare e testimoniare
ai figli il vero senso del soffrire e del morire: lo potranno fare se sapranno
essere attenti ad ogni sofferenza che trovano intorno a sé e, prima ancora,
se sapranno sviluppare atteggiamenti di vicinanza, assistenza e condivisione
verso malati e anziani nell'ambito familiare.
93. La famiglia, inoltre,
celebra il Vangelo della vita con la preghiera quotidiana, individuale e familiare:
con essa loda e ringrazia il Signore per il dono della vita ed invoca luce e
forza per affrontare i momenti di difficoltà e di sofferenza, senza mai
smarrire la speranza. Ma la celebrazione che dà significato ad ogni altra
forma di preghiera e di culto è quella che s'esprime nell'esistenza quotidiana
della famiglia, se è un'esistenza fatta di amore e donazione.
La celebrazione si trasforma così in un servizio al Vangelo della vita,
che si esprime attraverso la solidarietà, sperimentata dentro e intorno
alla famiglia come attenzione premurosa, vigile e cordiale nelle azioni piccole
e umili di ogni giorno. Un'espressione particolarmente significativa di solidarietà
tra le famiglie è la disponibilità all'adozione o all'affidamento
dei bambini abbandonati dai loro genitori o comunque in situazioni di grave
disagio. Il vero amore paterno e materno sa andare al di là dei legami
della carne e del sangue ed accogliere anche bambini di altre famiglie, offrendo
ad essi quanto è necessario per la loro vita ed il loro pieno sviluppo.
Tra le forme di adozione, merita di essere proposta anche l'adozione a distanza,
da preferire nei casi in cui l'abbandono ha come unico motivo le condizioni
di grave povertà della famiglia. Con tale tipo di adozione, infatti,
si offrono ai genitori gli aiuti necessari per mantenere ed educare i propri
figli, senza doverli sradicare dal loro ambiente naturale.
Intesa come " determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il
bene comune ",121 la solidarietà chiede di attuarsi anche attraverso
forme di partecipazione sociale e politica. Di conseguenza, servire il Vangelo
della vita comporta che le famiglie, specie partecipando ad apposite associazioni,
si adoperino affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non ledano
in nessun modo il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, ma
lo difendano e lo promuovano.
94. Un posto particolare
va riconosciuto agli anziani. Mentre in alcune culture la persona più
avanzata in età rimane inserita nella famiglia con un ruolo attivo importante,
in altre culture invece chi è vecchio è sentito come un peso inutile
e viene abbandonato a se stesso: in simile contesto può sorgere più
facilmente la tentazione di ricorrere all'eutanasia.
L'emarginazione o addirittura il rifiuto degli anziani sono intollerabili. La
loro presenza in famiglia, o almeno la vicinanza ad essi della famiglia quando
per la ristrettezza degli spazi abitativi o per altri motivi tale presenza non
fosse possibile, sono di fondamentale importanza nel creare un clima di reciproco
scambio e di arricchente comunicazione fra le varie età della vita. È
importante, perciò, che si conservi, o si ristabilisca dove è
andato smarrito, una sorta di " patto " tra le generazioni, così
che i genitori anziani, giunti al termine del loro cammino, possano trovare
nei figli l'accoglienza e la solidarietà che essi hanno avuto nei loro
confronti quando s'affacciavano alla vita: lo esige l'obbedienza al comando
divino di onorare il padre e la madre (cf. Es 20, 12; Lv 19, 3). Ma c'è
di più. L'anziano non è da considerare solo oggetto di attenzione,
vicinanza e servizio. Anch'egli ha un prezioso contributo da portare al Vangelo
della vita. Grazie al ricco patrimonio di esperienza acquisito lungo gli anni,
può e deve essere dispensatore di sapienza, testimone di speranza e di
carità.
Se è vero che " l'avvenire dell'umanità passa attraverso
la famiglia ",122 si deve riconoscere che le odierne condizioni sociali,
economiche e culturali rendono spesso più arduo e faticoso il compito
della famiglia nel servire la vita. Perché possa realizzare la sua vocazione
di " santuario della vita ", quale cellula di una società che
ama e accoglie la vita, è necessario e urgente che la famiglia stessa
sia aiutata e sostenuta. Le società e gli Stati le devono assicurare
tutto quel sostegno, anche economico che è necessario perché le
famiglie possano rispondere in modo più umano ai propri problemi. Da
parte sua la Chiesa deve promuovere instancabilmente una pastorale familiare
capace di stimolare ogni famiglia a riscoprire e vivere con gioia e con coraggio
la sua missione nei confronti del Vangelo della vita.
" Comportatevi come i figli della luce " (Ef 5, 8): per realizzare una svolta culturale
95. " Comportatevi
come i figli della luce... Cercate ciò che è gradito al Signore,
e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre " (Ef 5, 8.10-11).
Nell'odierno contesto sociale, segnato da una drammatica lotta tra la "
cultura della vita " e la " cultura della morte ", occorre far
maturare un forte senso critico, capace di discernere i veri valori e le autentiche
esigenze.
Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico,
per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme
dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado
di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell'uomo;
nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione
da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio
e coraggioso confronto culturale con tutti. L'urgenza di questa svolta culturale
è legata alla situazione storica che stiamo attraversando, ma si radica
nella stessa missione evangelizzatrice, propria della Chiesa. Il Vangelo, infatti,
mira a " trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità ";
123 è come il lievito che fermenta tutta la pasta (cf. Mt 13, 33) e,
come tale, è destinato a permeare tutte le culture e ad animarle dall'interno,124
perché esprimano l'intera verità sull'uomo e sulla sua vita.
Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all'interno delle stesse
comunità cristiane. Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano
attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la
fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così
al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili. Dobbiamo allora
interrogarci, con grande lucidità e coraggio, su quale cultura della
vita sia oggi diffusa tra i singoli cristiani, le famiglie, i gruppi e le comunità
delle nostre Diocesi. Con altrettanta chiarezza e decisione, dobbiamo individuare
quali passi siamo chiamati a compiere per servire la vita secondo la pienezza
della sua verità. Nello stesso tempo, dobbiamo promuovere un confronto
serio e approfondito con tutti, anche con i non credenti, sui problemi fondamentali
della vita umana, nei luoghi dell'elaborazione del pensiero, come nei diversi
ambiti professionali e là dove si snoda quotidianamente l'esistenza di
ciascuno.
96. Il primo e fondamentale
passo per realizzare questa svolta culturale consiste nella formazione della
coscienza morale circa il valore incommensurabile e inviolabile di ogni vita
umana. È di somma importanza riscoprire il nesso inscindibile tra vita
e libertà. Sono beni indivisibili: dove è violato l'uno, anche
l'altro finisce per essere violato. Non c'è libertà vera dove
la vita non è accolta e amata; e non c'è vita piena se non nella
libertà. Ambedue queste realtà hanno poi un riferimento nativo
e peculiare, che le lega indissolubilmente: la vocazione all'amore. Questo amore,
come dono sincero di sé,125 è il senso più vero della vita
e della libertà della persona.
Non meno decisiva nella formazione della coscienza è la riscoperta del
legame costitutivo che unisce la libertà alla verità. Come ho
ribadito più volte, sradicare la libertà dalla verità oggettiva
rende impossibile fondare i diritti della persona su una solida base razionale
e pone le premesse perché nella società si affermino l'arbitrio
ingovernabile dei singoli o il totalitarismo mortificante del pubblico potere.126
È essenziale allora che l'uomo riconosca l'originaria evidenza della
sua condizione di creatura, che riceve da Dio l'essere e la vita come un dono
e un compito: solo ammettendo questa sua nativa dipendenza nell'essere, l'uomo
può realizzare in pienezza la sua vita e la sua libertà e insieme
rispettare fino in fondo la vita e la libertà di ogni altra persona.
Qui soprattutto si svela che " al centro di ogni cultura sta l'atteggiamento
che l'uomo assume davanti al mistero più grande: il mistero di Dio ".127
Quando si nega Dio e si vive come se Egli non esistesse, o comunque non si tiene
conto dei suoi comandamenti, si finisce facilmente per negare o compromettere
anche la dignità della persona umana e l'inviolabilità della sua
vita.
97. Alla formazione della
coscienza è strettamente connessa l'opera educativa, che aiuta l'uomo
ad essere sempre più uomo, lo introduce sempre più profondamente
nella verità, lo indirizza verso un crescente rispetto della vita, lo
forma alle giuste relazioni tra le persone.
In particolare, è necessario educare al valore della vita cominciando
dalle sue stesse radici. È un'illusione pensare di poter costruire una
vera cultura della vita umana, se non si aiutano i giovani a cogliere e a vivere
la sessualità, l'amore e l'intera esistenza secondo il loro vero significato
e nella loro intima correlazione. La sessualità, ricchezza di tutta la
persona, " manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al
dono di sé nell'amore ".128 La banalizzazione della sessualità
è tra i principali fattori che stanno all'origine del disprezzo della
vita nascente: solo un amore vero sa custodire la vita. Non ci si può,
quindi, esimere dall'offrire soprattutto agli adolescenti e ai giovani l'autentica
educazione alla sessualità e all'amore, un'educazione implicante la formazione
alla castità, quale virtù che favorisce la maturità della
persona e la rende capace di rispettare il significato " sponsale "
del corpo.
L'opera di educazione alla vita comporta la formazione dei coniugi alla procreazione
responsabile. Questa, nel suo vero significato, esige che gli sposi siano docili
alla chiamata del Signore e agiscano come fedeli interpreti del suo disegno:
ciò avviene con l'aprire generosamente la famiglia a nuove vite, e comunque
rimanendo in atteggiamento di apertura e di servizio alla vita anche quando,
per seri motivi e nel rispetto della legge morale, i coniugi scelgono di evitare
temporaneamente o a tempo indeterminato una nuova nascita. La legge morale li
obbliga in ogni caso a governare le tendenze dell'istinto e delle passioni e
a rispettare le leggi biologiche iscritte nella loro persona. Proprio tale rispetto
rende legittimo, a servizio della responsabilità nel procreare, il ricorso
ai metodi naturali di regolazione della fertilità: essi vengono sempre
meglio precisati dal punto di vista scientifico e offrono possibilità
concrete per scelte in armonia con i valori morali. Una onesta considerazione
dei risultati raggiunti dovrebbe far cadere pregiudizi ancora troppo diffusi
e convincere i coniugi nonché gli operatori sanitari e sociali circa
l'importanza di un'adeguata formazione al riguardo. La Chiesa è riconoscente
verso coloro che con sacrificio personale e dedizione spesso misconosciuta si
impegnano nella ricerca e nella diffusione di tali metodi, promovendo al tempo
stesso un'educazione ai valori morali che il loro uso suppone.
L'opera educativa non può non prendere in considerazione anche la sofferenza
e la morte. In realtà, esse fanno parte dell'esperienza umana, ed è
vano, oltre che fuorviante, cercare di censurarle e rimuoverle. Ciascuno invece
deve essere aiutato a coglierne, nella concreta e dura realtà, il mistero
profondo. Anche il dolore e la sofferenza hanno un senso e un valore, quando
sono vissuti in stretta connessione con l'amore ricevuto e donato. In questa
prospettiva ho voluto che si celebrasse ogni anno la Giornata Mondiale del Malato,
sottolineando " l'indole salvifica dell'offerta della sofferenza, che vissuta
in comunione con Cristo appartiene all'essenza stessa della redenzione ".129
Del resto perfino la morte è tutt'altro che un'avventura senza speranza:
è la porta dell'esistenza che si spalanca sull'eternità e, per
quanti la vivono in Cristo, è esperienza di partecipazione al suo mistero
di morte e risurrezione.
98. In sintesi, possiamo
dire che la svolta culturale qui auspicata esige da tutti il coraggio di assumere
un nuovo stile di vita che s'esprime nel porre a fondamento delle scelte concrete
- a livello personale, familiare, sociale e internazionale - la giusta scala
dei valori: il primato dell'essere sull'avere,130 della persona sulle cose.131
Questo rinnovato stile di vita implica anche il passaggio dall'indifferenza
all'interessamento per l'altro e dal rifiuto alla sua accoglienza: gli altri
non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli e sorelle con cui essere
solidali; sono da amare per se stessi; ci arricchiscono con la loro stessa presenza.
Nella mobilitazione per una nuova cultura della vita nessuno si deve sentire
escluso: tutti hanno un ruolo importante da svolgere. Insieme con quello delle
famiglie, particolarmente prezioso è il compito degli insegnanti e degli
educatori. Molto dipenderà da loro se i giovani, formati ad una vera
libertà, sapranno custodire dentro di sé e diffondere intorno
a sé ideali autentici di vita e sapranno crescere nel rispetto e nel
servizio di ogni persona, in famiglia e nella società.
Anche gli intellettuali possono fare molto per costruire una nuova cultura della
vita umana. Un compito particolare spetta agli intellettuali cattolici, chiamati
a rendersi attivamente presenti nelle sedi privilegiate dell'elaborazione culturale,
nel mondo della scuola e delle università, negli ambienti della ricerca
scientifica e tecnica, nei luoghi della creazione artistica e della riflessione
umanistica. Alimentando il loro genio e la loro azione alle chiare linfe del
Vangelo, si devono impegnare a servizio di una nuova cultura della vita con
la produzione di contributi seri, documentati e capaci di imporsi per i loro
pregi al rispetto e all'interesse di tutti. Proprio in questa prospettiva ho
istituito la Pontificia Accademia per la Vita con il compito di " studiare,
informare e formare circa i principali problemi di biomedicina e di diritto,
relativi alla promozione e alla difesa della vita, soprattutto nel diretto rapporto
che essi hanno con la morale cristiana e le direttive del magistero della Chiesa
".132 Uno specifico apporto dovrà venire anche dalle Università,
in particolare da quellecattoliche, e dai Centri, Istituti e Comitati di bioetica.
Grande e grave è la responsabilità degli operatori dei mass media,
chiamati ad adoperarsi perché i messaggi trasmessi con tanta efficacia
contribuiscano alla cultura della vita. Devono allora presentare esempi alti
e nobili di vita e dare spazio alle testimonianze positive e talvolta eroiche
di amore all'uomo; proporre con grande rispetto i valori della sessualità
e dell'amore, senza indugiare su ciò che deturpa e svilisce la dignità
dell'uomo. Nella lettura della realtà, devono rifiutare di mettere in
risalto quanto può insinuare o far crescere sentimenti o atteggiamenti
di indifferenza, di disprezzo o di rifiuto nei confronti della vita. Nella scrupolosa
fedeltà alla verità dei fatti, sono chiamati a coniugare insieme
la libertà di informazione, il rispetto di ogni persona e un profondo
senso di umanità.
99. Nella svolta culturale
a favore della vita le donne hanno uno spazio di pensiero e di azione singolare
e forse determinante: tocca a loro di farsi promotrici di un " nuovo femminismo
" che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli " maschilisti
", sappia riconoscere ed esprimere il vero genio femminile in tutte le
manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni
forma di discriminazione, di violenza e di sfruttamento.
Riprendendo le parole del messaggio conclusivo del Concilio Vaticano II, rivolgo
anch'io alle donne il pressante invito: " Riconciliate gli uomini con la
vita ".133 Voi siete chiamate a testimoniare il senso dell'amore autentico,
di quel dono di sé e di quella accoglienza dell'altro che si realizzano
in modo specifico nella relazione coniugale, ma che devono essere l'anima di
ogni altra relazione interpersonale. L'esperienza della maternità favorisce
in voi una sensibilità acuta per l'altra persona e, nel contempo, vi
conferisce un compito particolare: " La maternità contiene in sé
una speciale comunione col mistero della vita, che matura nel seno della donna...
Questo modo unico di contatto col nuovo uomo che si sta formando crea a sua
volta un atteggiamento verso l'uomo - non solo verso il proprio figlio, ma verso
l'uomo in genere - tale da caratterizzare profondamente tutta la personalità
della donna ".134 La madre, infatti, accoglie e porta in sé un altro,
gli dà modo di crescere dentro di sé, gli fa spazio, rispettandolo
nella sua alterità. Così, la donna percepisce e insegna che le
relazioni umane sono autentiche se si aprono all'accoglienza dell'altra persona,
riconosciuta e amata per la dignità che le deriva dal fatto di essere
persona e non da altri fattori, quali l'utilità, la forza, l'intelligenza,
la bellezza, la salute. Questo è il contributo fondamentale che la Chiesa
e l'umanità si attendono dalle donne. Ed è la premessa insostituibile
per un'autentica svolta culturale.
Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all'aborto.
La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione,
e non dubita che in molti casi s'è trattato d'una decisione sofferta,
forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s'è ancor
rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane
profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento
e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che
si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non
l'avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre
di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel
sacramento della Riconciliazione. Vi accorgerete che nulla è perduto
e potrete chiedere perdono anche al vostro bambino, che ora vive nel Signore.
Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete
essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori
del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato
eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l'accoglienza
e l'attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete
artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell'uomo.
100. In questo grande sforzo
per una nuova cultura della vita siamo sostenuti e animati dalla fiducia di
chi sa che il Vangelo della vita, come il Regno di Dio, cresce e dà i
suoi frutti abbondanti (cf. Mc 4, 26-29). È certamente enorme la sproporzione
che esiste tra i mezzi, numerosi e potenti, di cui sono dotate le forze operanti
a sostegno della " cultura della morte " e quelli di cui dispongono
i promotori di una " cultura della vita e dell'amore ". Ma noi sappiamo
di poter confidare sull'aiuto di Dio, al quale nulla è impossibile (cf.
Mt 19, 26).
Con questa certezza nel cuore, e mosso da accorata sollecitudine per le sorti
di ogni uomo e donna, ripeto oggi a tutti quanto ho detto alle famiglie impegnate
nei loro difficili compiti fra le insidie che le minacciano: 135 èurgente
una grande preghiera per la vita, che attraversi il mondo intero. Con iniziative
straordinarie e nella preghiera abituale, da ogni comunità cristiana,
da ogni gruppo o associazione, da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio, Creatore e amante della vita. Gesù
stesso ci ha mostrato col suo esempio che preghiera e digiuno sono le armi principali
e più efficaci contro le forze del male (cf. Mt 4, 1-11) e ha insegnato
ai suoi discepoli che alcuni demoni non si scacciano se non in questo modo (cf.
Mc 9, 29). Ritroviamo, dunque, l'umiltà e il coraggio di pregare e digiunare,
per ottenere che la forza che viene dall'Alto faccia crollare i muri di inganni
e di menzogne, che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle
la natura perversa di comportamenti e di leggi ostili alla vita, e apra i loro
cuori a propositi e intenti ispirati alla civiltà della vita e dell'amore.
" Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta
" (1 Gv 1, 4): il Vangelo della vita è per la città degli
uomini
101. " Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta
" (1 Gv 1, 4). La rivelazione del Vangelo della vita ci è data come
bene da comunicare a tutti: perché tutti gli uomini siano in comunione
con noi e con la Trinità (cf. 1 Gv 1, 3). Neppure noi potremmo essere
nella gioia piena se non comunicassimo questo Vangelo agli altri, ma lo tenessimo
solo per noi stessi.
Il Vangelo della vita non è esclusivamente per i credenti: è per
tutti. La questione della vita e della sua difesa e promozione non è
prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie,
essa appartiene ad ogni coscienza umana che aspira alla verità ed è
attenta e pensosa per le sorti dell'umanità. Nella vita c'è sicuramente
un valore sacro e religioso, ma in nessun modo esso interpella solo i credenti:
si tratta, infatti, di un valore che ogni essere umano può cogliere anche
alla luce della ragione e che perciò riguarda necessariamente tutti.
Per questo, la nostra azione di " popolo della vita e per la vita "
domanda di essere interpretata in modo giusto e accolta con simpatia. Quando
la Chiesa dichiara che il rispetto incondizionato del diritto alla vita di ogni
persona innocente - dal concepimento alla sua morte naturale - è uno
dei pilastri su cui si regge ogni società civile, essa " vuole semplicemente
promuovere uno Stato umano. Uno Stato che riconosca come suo primario dovere
la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella
più debole ".136
Il Vangelo della vita è per la città degli uomini. Agire a favore
della vita è contribuire al rinnovamento della società mediante
l'edificazione del bene comune. Non è possibile, infatti, costruire il
bene comune senza riconoscere e tutelare il diritto alla vita, su cui si fondano
e si sviluppano tutti gli altri diritti inalienabili dell'essere umano. Né
può avere solide basi una società che - mentre afferma valori
quali la dignità della persona, la giustizia e la pace - si contraddice
radicalmente accettando o tollerando le più diverse forme di disistima
e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata. Solo il
rispetto della vita può fondare e garantire i beni più preziosi
e necessari della società, come la democrazia e la pace.
Infatti, non ci può essere vera democrazia, se non si riconosce la dignità
di ogni persona e non se ne rispettano i diritti.
Non ci può essere neppure vera pace, se non si difende e promuove la
vita, come ricordava Paolo VI: " Ogni delitto contro la vita è un
attentato contro la pace, specialmente se esso intacca il costume del popolo...,
mentre dove i diritti dell'uomo sono realmente professati e pubblicamente riconosciuti
e difesi, la pace diventa l'atmosfera lieta e operosa della convivenza sociale
".137
Il " popolo della vita " gioisce di poter condividere con tanti altri
il suo impegno, così che sempre più numeroso sia il " popolo
per la vita " e la nuova cultura dell'amore e della solidarietà
possa crescere per il vero bene della città degli uomini.
CONCLUSIONE
102. Al termine di questa
Enciclica, lo sguardo ritorna spontaneamente al Signore Gesù, il "
Bambino nato per noi " (cf. Is 9, 5) per contemplare in lui " la Vita
" che " si è manifestata " (1 Gv 1, 2). Nel mistero di
questa nascita si compie l'incontro di Dio con l'uomo e ha inizio il cammino
del Figlio di Dio sulla terra, un cammino che culminerà nel dono della
vita sulla Croce: con la sua morte Egli vincerà la morte e diventerà
per l'umanità intera principio di vita nuova.
Ad accogliere " la Vita " a nome di tutti e a vantaggio di tutti è
stata Maria, la Vergine Madre, la quale ha quindi legami personali strettissimi
con il Vangelo della vita. Il consenso di Maria all'Annunciazione e la sua maternità
si trovano alla sorgente stessa del mistero della vita che Cristo è venuto
a donare agli uomini (cf. Gv 10, 10). Attraverso la sua accoglienza e la sua
cura premurosa per la vita del Verbo fatto carne, la vita dell'uomo è
stata sottratta alla condanna della morte definitiva ed eterna.
Per questo Maria " è madre di tutti coloro che rinascono alla vita,
proprio come la Chiesa di cui è modello. È madre di quella vita
di cui tutti vivono. Generando la vita, ha come rigenerato coloro che di questa
vita dovevano vivere ".138
Contemplando la maternità di Maria, la Chiesa scopre il senso della propria
maternità e il modo con cui è chiamata ad esprimerla. Nello stesso
tempo l'esperienza materna della Chiesa dischiude la prospettiva più
profonda per comprendere l'esperienza di Maria quale incomparabile modello di
accoglienza e di cura della vita.
" Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole " (Ap 12, 1): la maternità di Maria e della Chiesa
103. Il rapporto reciproco
tra il mistero della Chiesa e Maria si manifesta con chiarezza nel " segno
grandioso " descritto nell'Apocalisse: " Nel cielo apparve poi un
segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e
sul suo capo una corona di dodici stelle " (12,1). In questo segno la Chiesa
riconosce una immagine del proprio mistero: immersa nella storia, essa è
consapevole di trascenderla, in quanto costituisce sulla terra il " germe
e l'inizio " del Regno di Dio.139 Questo mistero la Chiesa lo vede realizzato
in modo pieno ed esemplare in Maria. È Lei la donna gloriosa, nella quale
il disegno di Dio si è potuto attuare con somma perfezione.
La " donna vestita di sole " - rileva il Libro dell'Apocalisse - "
era incinta " (12, 2). La Chiesa è pienamente consapevole di portare
in sé il Salvatore del mondo, Cristo Signore, e di essere chiamata a
donarlo al mondo, rigenerando gli uomini alla vita stessa di Dio. Non può
però dimenticare che questa sua missione è stata resa possibile
dalla maternità di Maria, che ha concepito e dato alla luce colui che
è " Dio da Dio ", " Dio vero da Dio vero ". Maria
è veramente Madre di Dio, la Theotokos nella cui maternità è
esaltata al sommo grado la vocazione alla maternità inscritta da Dio
in ogni donna. Così Maria si pone come modello per la Chiesa, chiamata
ad essere la " nuova Eva ", madre dei credenti, madre dei " viventi
" (cf. Gn 3, 20).
La maternità spirituale della Chiesa non si realizza - anche di questo
la Chiesa è consapevole - se non in mezzo alle doglie e al " travaglio
del parto " (Ap 12, 2), cioè nella perenne tensione con le forze
del male, che continuano ad attraversare il mondo ed a segnare il cuore degli
uomini, facendo resistenza a Cristo: " In lui era la vita e la vita era
la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno
accolta " (Gv 1, 4-5).
Come la Chiesa, anche Maria ha dovuto vivere la sua maternità nel segno
della sofferenza: " Egli è qui... segno di contraddizione perché
siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà
l'anima " (Lc 2, 34-35). Nelle parole che, agli albori stessi dell'esistenza
del Salvatore, Simeone rivolge a Maria è sinteticamente raffigurato quel
rifiuto nei confronti di Gesù, e con Lui di Maria, che giungerà
al suo vertice sul Calvario. " Presso la croce di Gesù " (Gv
19, 25), Maria partecipa al dono che il Figlio fa di sé: offre Gesù,
lo dona, lo genera definitivamente per noi. Il " sì " del giorno
dell'Annunciazione matura in pienezza nel giorno della Croce, quando per Maria
giunge il tempo di accogliere e di generare come figlio ogni uomo divenuto discepolo,
riversando su di lui l'amore redentore del Figlio: " Gesù allora,
vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse
alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio" " (Gv 19, 26).
" Il drago si pose davanti alla donna... per divorare il bambino appena nato " (Ap 12, 4): la vita insidiata dalle forze del male
104. Nel Libro dell'Apocalisse
il " segno grandioso " della " donna " (12, 1) è
accompagnato da " un altro segno nel cielo ": " un enorme drago
rosso " (12, 3), che raffigura Satana, potenza personale malefica, e insieme
tutte le forze del male che operano nella storia e contrastano la missione della
Chiesa.
Anche in questo Maria illumina la Comunità dei Credenti: l'ostilità
delle forze del male è, infatti, una sorda opposizione che, prima di
toccare i discepoli di Gesù, si rivolge contro sua Madre. Per salvare
la vita del Figlio da quanti lo temono come una pericolosa minaccia, Maria deve
fuggire con Giuseppe e il Bambino in Egitto (cf. Mt 2, 13-15).
Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è
sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le
tenebre. Il drago vuole divorare " il bambino appena nato " (Ap 12,
4), figura di Cristo, che Maria genera nella " pienezza del tempo "
(Gal 4, 4) e che la Chiesa deve continuamente offrire agli uomini nelle diverse
epoche della storia. Ma in qualche modo è anche figura di ogni uomo,
di ogni bambino, specie di ogni creatura debole e minacciata, perché
- come ricorda il Concilio - " con la sua incarnazione il Figlio di Dio
si è unito in certo modo a ogni uomo ".140 Proprio nella "
carne " di ogni uomo, Cristo continua a rivelarsi e ad entrare in comunione
con noi, così che il rifiuto della vita dell'uomo, nelle sue diverse
forme, è realmente rifiuto di Cristo. È questa la verità
affascinante ed insieme esigente che Cristo ci svela e che la sua Chiesa ripropone
instancabilmente: " Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome
mio, accoglie me " (Mt 18, 5); " In verità vi dico: ogni volta
che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me " (Mt 25, 40).
" Non ci sarà più la morte " (Ap 21, 4): lo splendore della risurrezione
105. L'annunciazione dell'angelo
a Maria è racchiusa tra queste parole rassicuranti: " Non temere,
Maria " e " Nulla è impossibile a Dio " (Lc 1, 30.37).
In verità, tutta l'esistenza della Vergine Madre è avvolta dalla
certezza che Dio le è vicino e l'accompagna con la sua provvidente benevolenza.
Così è anche della Chiesa, che trova " un rifugio "
(Ap 12, 6) nel deserto, luogo della prova ma anche della manifestazione dell'amore
di Dio verso il suo popolo (cf. Os 2, 16). Maria è vivente parola di
consolazione per la Chiesa nella sua lotta contro la morte. Mostrandoci il Figlio,
ella ci assicura che in lui le forze della morte sono già state sconfitte:
" Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della
vita era morto; ma ora, vivo, trionfa ".141
L'Agnello immolato vive con i segni della passione nello splendore della risurrezione.
Solo lui domina tutti gli eventi della storia: ne scioglie i " sigilli
" (cf. Ap 5, 1-10) e afferma, nel tempo e oltre il tempo, il potere della
vita sulla morte. Nella " nuova Gerusalemme ", ossia nel mondo nuovo,
verso cui tende la storia degli uomini, " non ci sarà più
la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché
le cose di prima sono passate " (Ap 21, 4).
E mentre, come popolo pellegrinante, popolo della vita e per la vita, camminiamo
fiduciosi verso " un nuovo cielo e una nuova terra " (Ap 21, 1), volgiamo
lo sguardo a Colei che è per noi " segno di sicura speranza e di
consolazione ".142
O Maria,
aurora del mondo nuovo,
Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato
di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere,
di uomini e donne vittime di disumana violenza,
di anziani e malati uccisi dall'indifferenza
o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio
sappiano annunciare con franchezza e amore
agli uomini del nostro tempo
il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo
come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine
in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo
con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà,
la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.
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