Prologo
Venerabili Fratelli, diletti Figli
1. Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa, perché sia nello stesso
tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza; appare
quindi evidente la ragione per cui ad essa abbiano dato prove di particolare
amore, e ad essa abbiano dedicato particolari cure tutti coloro che hanno avuto
a cuore sia la gloria di Dio sia la salvezza eterna degli uomini: tra i quali,
com'era giusto, rifulsero i Vicari in terra dello stesso Cristo, un numero immenso
di Vescovi e di sacerdoti, ed una mirabile schiera di santi cristiani.
La dottrina del Vangelo e la grande famiglia umana
2. A tutti, pertanto, sembrerà quasi naturale che Noi, indirizzando al
mondo questa Nostra prima Enciclica dopo che, per inscrutabile disegno di Dio,
siamo stati chiamati al Soglio Pontificio, rivolgiamo il Nostro pensiero amoroso
e reverente alla santa Chiesa.
3. Per tali motivi, Ci proporremo, in questa Enciclica, di sempre più
chiarire a tutti quanto, da una parte, sia importante per la salvezza dell'umana
società, e dall'altra quanto stia a cuore alla Chiesa che ambedue s'incontrino,
si conoscano, si amino.
4. Quando, per grazia di Dio, Noi avemmo la fortuna di rivolgere a viva voce
la Nostra parola, all'apertura della seconda sessione del Concilio Ecumenico
Vaticano II, nella festa di San Michele Arcangelo dello scorso anno, a voi tutti
adunati nella basilica di San Pietro, manifestammo il proposito di rivolgervi
altresì per iscritto, com'è costume all'inizio d'ogni Pontificato,
il Nostro fraterno e paterno discorso, per manifestarvi alcuni Nostri pensieri,
che sovrastano agli altri dell'animo Nostro e che Ci sembrano utili a guidare
praticamente gli inizi del Nostro pontificale ministero.
5. Veramente Ci è difficile determinare tali pensieri, perché
dobbiamo attingerli alla più diligente meditazione della divina dottrina,
memori Noi stessi delle parole di Cristo: "La mia dottrina non è
mia, ma di Colui che mi ha mandato"; dobbiamo, inoltre, commisurarli alle
presenti condizioni della Chiesa stessa, in un'ora di vivacità e di travaglio
sia della sua interiore esperienza spirituale, sia del suo esteriore sforzo
apostolico; e dobbiamo, infine, non ignorare lo stato in cui oggi si trova l'umanità,
in mezzo alla quale si svolge la nostra missione.
Triplice impegno della Chiesa
6. Ma non è Nostra
ambizione dire cose nuove né complete; il Concilio Ecumenico è
là per questo; la sua opera non deve essere turbata da questa Nostra
semplice conversazione epistolare, ma quasi onorata ed incoraggiata.
7. Non vuole questa Nostra Enciclica rivestire carattere solenne e propriamente
dottrinale, né proporre insegnamenti determinati, morali o sociali, ma
semplicemente vuol essere un messaggio fraterno e familiare.
8. Noi vogliamo infatti soltanto, con questo Nostro scritto, compiere il Nostro
dovere di aprire a voi l'animo Nostro, con l'intenzione di dare alla comunione
di fede e di carità, che beatamente intercede fra noi, maggiore coesione,
maggiore gaudio, allo scopo di rinvigorire il nostro ministero, di meglio attendere
alle fruttuose celebrazioni del Concilio Ecumenico stesso, e di dare maggiore
chiarezza ad alcuni criteri dottrinali e pratici, che possono utilmente guidare
l'attività spirituale ed apostolica della Gerarchia ecclesiastica e di
quanti le prestano obbedienza e collaborazione, o anche solo benevola attenzione.
9. Vi diremo subito, Venerabili Fratelli, che tre sono i pensieri, che vanno
agitando l'animo Nostro quando consideriamo l'altissimo ufficio, che la Provvidenza,
contro i Nostri desideri ed i Nostri meriti, Ci ha voluto affidare di reggere
la Chiesa di Cristo, nella Nostra funzione di Vescovo di Roma, e perciò
di Successore del beato Apostolo Pietro, gestore delle somme chiavi del regno
di Dio e Vicario di quel Cristo che fece di lui il pastore primo del suo gregge
universale.
10. Il pensiero che sia questa l'ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza
di se stessa, deve meditare sul mistero che le è proprio, deve esplorare,
a propria istruzione ed a propria edificazione, la dottrina, già a lei
nota e già in quest'ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria
origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale, ma
dottrina non mai abbastanza studiata e compresa, come quella che contiene il
"piano provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio
affinché
sia manifestato
per mezzo della Chiesa", misteriosa riserva cioè
dei misteriosi disegni divini che mediante la Chiesa vengono notificati; e come
quella che costituisce oggi il tema più d'ogni altro interessante la
riflessione di chi vuol essere docile seguace di Cristo, e tanto più
di chi, come Noi e come voi, Venerabili Fratelli, lo Spirito Santo ha posto
quali Vescovi a reggere la medesima Chiesa di Dio.
11. Deriva da questa illuminata operante coscienza uno spontaneo desiderio di
confrontare l'immagine ideale della Chiesa, quale Cristo vide, volle ed amò,
come sua Sposa santa ed immacolata e il volto reale, quale oggi la Chiesa presenta,
fedele, per grazia divina, ai lineamenti che il suo divin Fondatore le impresse
e che lo Spirito Santo vivificò e sviluppò nel corso dei secoli
in forma più ampia e più rispondente al concetto iniziale da un
lato, all'indole della umanità ch'essa andava evangelizzando e assumendo
dall'altro; ma non mai abbastanza perfetto, abbastanza venusto, abbastanza santo
e luminoso, come quel divino concetto informatore lo vorrebbe.
12. E deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento,
di emendamento cioè dei difetti, che quella coscienza, quasi un esame
interiore allo specchio del modello che Cristo di sé ci lasciò,
denuncia e rigetta. Quale sia cioè il dovere odierno della Chiesa di
correggere i difetti dei propri membri e di farli tendere a maggior perfezione,
e quale il metodo per giungere con saggezza a tanto rinnovamento, è il
secondo pensiero che occupa il Nostro spirito e che vorremmo a voi manifestare
per trovare non solo maggiore coraggio a intraprendere le dovute riforme, ma
per avere altresì dalla vostra adesione consiglio ed appoggio in cori
delicata e difficile impresa.
13. Terzo pensiero Nostro, e vostro certamente, sorgente dai primi due sopra
enunciati, è quello delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire
col mondo che la circonda ed in cui essa vive e lavora.
14. Una parte di questo mondo, come ognuno sa, ha subìto profondamente
l'influsso del cristianesimo e l'ha assorbito intimamente più che spesso
non si avveda d'essere debitore delle migliori sue cose al cristianesimo stesso,
ma poi s'è venuto distinguendo e staccando, in questi ultimi secoli,
dal ceppo cristiano della sua civiltà; e un'altra parte, e la maggiore
di questo mondo, si dilata agli sconfinati orizzonti dei popoli nuovi, come
si dice; ma tutto insieme è un mondo che non una, ma cento forme di possibili
contatti offre alla Chiesa, aperti e facili alcuni, delicati e complicati altri,
ostili e refrattari ad amico colloquio purtroppo oggi moltissimi.
15. Si presenta cioè il problema, così detto, del dialogo fra
la Chiesa ed il mondo moderno. È problema questo che tocca al Concilio
descrivere nella sua vastità e complessità, e risolvere, per quanto
è possibile, nei termini migliori. Ma la sua presenza, la sua urgenza
sono tali da costituire un peso nell'animo Nostro, uno stimolo, una vocazione
quasi, che vorremmo a Noi stessi ed a voi, Fratelli, sicuramente non meno di
Noi esperti del suo tormento apostolico, in qualche modo chiarire, quasi per
renderci idonei alle discussioni e alle deliberazioni che nel Concilio insieme
crederemo di prospettare in così grave e multiforme materia.
Assiduo e illimitato zelo per la pace
16. Voi certamente avvertirete che questo sommario disegno della Nostra Enciclica
non contempla la trattazione di temi urgenti e gravi che interessano non solo
la Chiesa ma l'umanità, quali la pace fra i popoli e fra le classi sociali,
la miseria e la fame che tuttora affliggono intere popolazioni, l'ascesa di
giovani nazioni all'indipendenza e al progresso civile, le correnti del pensiero
moderno e la cultura cristiana, le condizioni infelici di tanta gente e di tante
porzioni della Chiesa a cui sono contestati i diritti propri di cittadini liberi
e di persone umane, i problemi morali circa la natalità, e così
via.
17. Ma grande e universale questione della pace nel mondo Noi diciamo fin d'ora
che Ci sentiremo particolarmente obbligati a rivolgere non solo la Nostra vigilante
e cordiale attenzione, ma l'interessamento altresì più assiduo
ed efficace, contenuto, sì, nell'ambito del Nostro ministero ed estraneo
perciò ad ogni interesse puramente temporale e alle forme propriamente
politiche, ma premuroso di contribuire alla educazione dell'umanità a
sentimenti ed a procedimenti contrari ad ogni violento e micidiale conflitto,
e favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei rapporti fra
le nazioni; e sollecito parimente di assistere, con la proclamazione dei principi
superiori, che possano giovare a temperare gli egoismi e le passioni donde scaturiscono
gli scontri bellici, l'armonica convivenza e la fruttuosa collaborazione fra
i popoli; e d'intervenire, ove l'opportunità Ci sia offerta, per coadiuvare
le pani contendenti a onorevoli e fraterne soluzioni. Non dimentichiamo infatti
essere questo amoroso servizio un dovere che la maturazione delle dottrine da
un lato, delle istituzioni internazionali dall'altro rende oggi più urgente
nella coscienza della nostra missione cristiana nel mondo, ch'è pur quella
di rendere fratelli gli uomini, in virtù appunto del regno di giustizia
e di pace, inaugurato dalla venuta di Cristo nel mondo.
18. Ma se ora Ci limitiamo ad alcune considerazioni di carattere metodologico
per la vita propria della Chiesa, non dimentichiamo quei grandi problemi, ad
alcuni dei quali il Concilio dedicherà la sua attenzione, mentre Noi
ci riserviamo di farne oggetto di studio e d'azione nel successivo esercizio
del Nostro ministero apostolico, come al Signore piacerà di darcene l'ispirazione
e la forza.
I. La coscienza
19. Noi pensiamo che sia doveroso oggi per la Chiesa approfondire la coscienza
ch'ella deve avere di sé, del tesoro di verità di cui è
erede e custode e della missione ch'essa deve esercitare nel mondo. Ancor prima
di proporsi lo studio di qualche particolare questione, ed ancora prima di considerare
l'atteggiamento da assumere a riguardo del mondo chela circonda, la Chiesa deve
in questo momento riflettere su se stessa per confermarsi nella scienza dei
divini disegni sopra di sé, per ritrovare maggiore luce, nuova energia
e miglior gaudio nel compiere la propria missione e per determinare i modi migliori
per rendere più vicini, operanti e benefici i suoi contatti con l'umanità
a cui essa stessa, pur distinguendosi per caratteri propri inconfondibili, appartiene.
20. Pare infatti a Noi che tale atto di riflessione possa riferirsi al modo
stesso scelto da Dio per rivelarsi agli uomini e per stabilire con essi quei
rapporti religiosi di cui la Chiesa è al tempo stesso strumento ed espressione.
Perché se è vero che la divina Rivelazione si è compiuta
a più riprese e in più modi con fatti storici esteriori ed incontestabili,
essa però si è inserita nella vita umana per le vie proprie della
parola e della grazia di Dio, che si comunica interiormente alle anime, mediante
la ascoltazione del messaggio della salvezza e mediante quel conseguente atto
di fede, ch'è all'inizio della nostra giustificazione.
La vigilanza dei fedeli seguaci del Signore
21. Noi vorremmo che questa riflessione sull'origine e sulla natura del rapporto
nuovo e vitale, che la religione di Cristo instaura fra Dio e l'uomo, assumesse
il senso d'un atto di docilità alla parola del divino Maestro ai suoi
uditori, e specialmente ai suoi discepoli, tra i quali noi stessi ancor oggi
a buon diritto amiamo considerarci. Fra tante, sceglieremo una delle più
gravi e ripetute raccomandazioni fatta loro da Nostro Signore e ancor oggi valida
per chiunque ami essergli fedele seguace, quella della vigilanza.
22. Vero è che questo monito del nostro Maestro si riferisce principalmente
all'avvertenza dei destini ultimi dell'uomo, prossimi o lontani che siano nel
tempo. Ma proprio perché tale vigilanza dev'essere sempre presente e
operante nella coscienza del servo fedele, essa ne determina la condotta morale,
quella pratica e presente, che deve caratterizzare il cristiano nel mondo. Il
richiamo alla vigilanza è intimato dal Signore anche in ordine a fatti
prossimi e vicini, ai pericoli cioè e alle tentazioni che possono far
decadere o deviare la condotta dell'uomo. Così è facile scoprire
nel Vangelo un continuo invito alla rettitudine del pensiero e dell'azione:
non forse ad essa si riferiva la predicazione del Precursore, con cui si apre
la scena pubblica del Vangelo? e Gesù Cristo stesso non ha invitato ad
accogliere interiormente il regno di Dio? non è tutta la sua pedagogia
un'esortazione, un'iniziazione all'interiorità? La coscienza psicologica
e la coscienza morale sono da Cristo chiamate a simultanea pienezza, quasi a
condizione per ricevere, come finalmente all'uomo si conviene, i doni divini
della verità e della grazia. E la coscienza del discepolo diventerà
poi memoria di quanto Gesù aveva insegnato e di quanto intorno a Lui
era avvenuto, e si svilupperà e si preciserà nella comprensione
di chi Lui era e di che cosa Egli era stato maestro e autore.
23. La nascita della Chiesa e l'accensione della sua coscienza profetica sono
i due fatti caratteristici e coincidenti della Pentecoste, e insieme progrediranno:
la Chiesa nella sua organizzazione e nel suo sviluppo gerarchico e comunitario;
la coscienza della propria vocazione, della propria misteriosa natura, della
propria dottrina, della propria missione accompagnerà gradualmente tale
sviluppo, secondo il voto di San Paolo: E per questo prego: che la vostra carità
più e più ancora abbondi in conoscenza e pienezza di discernimento.
"Credo Domine!"
24. Potremmo esprimere in altro modo questo Nostro invito, che rivolgiamo tanto
alle singole anime di coloro che vogliano accoglierlo; a quelle di ciascuno
di voi, perciò, Venerabili Fratelli, e di coloro che con voi sono alla
Nostra e alla vostra scuola, quanto all'intera congregatio fidelium, collettivamente
considerata ch'è la Chiesa. E cioè potremmo tutti invitare a compiere
un vivo, un profondo, un cosciente atto di fede in Gesù Cristo Signor
Nostro. Noi dovremmo caratterizzare questo momento della nostra vita religiosa
con questa forte e convinta, se pur sempre umile e trepidante, professione di
fede, simile a quella che leggiamo nel Vangelo, emessa dal cieco nato, a cui
Gesù Cristo aveva con bontà pari alla potenza aperto gli occhi:
"Credo, Signore!", ovvero a quella di Marta, nello stesso Vangelo:
"Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Messia, il Figlio di Dio,
che sei venuto in questo mondo"; oppure a quella, a Noi così cara,
di Simone, poi tramutato in Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio
vivente".
25. Perché osiamo Noi invitarvi a questo atto di coscienza ecclesiastica?
a questo esplicito, se pur interiore, atto di fede?
26. Molte sono le ragioni, a Nostro avviso, e tutte derivate da esigenze profonde
ed essenziali del momento speciale in cui si trova la vita della Chiesa.
Vivere la propria vocazione
27. Essa ha bisogno di riflettere su se stessa; ha bisogno di sentirsi vivere.
Essa deve imparare a meglio conoscere se stessa, se vuole vivere la propria
vocazione e offrire al mondo il suo messaggio di fraternità e di salvezza.
Essa ha bisogno di sperimentare Cristo in se stessa, secondo le parole di Paolo
apostolo: "Cristo abiti per la fede nei vostri cuori".
28. È a tutti noto che la Chiesa è immersa nell'umanità,
ne fa parte, ne trae i suoi membri, ne deriva preziosi tesori di cultura, ne
subisce le vicende storiche, ne favorisce le fortune. Ora è parimente
noto che l'umanità in questo tempo è in via di grandi trasformazioni,
rivolgimenti e sviluppi, che cambiano profondamente non solo le sue esteriori
maniere di vivere, ma altresì le sue maniere di pensare. Il suo pensiero,
la sua cultura, il suo spirito sono intimamente modificati sia dal progresso
scientifico, tecnico e sociale, sia dalle correnti di pensiero filosofico e
politico che la invadono e la attraversano. Tutto ciò, come le onde di
un mare, avvolge e scuote la Chiesa stessa: gli animi degli uomini, che ad essa
si affidano, sono fortemente influenzati dal clima del mondo temporale; così
che un pericolo quasi di vertigine, di stordimento, di smarrimento può
scuotere la sua stessa saldezza e indurre molti ad accogliere i più strani
pensamenti, quasi che la Chiesa debba sconfessare se stessa ed assumere novissime
e impensate forme di vivere. Non fu, ad esempio, il fenomeno modernistico, che
tuttora affiora in vari tentativi di espressioni eterogenee all'autentica realtà
della religione cattolica, un episodio di simile sopraffazione delle tendenze
psicologico culturali, proprie del mondo profano, sulla fedele e genuina espressione
della dottrina e della norma della Chiesa di Cristo? Ora pare a Noi che, per
immunizzarsi da tale incombente e molteplice pericolo proveniente da varie pani,
buono e ovvio rimedio sia l'approfondimento di coscienza della Chiesa in ciò
ch'essa veramente è, secondo la mente di Cristo, custodita nella S. Scrittura
e nella Tradizione, e interpretata, sviluppata dalla genuina istruzione ecclesiastica,
la quale è, come sappiamo, illuminata e guidata dallo Spirito Santo,
tuttora pronto, ove Noi lo imploriamo e lo ascoltiamo, a dare indefettibile
compimento alla promessa di Cristo: "Ma il Consolatore, lo Spirito Santo
che il Padre invierà nel mio nome, Egli v'insegnerà ogni cosa
e vi suggerirà tutto ciò che io vi ho detto".
La coscienza nella mentalità moderna
29. Analogo discorso potremmo fare circa gli errori che serpeggiano anche nell'interno
stesso della Chiesa e in cui cadono coloro che hanno una parziale conoscenza
della sua natura e della sua missione, non tenendo essi conto sufficiente dei
documenti della rivelazione divina e degli insegnamenti del magistero istituito
da Cristo stesso.
30. Del resto, questo bisogno di considerare le cose conosciute in un atto riflesso
per contemplarle nello specchio interiore del proprio spirito è caratteristico
della mentalità dell'uomo moderno; il suo pensiero si curva facilmente
su se stesso, e allora gode di certezza e di pienezza, quando s'illumina nella
propria coscienza. Non è che questa abitudine sia senza pericoli gravi;
correnti filosofiche di grande nome hanno esplorato e magnificato questa forma
di attività spirituale dell'uomo come definitiva e suprema, anzi come
misura e sorgente della realtà, spingendo il pensiero a conclusioni astruse,
desolate, paradossali e radicalmente fallaci; ma ciò non toglie che l'educazione
alla ricerca della verità riflessa nell'interno della coscienza sia di
per sé altamente apprezzabile e oggi praticamente diffusa come espressione
squisita della moderna cultura; come non toglie che, bene coordinata con la
formazione del pensiero a scoprire la verità dove essa coincide con la
realtà dell'essere obiettivo, l'esercizio della coscienza riveli sempre
meglio a chi lo compie il fatto dell'esistenza del proprio essere, della propria
spirituale dignità, della propria capacità di conoscere e di agire.
Dal Concilio di Trento alle Encicliche dei tempi nostri
31. È noto inoltre come la Chiesa, in questi ultimi tempi, abbia intrapreso,
per opera di insigni studiosi, di anime grandi e pensose, di scuole teologiche
qualificate, di movimenti pastorali e missionari, di esperienze religiose notevoli,
e soprattutto di insegnamenti pontifici memorabili, a meglio studiare se stessa.
32. Troppo lungo sarebbe anche il solo accennare all'abbondanza della letteratura
teologica avente per oggetto la Chiesa e sgorgata dal suo seno nel secolo scorso
e nel nostro; come troppo lungo parimente sarebbe richiamare i documenti che
l'Episcopato cattolico e questa Sede Apostolica hanno emanato su tema di tanta
ampiezza e di tanta importanza. Da quando il Concilio di Trento cercò
di riparare le conseguenze della crisi che scisse dalla Chiesa molte sue membra
nel secolo decimosesto, la dottrina sulla Chiesa stessa ebbe grandi cultori
e di conseguenza grandi sviluppi. A Noi basta qui riferirci agli insegnamenti
del Concilio Ecumenico Vaticano I in tale campo per comprendere come il tema
dello studio su la Chiesa obbliga l'attenzione sia dei Pastori e dei Maestri,
sia dei fedeli e dei cristiani tutti a fermarsi su di esso come a stazione obbligata
nel cammino verso Cristo e tutta la sua opera; tanto che, come già fu
detto, il Concilio Ecumenico Vaticano II altro non è che una continuazione
ed un complemento del primo, precisamente per l'impegno che ad esso viene di
riprendere l'esame e la definizione della dottrina sulla Chiesa. E se di più
non diciamo per amore di brevità, parlando a chi ben conosce questa materia
della catechesi e della spiritualità oggi diffuse nella santa Chiesa,
due documenti Noi non possiamo omettere dall'onorare di particolare memoria;
vogliamo dire l'Enciclica Satis cognitum di Papa Leone XIII e l'Enciclica Mystici
Corporis di Papa Pio XII, documenti che ci offrono ampia e lucida dottrina sulla
divina istituzione, per la quale Cristo continua nel mondo la sua opera di salvezza,
e su cui vene ora il Nostro discorso. Basti ricordare le parole, con le quali
si apre il secondo di tali documenti pontifici, diventato, si può dire,
testo assai autorevole circa la teologia su la Chiesa e molto fecondo di spirituali
meditazioni sopra tale opera della divina misericordia che tutti ci riguarda.
Giovi infatti ricordare le parole magistrali di tanto Nostro Predecessore:
"La dottrina sul Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, dottrina
attinta originariamente al labbro stesso del Redentore e che pone nella vera
luce il gran bene (mai abbastanza esaltato) della nostra strettissima unione
con sì eccelso Capo, è tale senza dubbio che, per la sua eccellenza
e dignità, invita tutti gli uomini mossi dal divino Spirito, a studiarla
e, illuminando la loro mente, fortemente li spinge a quelle opere salutari che
corrispondono ai suoi precetti".
La scienza sul Corpo mistico
33. È per corrispondere a tale invito, che Noi consideriamo tuttora operante
sui nostri animi e in modo tale da esprimere uno dei bisogni fondamentali della
vita della Chiesa nei nostri tempi, che ancor oggi Noi lo proponiamo, affinché,
sempre meglio edotti della scienza circa il medesimo Corpo mistico, sappiamo
apprezzarne i divini significati, corroborando così i nostri animi di
incomparabili conforti e procurando di sempre meglio abilitarci a corrispondere
ai doveri della nostra missione e ai bisogni dell'umanità.
Né Ci sembra difficile il farlo, quando da un lato Noi notiamo, come
dicevamo, un'immensa fioritura di studi aventi per oggetto la santa Chiesa,
e dall'altro sappiamo che su di essa è principalmente fissato lo sguardo
del Concilio Ecumenico Vaticano II. Noi vogliamo tributare un vivo elogio a
quegli uomini studiosi, che, specialmente in questi ultimi anni, hanno dedicato,
con perfetta docilità al magistero cattolico e con geniale capacità
di ricerca e di espressione, allo studio ecclesiologico laboriose, copiose e
fruttuose fatiche, che tanto nelle scuole teologiche, quanto nella discussione
scientifica e letteraria, quanto ancora nell'apologia e nella divulgazione spirituale
alle anime dei fedeli e nella conversazione con i fratelli separati, hanno offerto
molteplici illustrazioni della dottrina sulla Chiesa, alcune delle quali di
alto valore e di grande utilità.
34. Così siamo fiduciosi che l'opera del Concilio sarà assistita
dal lume dello Spirito Santo e sarà proseguita e condotta a buon fine
con tale docilità alle sue divine ispirazioni, con tale impegno nell'indagine
più approfondita ed integrale del pensiero originario di Cristo e dei
suoi doverosi e legittimi sviluppi nella sequela dei tempi, con tale premura
di fare delle divine verità argomento per unire, non già per dividere
gli animi in sterili discussioni o in incresciose scissioni, ma per condurli
a migliore chiarezza e concordia, che ne abbia gloria Iddio, gaudio la Chiesa,
edificazione il mondo.
La vite e i tralci
35. Noi Ci asteniamo di proposito dal pronunciare qualsiasi Nostra sentenza,
in questa Nostra Enciclica, sopra i punti dottrinali relativi alla Chiesa, posti
ora all'esame del Concilio stesso, cui siamo chiamati a presiedere: a così
alto e autorevole consesso vogliamo ora lasciare libertà di studio e
di parola, riservando al Nostro apostolico ufficio di maestro e di pastore,
posto alla testa della Chiesa di Dio, il momento ed il modo di esprimere il
Nostro giudizio, lietissimi se Ci sarà dato di offrirlo in tutto conforme
a quello de' Padri conciliari.
36. Ma non possiamo tacere qualche rapido cenno sui frutti che Noi speriamo
deriveranno sia dal Concilio stesso, sia dallo sforzo, di cui sopra dicevamo,
che la Chiesa deve compiere per avere di sé coscienza più piena
e più forte. E tali frutti sono gli scopi che Noi premettiamo al Nostro
ministero apostolico, mentre ne iniziamo le dolci ed immani fatiche, sono il
programma, per così dire, del Nostro Pontificato; e a voi, Venerabili
Fratelli, lo esponiamo assai brevemente ma sinceramente, affinché Ci
vogliate aiutare a porlo in opera mediante il vostro consiglio, la vostra adesione,
la vostra collaborazione. Pensiamo che aprendo a voi l'animo Nostro lo apriamo
a tutti i Fedeli della Chiesa di Dio, anzi a coloro stessi ai quali, oltre gli
aperti confini dell'ovile di Cristo, possa giungere l'eco della Nostra voce.
37. Il primo frutto della approfondita coscienza della Chiesa su se stessa è
la rinnovata scoperta del suo vitale rapporto con Cristo. Notissima cosa, ma
fondamentale, ma indispensabile, ma non mai abbastanza conosciuta, meditata,
celebrata. Che cosa non si dovrebbe dire su questo capitolo centrale di tutto
il nostro patrimonio religioso? Per fortuna, voi già ben conoscete questa
dottrina; né Noi ora vi aggiungeremo parola, se non per raccomandare
di volerla sempre tenere presente come principale, come direttrice sia nella
vostra vita spirituale, sia nella vostra predicazione. Valga più della
Nostra l'esortatrice parola del Nostro menzionato Predecessore nella suddetta
Enciclica Mystici Corporis: "È necessario assuefarsi a riconoscere
nella Chiesa lo stesso Cristo. È infatti Cristo che nella Chiesa sua
vive, che per mezzo di lei insegna, governa e comunica la santità; è
Cristo che in molteplici forme si manifesta nelle varie membra della sua società".
Oh! come Ci sarebbe gradito indugiarci nelle reminiscenze che dalla Sacra Scrittura,
dai Padri, dai Dottori, dai Santi affluiscono al Nostro spirito, ripensando
a questo punto luminoso della nostra fede. Non ci ha detto Gesù stesso
ch'Egli è la vite e noi siamo i tralci? Non abbiamo noi davanti alla
mente tutta la ricchissima dottrina di San Paolo, il quale non cessa dal ricordarci:
"Voi siete una cosa sola in Cristo"? e dal raccomandarci: "
che
cresciamo sotto ogni aspetto verso di Lui, che è il capo, Cristo; dal
quale tutto il corpo
"? e dall'ammonirci: "tutto e in tutti è
Cristo"? Ci basti, per tutti, ricordare fra i maestri S. Agostino: "
Rallegriamoci
e rendiamo grazie, non solo per essere divenuti cristiani, ma Cristo. Vi rendete
conto, o fratelli, capite voi il dono di Dio a nostro riguardo? Siate pieni
di ammirazione, godete: noi siamo divenuti Cristo. Poiché se Egli è
il capo, noi siamo le membra: l'uomo totale, Lui e noi
La pienezza dunque
di Cristo: il capo e le membra. Cosa sono il capo e le membra? Cristo e la Chiesa".
Mistero è la Chiesa
38. Sappiamo bene che questo è mistero. È il mistero della Chiesa.
Che se noi in tale mistero, con l'aiuto di Dio, fisseremo lo sguardo dell'anima,
molti benefici spirituali conseguiremo, quelli appunto di cui noi crediamo abbia
ora maggior bisogno la Chiesa. La presenza di Cristo, la vita stessa anzi di
Lui si renderà operante nelle singole anime e nell'insieme del Corpo
mistico, mediante l'esercizio della fede viva e vivificante, secondo la menzionata
parola dell'Apostolo: "Cristo abiti per la fede nei vostri cuori".
È infatti la coscienza del mistero della Chiesa un fatto di fede matura
e vissuta. Essa produce nelle anime quel "senso della Chiesa", che
pervade il cristiano cresciuto alla scuola della divina parola, alimentato dalla
grazia dei sacramenti e dalle ineffabili ispirazioni del Paraclito, allenato
alla pratica delle virtù evangeliche, imbevuto della cultura e della
conversazione della comunità ecclesiastica, e profondamente lieto di
sentirsi rivestito di quel regale sacerdozio, ch'è proprio del popolo
di Dio.
39. Il mistero della Chiesa non è semplice oggetto di conoscenza teologica,
dev'essere un fatto vissuto, in cui ancora prima d'una sua chiara nozione l'anima
fedele può avere quasi connaturata esperienza; e la comunità dei
credenti può trovare l'intima certezza della sua partecipazione al Corpo
mistico di Cristo, quando si avveda che a iniziarla, a generarla, a istruirla,
a santificarla, a dirigerla provvede, per divina istituzione, il ministero della
Gerarchia ecclesiastica, così che mediante questo benedetto canale Cristo
effonde nelle sue mistiche membra le mirabili comunicazioni della sua verità
e della sua grazia, e conferisce al suo mistico Corpo, pellegrinante nel tempo,
la sua visibile compagine, la sua nobile unità, la sua organica funzionalità,
la sua armonica varietà, la sua spirituale bellezza. Le immagini non
bastano a tradurre in concetti a noi accessibili la realtà e la profondità
d'un tale mistero; ma di una specialmente, dopo quella ricordata del Corpo mistico
suggerita dall'apostolo Paolo, dovremmo avere memoria, perché suggerita
da Cristo stesso, quella dell'edificio di cui Egli è l'architetto e il
costruttore, fondato, si, su di un uomo naturalmente fragile, ma da Lui trasformato
miracolosamente in solida pietra, cioè dotato di prodigiosa e perenne
indefettibilità: "su questa pietra io edificherò la mia Chiesa".
Pedagogia del battezzato
40. Che se noi sapremo accendere in noi stessi e educare nei Fedeli, con alta
e vigilante pedagogia, questo corroborante senso della Chiesa, molte antinomie
che oggi affaticano il pensiero di studiosi di ecclesiologia: come, ad esempio,
la Chiesa sia visibile e spirituale insieme, come sia libera e insieme disciplinata,
come sia comunitaria e gerarchica, come già santa e sempre in via di
santificazione, come sia contemplativa e attiva, e così via, saranno
praticamente superate e risolte nell'esperienza, illuminata dalla dottrina,
della realtà vivente della Chiesa stessa; ma soprattutto un effetto sarà
assicurato ad essa, quello della sua ottima spiritualità, alimentata
mediante la pia lettura della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei Dottori
della Chiesa, e da quanto fa sgorgare in lei tale coscienza, vogliamo dire la
catechesi, esatta e sistematica, la partecipazione a quella mirabile scuola
di parole, di segni e divine effusioni ch'è la sacra liturgia, la meditazione
silenziosa e ardente delle divine verità, e finalmente la dedizione generosa
alla orazione contemplativa. La vita interiore si pone tuttora come la grande
sorgente della spiritualità della Chiesa, modo suo proprio di ricevere
le irradiazioni dello Spirito di Cristo, espressione radicale e insostituibile
della sua attività religiosa e sociale, inviolabile difesa e risorgente
energia nel suo difficile contatto col mondo profano.
41. Bisogna ridare al fatto d'aver ricevuto il santo battesimo, e cioè
di essere stati inseriti, mediante tale sacramento, nel Corpo mistico di Cristo
che è la Chiesa, tutta la sua importanza, specialmente nella cosciente
valutazione che il battezzato deve avere della sua elevazione, anzi della sua
rigenerazione alla felicissima realtà di figlio adottivo di Dio, alla
dignità di fratello di Cristo, alla fortuna, vogliamo dire alla grazia
e al gaudio della inabitazione dello Spirito Santo, alla vocazione d'una vita
nuova, che nulla ha perduto di umano, salvo la infelice sorte del peccato originale,
e che di quanto è umano è abilitata a dare le migliori espressioni
e a sperimentare i più ricchi e candidi frutti. L'essere cristiani, l'aver
ricevuto il santo battesimo, non dev'essere considerato come cosa indifferente
o trascurabile; ma deve marcare profondamente e felicemente la coscienza d'ogni
battezzato; deve essere davvero considerato da lui, come lo fu dai cristiani
antichi, una "illuminazione", che facendo cadere su di lui il faggio
vivificante della Verità divina, gli apre il cielo, gli rischiarala vita
terrena, lo abilita a camminare come figlio della luce verso la visione di Dio,
fonte d'eterna beatitudine.
42. E quale programma pratico questa considerazione ponga davanti a Noi e al
Nostro ministero è facile vedere. Noi godiamo osservando che tale programma
è già in via di esecuzione, presso tutta la Chiesa, e promosso
con zelo sapiente ed ardente. Noi lo incoraggiamo; Noi lo raccomandiamo; Noi
lo benediciamo.
II. Il rinnovamento
43. Poi, Noi siamo presi dal desiderio che la Chiesa di Dio sia quale Cristo
la vuole: una, santa, tutta rivolta verso la perfezione alla quale Egli l'ha
chiamata ed abilitata. Perfetta nella sua concezione ideale, nel pensiero divino,
la Chiesa deve tendere alla perfezione nella sua espressione reale, nella sua
esistenza terrestre. È questo il grande problema morale che sovrasta
alla vita della Chiesa, la misura, la stimola, la accusa, la sostiene, la riempie
di gemiti e di preghiere, di pentimenti e di speranze, di sforzo e di fiducia,
di responsabilità e di meriti. È un problema inerente alle realtà
teologiche da cui dipende la vita umana; non si può concepire il giudizio
su l'uomo stesso, sulla sua natura, sulla sua originaria perfezione e sulle
rovinose conseguenze del peccato originale, sulla capacità dell'uomo
al bene e sull'aiuto di cui ha bisogno per desiderarlo e per compierlo, sul
senso della vita presente e delle sue finalità, sui valori di cui l'uomo
ha desiderio o disponibilità, sul criterio di perfezione e di santità
e sui mezzi ed i modi per dare alla vita il suo grado più alto di bellezza
e di pienezza, senza riferirsi all'insegnamento dottrinale di Cristo e del conseguente
magistero ecclesiastico. L'ansia di conoscere le vie del Signore è e
dev'essere continua nella Chiesa, e la discussione, sempre tanto feconda e varia,
che sulle questioni relative alla perfezione si va alimentando, di secolo in
secolo, in seno alla Chiesa, noi vorremmo che riprendesse l'interesse sovrano
ch'Essa merita avere, e non tanto per elaborare nuove teorie, quanto per generare
nuove energie, rivolte appunto a quella santità che Cristo c'insegnò
e che, con il suo esempio, la sua parola, la sua grazia, la sua scuola, sorretta
dalla tradizione ecclesiastica, fortificata dalla sua azione comunitaria, illustrata
dalle singolari figure dei Santi, rende a noi possibile conoscere, desiderare
ed anche conseguire.
Perfettibilità dei cristiani
44. Questo studio di perfezionamento spirituale e morale è stimolato
anche esteriormente dalle condizioni in cui la Chiesa svolge la sua vita. Non
può essa rimanere immobile e indifferente davanti ai mutamenti del mondo
circostante. Per mille vie questo influisce e mette condizioni sul comportamento
pratico della Chiesa. Essa, come ognuno sa, non è separata dal mondo;
ma vive in esso. Perciò i membri della Chiesa ne subiscono l'influsso,
ne respirano la cultura, ne accettano le leggi, ne assorbono i costumi. Questo
immanente contatto della Chiesa con la società temporale genera per essa
una continua situazione problematica, oggi laboriosissima. Da un lato la vita
cristiana, quale la Chiesa difende e promuove, deve continuamente e strenuamente
guardarsi da quanto può illuderla, profanarla, soffocarla, quasi cercasse
di immunizzarsi dal contagio dell'errore e del male; dall'altro lato la vita
cristiana deve non solo adattarsi alle forme di pensiero e di costume, che l'ambiente
temporale le offre e le impone, quando siano compatibili con le esigenze essenziali
del suo programma religioso e morale, ma deve cercare di avvicinarle, di purificarle,
di nobilitarle, di vivificarle, di santificarle: altro compito questo che impone
alla Chiesa un perenne esame di vigilanza morale, che il nostro tempo reclama
con particolare urgenza e con singolare gravità.
45. Anche a questo riguardo la celebrazione del Concilio è provvidenziale.
Il carattere pastorale ch'esso si propone di assumere, gli scopi pratici di
"aggiornamento" della disciplina canonica, il desiderio di rendere
quanto più agevole sia possibile, in armonia col carattere soprannaturale
che le è proprio, la pratica della vita cristiana, conferiscono a questo
Concilio un merito particolare fin da questo momento, che ancora precede la
maggior parte delle deliberazioni, che da esso aspettiamo. Esso infatti risveglia,
sia nei Pastori, sia nei Fedeli, il desiderio di conservare e di accrescere
nella vita cristiana il suo carattere di soprannaturale autenticità,
e ricorda a tutti il dovere d'imprimere tale carattere positivamente e fortemente
nella propria condotta, educa i fiacchi ad essere buoni, i buoni ad essere migliori,
i migliori ad essere generosi, i generosi a farsi santi. Apre alla santità
nuove espressioni, sveglia l'amore a diventare geniale, provoca nuovi slanci
di virtù e di eroismo cristiano.
In quale senso intendere la riforma
46. Naturalmente spetterà al Concilio suggerire quali siano le riforme
da introdurre nella legislazione della Chiesa, e le Commissioni postconciliari,
quella specialmente istituita per la revisione del Codice di Diritto Canonico,
da Noi fin d'ora designata, procureranno di formulare in termini concreti le
deliberazioni del Sinodo ecumenico. A voi perciò, Venerabili Fratelli,
spetterà indicarci quali provvedimenti saranno da prendere per mondare
e ringiovanire il volto della santa Chiesa. Ma sia ancora una volta manifesto
il Nostro proposito di favorire tale riforma: quante volte nei secoli scorsi
questo proposito è associato alla storia dei Concili; ebbene lo sia una
volta di più, e questa volta non già per togliere dalla Chiesa
determinate eresie e generali disordini, che, per grazia di Dio, non sono nel
suo seno, ma per infondere nuovo spirituale vigore nel Corpo mistico di Cristo,
in quanto società visibile, purificandolo da difetti di molti suoi membri
e stimolandolo a nuove virtù.
47. Affinché ciò possa avvenire, mediante il divino aiuto, sia
a Noi consentito qui a voi presentare alcune previe considerazioni atte ad agevolare
l'opera del rinnovamento, a infonderle il coraggio di cui essa ha bisogno -
non senza qualche sacrificio infatti essa può compiersi - e a tracciarle
alcune linee, secondo le quali sembra possa meglio realizzarsi.
48. Dovremo innanzi tutto ricordare alcuni criteri che ci avvertono con quali
indirizzi questa riforma dev'essere promossa. Essa non può riguardare
né la concezione essenziale, né le strutture fondamentali della
Chiesa cattolica. La parola riforma sarebbe male usata se in tale senso fosse
da noi impiegata. Non possiamo accusare d'infedeltà questa nostra diletta
e santa Chiesa di Dio, alla quale reputiamo somma grazia appartenere e dalla
quale sentiamo salire al nostro spirito la testimonianza "che siamo figli
di Dio"! Oh, non è orgoglio, non è presunzione, non è
ostentazione, non è follia, ma luminosa certezza, ma gioiosa convinzione
la nostra, d'essere costituiti membra vive e genuine del Corpo di Cristo, d'essere
autentici eredi del Vangelo di Cristo, d'essere rettamente continuatori degli
Apostoli, d'avere in noi, nel grande patrimonio di verità e di costumi
che caratterizzano la Chiesa cattolica, quale oggi è, l'eredità
intatta e viva della tradizione originaria apostolica. Se questo forma il nostro
vanto, o meglio il motivo per cui dobbiamo "sempre rendere grazie a Dio",
costituisce altresì la nostra responsabilità davanti a Dio stesso,
al quale dobbiamo rendere conto di tanto beneficio; davanti alla Chiesa, a cui
dobbiamo infondere con la certezza il desiderio, il proposito di conservare
il tesoro - il Deposito di cui parla S. Paolo - e davanti ai Fratelli tuttora
da noi separati e al mondo intero, perché tutti abbiano a condividere
con noi il dono di Dio.
49. Cosi che, su questo punto, se si può parlare di riforma, non si deve
intendere cambiamento, ma piuttosto conferma nell'impegno di mantenere alla
Chiesa la fisionomia che Cristo le impresse, anzi di volerla sempre riportare
alla sua forma perfetta, rispondente da un lato al suo primigenio disegno, riconosciuta
dall'altro coerente ed approvata nel doveroso sviluppo che, come albero dal
seme, da quel disegno ha dato alla Chiesa la sua legittima forma storica e concreta.
Non ci illuda il criterio di ridurre l'edificio della Chiesa, diventato largo
e maestoso per la gloria di Dio, come un suo tempio magnifico, alle sue iniziali
e minime proporzioni, quasi che quelle siano solo le vere, solo le buone; né
c'incanti il desiderio di rinnovare la struttura della Chiesa per via carismatica,
quasi che nuova e vera fosse quell'espressione ecclesiastica che nascesse da
idee particolari, fervorose senza dubbio e talvolta persuase di godere di divina
ispirazione, introducendo così arbitrari sogni di artificiosi rinnovamenti
nel disegno costitutivo della Chiesa. La Chiesa quale è dobbiamo servire
ed amare, con senso intelligente della storia, e con umile ricerca della volontà
di Dio, che assiste e guida la Chiesa anche quando permette che la debolezza
umana ne offuschi alquanto la purezza di linee e la bellezza d'azione. Questa
purezza e questa bellezza noi andiamo cercando e vogliamo promuovere.
Danni e pericoli della concezione profana della vita
50. È necessario confermare in noi tali convinzioni per evitare un altro
pericolo, che il desiderio di riforma potrebbe generare non tanto in noi Pastori,
cui trattiene un vigile senso di responsabilità, quanto nell'opinione
di molti fedeli che pensano dover consistere principalmente la riforma della
Chiesa nell'adattamento dei suoi sentimenti e dei suoi costumi a quelli mondani.
Il fascino della vita profana oggi è potentissimo. Il conformismo sembra
a molti fatale e sapiente. Chi non è ben radicato nella fede e nella
pratica della legge ecclesiastica pensa facilmente essere venuto il momento
di adattarsi alla concezione profana della vita, come se questa fosse la migliore,
fosse quella che un cristiano può e deve far propria. Questo fenomeno
di adattamento si pronuncia tanto nel campo filosofico (quanto può la
moda anche nel regno del pensiero, che dovrebbe essere autonomo e libero, e
solo avido e docile davanti alla verità e all'autorità di provati
maestri!), quanto nel campo pratico, dove diventa sempre più incerto
e difficile segnare la linea della rettitudine morale e della retta condotta
pratica.
51. Il naturalismo minaccia di vanificare la concezione originale del cristianesimo;
il relativismo, che tutto giustifica e tutto qualifica di pari valore, attenta
al carattere assoluto dei principi cristiani; l'abitudine di togliere ogni sforzo,
ogni incomodo dalla pratica consueta della vita accusa d'inutilità fastidiosa
la disciplina e l'ascesi cristiana; anzi talvolta il desiderio apostolico d'avvicinare
ambienti profani o di farsi accogliere dagli animi moderni, da quelli giovanili
specialmente, si traduce in una rinuncia alle forme proprie della vita cristiana
e a quello stile stesso di contegno, che deve dare a tale premura di accostamento
e di influsso educativo il suo senso ed il suo vigore.
Non è forse vero che spesso il giovane Clero, ovvero anche qualche zelante
Religioso guidato dalla buona intenzione di penetrare nelle masse popolari o
in ceti particolari cerca di confondersi con essi invece di distinguersi, rinunciando
con inutile mimetismo all'efficacia genuina del suo apostolato? Il grande principio,
enunciato da Cristo, si ripresenta nella sua attualità e nella sua difficoltà:
essere nel mondo, ma non del mondo; e buon per noi se la sua altissima e opportunissima
preghiera sarà da Lui, sempre vivo per intercedere a nostro favore, ancora
oggi proferita davanti al Padre celeste: "Non chiedo che tu li tolga dal
mondo, ma che li custodisca dal Maligno".
Non immobilità, ma "aggiornamento"
52. Ciò non vuol dire che debba essere nostra intenzione credere che
la perfezione sia l'immobilità delle forme, di cui la Chiesa s'è,
lungo i secoli, rivestita; e neppure ch'essa consista nel rendersi refrattaria
agli avvicinamenti ed accostamenti alle forme oggi comuni e accettabili del
costume e dell'indole del nostro tempo. La parola, resa ormai famosa, del Nostro
venerato Predecessore Giovanni XXIII di felice memoria, la parola "aggiornamento"
sarà da Noi sempre tenuta presente come indirizzo programmatico; lo abbiamo
confermato quale criterio direttivo del Concilio Ecumenico, e lo verremo ricordando
quasi uno stimolo alla sempre rinascente vitalità della Chiesa, alla
sua sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi, e alla sua
sempre giovane agilità di "tutto provare e di far proprio ciò
ch'è buono", sempre e dappertutto.
Obbedienza, energie morali, sacrificio
53. Ma sia ancora una volta ripetuto a nostro comune ammonimento e profitto:
non tanto cambiando le sue leggi esteriori la Chiesa ritroverà la sua
rinascente giovinezza, quanto mettendo interiormente il suo spirito in attitudine
di obbedire a Cristo, e perciò di osservare quelle leggi che la Chiesa
nell'intento di seguire la via di Cristo prescrive a se stessa: qui sta il segreto
del suo rinnovamento, qui la sua "metanoia", qui il suo esercizio
di perfezione. Se l'osservanza della norma ecclesiastica potrà essere
resa più facile per la semplificazione di qualche precetto e per la fiducia
accordata alla libertà del cristiano d'oggi, reso più edotto dei
suoi doveri e più maturo e più saggio nella scelta dei modi con
cui adempierli, la norma tuttavia rimane nella sua essenziale esigenza: la vita
cristiana, quale la Chiesa viene interpretando e codificando in sapienti disposizioni,
esigerà sempre fedeltà, impegno, mortificazione e sacrificio;
sarà sempre segnata dalla"via stretta", di cui Nostro Signore
ci parla; domanderà a noi cristiani moderni non minori, anzi forse maggiori
energie morali che non ai cristiani di ieri, una prontezza all'obbedienza, oggi
non meno che in passato doverosa e forse più difficile, certo più
meritoria perché guidata più da motivi soprannaturali che naturali.
Non la conformità allo spirito del mondo, non l'immunità dalle
discipline d'una ragionevole ascetica, non l'indifferenza verso i liberi costumi
del nostro tempo, non l'emancipazione dall'autorità di prudenti e legittimi
superiori, non l'apatia verso le forme contraddittorie del pensiero moderno
possono dare vigore alla Chiesa, possono renderla idonea a ricevere l'influsso
dei doni dello Spirito Santo, possono darle l'autenticità della sua sequela
a Cristo Signore, possono conferirle l'ansia della carità verso i fratelli
e la capacità di comunicare il suo messaggio di salvezza, mala sua attitudine
a vivere secondo la grazia divina, la sua fedeltà al Vangelo del Signore,
la sua coesione gerarchica e comunitaria. Non molle e vile è il cristiano,
ma forte e fedele.
54. Oh! Noi sappiamo quanto il discorso diventerebbe lungo, se volessimo tracciare
anche solo nelle sue linee principali il programma moderno della vita cristiana;
né intendiamo ora addentrarci in tale impresa. Voi, del resto, sapete
quali siano i bisogni morali del nostro tempo, e voi non cesserete di richiamare
i fedeli alla comprensione della dignità, della purezza, dell'austerità
della vita cristiana, come non omettere di denunciare, come meglio è
possibile, anche pubblicamente, i pericoli morali ed i vizi di cui soffre l'età
nostra. Noi tutti ricordiamo le solenni esortazioni che la Sacra Scrittura grida
verso di noi: "Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza
e che non puoi sopportare i malvagi" , e tutti cercheremo d'essere Pastori
vigilanti ed operosi. Il Concilio Ecumenico deve dare a noi stessi nuovi e salutari
ordinamenti; e tutti certamente dobbiamo disporre fin d'ora i nostri animi ad
ascoltarli e ad eseguirli.
Lo spirito di povertà
55. Ma Noi non vogliamo rinunciare a due accenni particolari, che ci sembrano
riguardare bisogni e doveri principali, e che possono offrire tema di riflessione
per gli orientamenti generali del buon rinnovamento della vita ecclesiastica.
56. Accenniamo dapprima allo spirito di povertà. Pensiamo che esso sia
così insito nel disegno della nostra destinazione al regno di Dio, che
sia messo così in pericolo dalla valutazione dei beni nella mentalità
moderna, che sia così necessario per farci comprendere tante nostre debolezze
e rovine nel tempo passato e per farci altresì comprendere quale debba
essere il nostro tenore di vita e quale il metodo migliore per annunciare alle
anime la religione di Cristo, e che sia infine così difficile praticarlo
a dovere, che osiamo farne menzione esplicita in questo Nostro messaggio, non
già perché Noi abbiamo in mente di emanare speciali provvedimenti
canonici a questo riguardo, quanto piuttosto per chiedere a voi, Venerabili
Fratelli, il conforto del vostro consenso, del vostro consiglio e del vostro
esempio. Noi attendiamo che voi, quale voce autorevole che interpreta gli impulsi
migliori, onde palpita lo Spirito di Cristo nella santa Chiesa, diciate come
debbano Pastori e fedeli alla povertà educare oggi il linguaggio e la
condotta: "abbiate in voi lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù",
ci ammonisce l'Apostolo; e come insieme dobbiamo proporre alla vita ecclesiastica
quei criteri direttivi che devono fondare la nostra fiducia più sull'aiuto
di Dio e sui beni dello spirito, che non sui mezzi temporali; che devono a noi
stessi ricordare, e al mondo insegnare, il primato di tali beni su quelli economici,
e che di questi tanto dobbiamo limitare e subordinare il possesso e l'uso quanto
è utile al conveniente esercizio della nostra missione apostolica.
57. La brevità di questo accenno alla eccellenza e all'obbligo dello
spirito di povertà, che caratterizza il Vangelo di Cristo, non ci esonera
dal ricordare che tale spirito non ci preclude la comprensione e l'impiego,
a noi consentito, del fatto economico, reso gigantesco e fondamentale nello
sviluppo della moderna civiltà, specialmente in ogni suo riflesso umano
e sociale. Pensiamo anzi che l'interiore liberazione, prodotta dallo spirito
della povertà evangelica, ci renda più sensibili e più
idonei a comprendere i fenomeni umani collegati con i fattori economici, sia
nel dare alla ricchezza e al progresso di cui può essere generatrice
il giusto e spesso severo apprezzamento che le si addice, sia nel dare alla
indigenza l'interessamento più sollecito e generoso, sia infine nel desiderare
che i beni economici non siano fonte di lotte, di egoismi, di orgoglio fra gli
uomini, ma siano rivolti, per via di giustizia e di equità, al bene comune,
e perciò sempre più provvidamente distribuiti. Tutto quanto si
riferisce a questi beni economici, inferiori a quelli spirituali ed eterni,
ma necessari alla vita presente, trova l'alunno del Vangelo capace di valutazione
sapiente e di cooperazione umanissima: la scienza, la tecnica e specialmente
il lavoro umano si fanno per noi oggetto di vivissimo interesse; e il pane che
ne risulta diventa sacro per la mensa e per l'altare. Gli insegnamenti sociali
della Chiesa non lasciano dubbio su questo tema; e Ci piace avere questa occasione
per riaffermare in proposito la Nostra coerente adesione a tali salutari dottrine.
L'ora della carità
58. L'altro accenno che vogliamo fare è allo spirito di carità.
Ma non è già questo tema presentissimo ai vostri animi? Non segna
forse la carità il punto focale dell'economia religiosa dell'Antico e
del Nuovo Testamento? Non sono alla carità rivolti i passi dell'esperienza
spirituale della Chiesa? Non è forse la carità la scoperta sempre
più luminosa e più gaudiosa che la teologia da un lato, la pietà
dall'altro vanno facendo nella incessante meditazione dei tesori scritturali
e sacramentali, di cui la Chiesa è l'erede, la custode, la maestra e
la dispensatrice? Noi pensiamo, con i Nostri Predecessori, con la corona di
Santi che l'età nostra ha dato alla Chiesa celeste e terrestre, e con
l'istinto devoto del popolo fedele, che la carità debba oggi assumere
il posto che le compete, il primo, il sommo, nella scala dei valori religiosi
e morali, non solo nella teorica estimazione, ma altresì nella pratica
attuazione della vita cristiana. Ciò sia detto della carità verso
Dio, che la sua Carità riversò sopra di noi, come della carità
che di riflesso noi dobbiamo effondere verso il nostro prossimo, vale a dire
il genere umano. La carità tutto spiega. La carità tutto ispira.
La carità tutto rende possibile. La carità tutto rinnova. La carità
"tollera tutto, crede tutto, spera tutto, tutto sopporta". Chi di
noi ignora queste cose? E se le sappiamo, non è forse questa l'ora della
carità?
Culto a Maria
59. Questo ideale di umile e profonda pienezza cristiana richiama il nostro
pensiero a Maria Santissima, come Colei che perfettamente e meravigliosamente
in sé lo riflette, anzi l'ha in terra vissuto ed ora in Cielo ne gode
il fulgore e la beatitudine. È felicemente in fiore il culto alla Madonna
oggi nella Chiesa; e Noi in questa occasione volentieri vi rivolgiamo lo spirito
per ammirare nella Vergine Santissima, Madre di Cristo, e perciò Madre
di Dio e Madre nostra, il modello della perfezione cristiana, lo specchio delle
virtù sincere, la meraviglia della vera umanità. Pensiamo che
il culto a Maria sia fonte di insegnamenti evangelici: nel Nostro pellegrinaggio
in Terra Santa, da Lei, la beatissima, la dolcissima, l'umilissima, l'immacolata
creatura, a cui toccò il privilegio di offrire al Verbo di Dio la carne
umana nella sua primigenia e innocente bellezza, abbiamo voluto assumere l'insegnamento
dell'autenticità cristiana, e a Lei ancora rivolgiamo lo sguardo implorante,
come ad amorosa maestra di vita, mentre ragioniamo con voi, Venerabili Fratelli,
della rigenerazione spirituale e morale della vita della Santa Chiesa.
III. Il dialogo
60. Vi è un terzo atteggiamento che la Chiesa cattolica deve assumere
in quest'ora della storia del mondo, ed è quello caratterizzato dallo
studio dei contatti ch'essa deve tenere con l'umanità. Se la Chiesa acquista
sempre più chiara coscienza si sé, e se essa cerca di modellare
se stessa secondo il tipo che Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue
profondamente dall'ambiente umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina.
Il Vangelo ci fa avvenire tale distinzione quando ci parla del "mondo",
dell'umanità cioè avversa al lume della fede e al dono della grazia;
dell'umanità, che si esalta in un ingenuo ottimismo credendo bastino
a se stessa le proprie forze per dare di sé espressione piena, stabile
e benefica; ovvero dell'umanità, che si deprime in un crudo pessimismo
dichiarando fatali, inguaribili e fors'anche appetibili come manifestazioni
di libertà e di autenticità i propri vizi, le proprie debolezze,
le proprie morali infermità.
61. Il Vangelo, che conosce e denuncia e compatisce e guarisce le umane miserie
con penetrante e talora straziante sincerità, non cede tuttavia né
all'illusione della bontà naturale dell'uomo quasi a sé sufficiente
e di null'altro bisognoso che d'essere lasciato libero di effondersi arbitrariamente,
né alla disperata rassegnazione alla corruzione insanabile dell'umana
natura. Il Vangelo è luce, è novità, è energia,
è rinascita, è salvezza. Perciò genera e distingue una
forma di vita nuova, della quale il Nuovo Testamento ci dà continua e
mirabile lezione: "Non vogliate conformarvi a questo mondo; trasformatevi
e rinnovatevi invece nella mente per saper discernere qual è la volontà
di Dio: quello che è buono, che piace a Lui ed è perfetto",
ci ammonisce S. Paolo.
62. Questa diversità della vita cristiana dalla vita profana deriva ancora
dalla realtà e dalla conseguente coscienza della giustificazione prodotta
in noi dalla nostra comunicazione col mistero pasquale, con il santo battesimo
innanzi tutto, come sopra dicevamo, che è e dev'essere considerato una
vera rigenerazione. Ancora S. Paolo ce lo ricorda: "
tutti noi che
fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo, infatti, col battesimo, sepolti
con lui nella morte, affinché, come Cristo fu risuscitato da morte dalla
potenza gloriosa del Padre, così noi pure vivessimo di una vita nuova".
Vivere nel mondo ma non del mondo
63. Sarà opportunissima cosa che anche il cristiano d'oggi abbia sempre
presente questa sua originale e mirabile forma di vita, che lo sostenga nel
gaudio della sua dignità e che lo immunizzi dal contagio dell'umana miseria
circostante, o dalla seduzione dell'umano splendore parimente circostante.
64. Ecco come S. Paolo medesimo educava i cristiani della prima generazione:
"Non unitevi a un giogo sconveniente cogli infedeli; poiché che
cosa ha a che fare la giustizia coll'iniquità? e che comunanza v'è
tra la luce e le tenebre?
che rapporto tra il fedele e l'infedele?"
La pedagogia cristiana dovrà ricordare sempre all'alunno dei tempi nostri
questa sua privilegiata condizione e questo suo conseguente dovere di vivere
nel mondo ma non del mondo, secondo il voto stesso sopra ricordato di Gesù
a riguardo dei suoi discepoli: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma
che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come Io non sono del
mondo". E la Chiesa fa proprio tale voto.
65. Ma questa distinzione non è separazione. Anzi non è indifferenza,
non è timore, non è disprezzo. Quando la Chiesa si distingue dall'umanità
non si oppone ad essa, anzi si congiunge. Come il medico, che, conoscendo le
insidie d'una pestilenza, cerca di guardare sé e gli altri da tale infezione,
ma nello stesso tempo si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti,
così la Chiesa non fa della misericordia a lei concessa dalla bontà
divina un esclusivo privilegio, non fa della propria fortuna una ragione per
disinteressarsi di chi non l'ha conseguita; sì bene della sua salvezza
fa argomento d'interesse e di amore per chiunque le sia vicino e per chiunque,
nel suo sforzo comunicativo universale, le sia possibile avvicinare.
Missione da compiere, annuncio da diffondere
66. Se davvero la Chiesa, come dicevamo, ha coscienza di ciò che il Signore
vuole ch'ella sia, sorge in lei una singolare pienezza e un bisogno di effusione,
con la chiara avvertenza d'una missione che la trascende, d'un annuncio da diffondere.
È l'ufficio apostolico. Non è sufficiente un atteggiamento di
fedele conservazione. Certo, il tesoro di verità e di grazia, a noi venuto
in eredità dalla tradizione cristiana, dovremo custodirlo, anzi dovremo
difenderlo. "Custodisci il Deposito", ammonisce S. Paolo. Ma né
la custodia, né la difesa esauriscono il dovere della Chiesa rispetto
ai doni che essa possiede. Il dovere congeniale al patrimonio ricevuto da Cristo
è la diffusione, è l'offerta, è l'annuncio, ben lo sappiamo:
"Andate, dunque, istruite tutte le genti", è l'estremo mandato
di Cristo ai suoi Apostoli. Questi nel nome stesso di Apostoli definiscono la
propria indeclinabile missione. Noi daremo a questo interiore impulso di carità,
il nome, oggi diventato comune, di dialogo.
Il dialogo
67. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa
si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio.
68. Questo capitale aspetto della vita odierna della Chiesa sarà oggetto
di speciale ed ampio studio da parte del Concilio Ecumenico, come è noto;
e Noi non vogliamo entrare nell'esame concreto dei temi che tale studio si propone
per lasciare ai Padri del Concilio il compito di trattarli liberamente. Noi
vogliamo soltanto invitarvi, Venerabili Fratelli, a premettere a tale studio
alcune considerazioni, affinché ci siano più chiari i motivi che
spingono la Chiesa al dialogo, più chiari i metodi da seguire, più
chiari i fini da conseguire. Vogliamo disporre gli animi, non trattare le cose.
69. Né possiamo fare altrimenti, nella convinzione che il dialogo debba
caratterizzare il Nostro ufficio apostolico, eredi come siamo d'un tale stile,
d'un tale indirizzo pastorale che Ci è tramandato dai Nostri Predecessori
dell'ultimo secolo, a partire dal grande e sapiente Leone XIII, il quale, quasi
impersonando la figura evangelica dello scriba sapiente "
che come
un padre di famiglia cava dal suo tesoro cose antiche e cose nuove", riprendeva
maestosamente l'esercizio del magistero cattolico facendo oggetto del suo ricchissimo
insegnamento i problemi del nostro tempo considerati alla luce della parola
di Cristo. Così i suoi successori, come sapete.
70. Non ci lasciarono i Nostri Predecessori, specialmente i Papi Pio XI e Pio
XII, un patrimonio magnifico e amplissimo di dottrina, concepita nell'amoroso
e sapiente tentativo di congiungere il pensiero divino al pensiero umano, non
astrattamente considerato, ma concretamente espresso nel linguaggio dell'uomo
moderno? E che cos'è questo apostolico tentativo se non un dialogo? E
non diede Giovanni XXIII, Nostro immediato Predecessore di venerata memoria,
un'accentuazione anche più marcata al suo insegnamento nel senso di accostarlo
quanto più possibile all'esperienza e alla comprensione del mondo contemporaneo?
Al Concilio stesso non s'è voluto dare, e giustamente, uno scopo pastorale,
tutto rivolto all'inserimento del messaggio cristiano nella circolazione di
pensiero, di parola, di cultura, di costume, di tendenza dell'umanità,
quale oggi vive e si agita sulla faccia della terra? Ancor prima di convertirlo,
anzi per convertirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli.
71. Per quanto riguarda l'umile Nostra persona, sebbene alieni di parlarne e
desiderosi di non attirare su di essa l'altrui attenzione, non possiamo, in
questa Nostra intenzionale presentazione al collegio episcopale e al popolo
cristiano, tacere il Nostro proposito di perseverare, per quanto le Nostre deboli
forze ce lo concederanno e, soprattutto, la divina grazia Ci darà modo
di farlo, nella medesima linea, nel medesimo sforzo di avvicinare il mondo,
nel quale la Provvidenza Ci ha destinati a vivere, con ogni riverenza, con ogni
premura, con ogni amore, per comprenderlo, per offrirgli i doni di verità
e di grazia di cui Cristo Ci ha resi depositari, per comunicargli la nostra
meravigliosa sorte di redenzione e di speranza. Sono profondamente scolpite
nel Nostro spirito le parole di Cristo, di cui umilmente, ma tenacemente, Ci
vorremmo appropriare: "Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare
il mondo, ma affinché sia salvato per mezzo di Lui".
La religione dialogo fra Dio e l'uomo
72. Ecco, Venerabili Fratelli, l'origine trascendente del dialogo. Essa si trova
nell'intenzione stessa di Dio. La religione è di natura sua un rapporto
tra Dio e l'uomo. La preghiera esprime a dialogo tale rapporto. La rivelazione,
cioè la relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso l'iniziativa
di instaurare con l'umanità, può essere raffigurata in un dialogo,
nel quale il Verbo di Dio si esprime nell'Incarnazione e quindi nel Vangelo.
Il colloquio paterno e santo, interrotto tra Dio e l'uomo a causa del peccato
originale, è meravigliosamente ripreso nel corso della storia. La storia
della salvezza narra appunto questo lungo e vario dialogo che parte da Dio,
e intesse con l'uomo varia e mirabile conversazione. È in questa conversazione
di Cristo fra gli uomini che Dio lascia capire qualche cosa di Sé, il
mistero della sua vita, unicissima nell'essenza, trinitaria nelle Persone; e
dice finalmente come vuol essere conosciuto; Amore Egli è; e come vuole
da noi essere onorato e servito: amore è il nostro comandamento supremo.
Il dialogo si fa pieno e confidente; il fanciullo vi è invitato, il mistico
vi si esaurisce.
Superiori caratteristiche del colloquio della salvezza
73. Bisogna che noi abbiamo sempre presente questo ineffabile e realissimo rapporto
dialogico, offerto e stabilito con noi da Dio Padre, mediante Cristo, nello
Spirito Santo, per comprendere quale rapporto noi, cioè la Chiesa, dobbiamo
cercare d'instaurare e di promuovere con l'umanità.
74. Il dialogo della salvezza fu aperto spontaneamente dalla iniziativa divina:
"Egli (Dio) per primo ci ha amati": toccherà a noi prendere
l'iniziativa per estendere agli uomini il dialogo stesso, senza attendere d'essere
chiamati.
75. Il dialogo della salvezza partì dalla carità, dalla bontà
divina: "Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Figliuolo unigenito";
non altro che amore fervente e disinteressato dovrà muovere il nostro.
76. Il dialogo della salvezza non si commisurò ai meriti di coloro a
cui era rivolto, e nemmeno ai risultati che avrebbe conseguito o che sarebbero
mancati: "non hanno bisogno del medico i sani": anche il nostro dev'essere
senza limiti e senza calcoli.
77. Il dialogo della salvezza non obbligò fisicamente alcuno ad accoglierlo;
fu una formidabile domanda d'amore, la quale, se costituì una tremenda
responsabilità in coloro a cui fu rivolta, li lasciò tuttavia
liberi di corrispondervi o di rifiutarla, adattando perfino la quantità
dei segni alle esigenze e alle disposizioni spirituali dei suoi uditori e la
forza probativa dei segni medesimi, affinché fosse agli uditori stessi
facilitato il libero consenso alla divina rivelazione, senza tuttavia perdere
il merito di tale consenso. Così la nostra missione, anche se è
annuncio di verità indiscutibile e di salute necessaria, non si presenterà
armata di esteriore coercizione, ma solo per le vie legittime dell'umana educazione,
dell'interiore persuasione, della comune conversazione offrirà il suo
dono di salvezza, sempre nel rispetto della libertà personale e civile.
78. Il dialogo della salvezza fu reso possibile a tutti; a tutti senza discriminazione
alcuna destinato; il nostro parimente dev'essere potenzialmente universale,
cattolico cioè e capace di annodarsi con ognuno, salvo che l'uomo assolutamente
non lo respinga o insinceramente finga di accoglierlo.
79. Il dialogo della salvezza ha conosciuto normalmente delle gradualità,
degli svolgimenti successivi, degli umili inizi prima del pieno successo; anche
il nostro avrà riguardo alle lentezze della maturazione psicologica e
storica e all'attesa dell'ora in cui Dio lo renda efficace. Non per questo il
nostro dialogo rimanderà al domani ciò che oggi può compiere;
esso deve avere l'ansia dell'ora opportuna e il senso della preziosità
del tempo. Oggi, cioè ogni giorno, deve ricominciare; e da noi prima
che da coloro a cui è rivolto.
Il messaggio cristiano nella circolazione dell'umano discorso
80. Com'è chiaro, i rapporti fra la Chiesa ed il mondo possono assumere
molti aspetti e diversi fra loro. Teoricamente parlando, la Chiesa potrebbe
prefiggersi di ridurre al minimo tali rapporti, cercando di sequestrare se stessa
dal commercio della società profana; come potrebbe proporsi di rilevare
i mali che in essa possono riscontrarsi, anatematizzandoli e movendo crociate
contro di essi; potrebbe invece tanto avvicinarsi alla società profana
da cercare di prendervi influsso preponderante o anche di esercitarvi un dominio
teocratico; e così via. Sembra a Noi invece che il rapporto della Chiesa
col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi
in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all'indole dell'interlocutore
e delle circostanze di fatto (altro è infatti il dialogo con un fanciullo,
ed altro con un adulto; altro con un credente, ed altro con un non credente).
Ciò è suggerito: dall'abitudine ormai diffusa di così concepire
le relazioni fra il sacro e il profano, dal dinamismo trasformatore della società
moderna, dal pluralismo delle sue manifestazioni, non che dalla maturità
dell'uomo, sia religioso che non religioso, fatto abile dall'educazione civile
a pensare, a parlare, a trattare con dignità di dialogo.
81. Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di
simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica,
la polemica offensiva ed abituale, la vanità di inutile conversazione.
Se certo non mira ad ottenere immediatamente la conversione dell'interlocutore,
perché rispetta la sua dignità e la sua libertà, mira tuttavia
al di lui vantaggio, e vorrebbe disporlo a più piena comunione di sentimenti
e di convinzioni.
82. Suppone pertanto il dialogo uno stato d'animo in noi, che intendiamo introdurlo
e alimentarlo con quanti ci circondano: lo stato d'animo di chi sente dentro
di sé il peso del mandato apostolico, di chi avverte di non poter più
separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui, di chi si studia
continuamente di mettere il messaggio, di cui è depositario, nella circolazione
dell'umano discorso.
Chiarezza mutezza fiducia prudenza
83. Il colloquio è perciò un modo d'esercitare la missione apostolica;
è un'arte di spirituale comunicazione. Suoi caratteri sono i seguenti.
La chiarezza innanzi tutto; il dialogo suppone ed esige comprensibilità,
è un travaso di pensiero, è un invito all'esercizio delle superiori
facoltà dell'uomo; basterebbe questo suo titolo per classificarlo fra
i fenomeni migliori dell'attività e della cultura umana; e basta questa
sua iniziale esigenza per sollecitare la nostra premura apostolica a rivedere
ogni forma del nostro linguaggio: se comprensibile, se popolare, se eletto.
Altro carattere è poi la mitezza, quella che Cristo ci propose d'imparare
da Lui stesso: "Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore";
il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo.
La sua autorità è intrinseca per la verità che espone,
per la carità che diffonde, per l'esempio che propone; non è comando,
non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è
paziente; è generoso. La fiducia, tanto nella virtù della parola
propria, quanto nell'attitudine ad accoglierla da parte dell'interlocutore:
promuove la confidenza e l'amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione
ad un Bene, che esclude ogni scopo egoistico.
84. La prudenza pedagogica infine, la quale fa grande conto delle condizioni
psicologiche e morali di chi ascolta; se bambino, se incolto, se impreparato,
se diffidente, se ostile; e si studia di conoscere la sensibilità di
lui, e di modificare, ragionevolmente, se stesso e le forme della propria presentazione
per non essergli ingrato e incomprensibile.
85. Nel dialogo, così condotto, si realizza l'unione della verità
e della carità; dell'intelligenza e dell'amore.
Dialettica di autentica sapienza
86. Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della
fede, e come sia possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti,
possono diventare complementari, spingendo il nostro ragionamento fuori dei
sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le sue ricerche, a rinnovare
le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza
ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui,
ci obbligherà ad esprimere con grande lealtà il nostro insegnamento
e ci darà merito per la fatica d'averlo esposto all'altrui obiezione,
all'altrui lenta assimilazione. Ci farà sapienti, ci farà maestri.
87. E quale è la sua forma di esplicazione?
88. Oh! molteplici sono le forme del dialogo della salvezza. Esso obbedisce
a esigenze sperimentali, sceglie i mezzi propizi, non si lega a vani apriorismi,
non si fissa in espressioni immobili, quando queste avessero perduto virtù
di parlare e di muovere gli uomini.
89. Qui si pone una grande questione, quella dell'aderenza della missione della
Chiesa alla vita degli uomini in un dato tempo, in un dato luogo, in una data
cultura, in una data situazione sociale.
Come avvicinare i fratelli nella interezza della verità
90. Fino a quale grado la Chiesa deve uniformarsi alle circostanze storiche
e locali in cui svolge la sua missione? come deve premunirsi dal pericolo d'un
relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale? ma come insieme
farsi idonea a tutti avvicinare per tutti salvare, secondo l'esempio dell'Apostolo:
"mi son fatto tutto a tutti, perché tutti io salvi"? Non si
salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto
uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si
vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza
di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune,
purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se
si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancora prima di parlare, ascoltare
la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo
e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell'atto
stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo
è l'amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremmo ricordare e studiarci
di praticare secondo l'esempio e il precetto che Cristo ci lasciò.
91. Ma il pericolo rimane. L'arte dell'apostolato è rischiosa. La sollecitudine
di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione
della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto
all'impegno verso la nostra fede. L'apostolato non può transigere con
un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono
qualificare la nostra professione cristiana. L'irenismo e il sincretismo sono
in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola
di Dio, che vogliamo predicare.
92. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere
efficacemente apostolo. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può
essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto.
Supremazia insostituibile della predicazione
93. Noi pensiamo che la voce del Concilio, trattando delle questioni relative
alla Chiesa operante nel mondo moderno, indicherà alcuni criteri teorici
e pratici, che serviranno da guida per bene condurre il nostro dialogo con gli
uomini del tempo nostro. E pensiamo parimente che, trattandosi di questione
riguardante, da un lato, la missione propriamente apostolica della Chiesa, e
concernente, dall'altro, le varie e mutevoli circostanze in cui essa si svolge,
sarà opera del saggio e attivo governo della Chiesa stessa tracciare
di volta in volta limiti e forme e sentieri per la continua animazione d'un
dialogo vivo e benefico.
94. Lasciamo perciò questo tema per limitarci a ricordare ancora una
volta la somma importanza che la predicazione cristiana conserva, ed assume
oggi maggiormente, nel quadro dell'apostolato cattolico, e cioè, per
quanto ora ci riguarda, del dialogo. Nessuna forma di diffusione del pensiero,
anche se tecnicamente assurta, con la stampa e con i mezzi audiovisivi, a straordinaria
potenza, la sostituisce. Apostolato e predicazione, in un certo senso, si equivalgono.
La predicazione è il primo apostolato. Il nostro, Venerabili Fratelli,
è innanzi tutto ministero della Parola. Noi sappiamo benissimo queste
cose; ma ci sembra convenga ora ricordarle a noi stessi, per dare alla nostra
azione pastorale la giusta direzione. Dobbiamo ritornare allo studio non già
dell'umana eloquenza, o della vana retorica, ma della genuina arte della parola
sacra.
95. Dobbiamo cercare le leggi della sua semplicità, della sua limpidezza,
della sua forza e della sua autorità per vincere la naturale imperizia
nell'impiego di così alto e misterioso strumento spirituale, qual è
la parola, e per gareggiare nobilmente con quanti oggi hanno larghissimo influsso
con la parola mediante l'accesso alle tribune della pubblica opinione. Dobbiamo
domandarne al Signore stesso il grave e inebriante carisma, per essere degni
di dare alla fede il suo pratico efficace principio, e di far giungere il nostro
messaggio fino ai confini della terra. Che le prescrizioni della Costituzione
conciliare "de Sacra Liturgia" sul ministero della parola trovino
in noi zelanti ed abili esecutori. E che la catechesi al popolo cristiano e
a quanti altri sia possibile offrirla diventi sempre esperta nel linguaggio,
sapiente nel metodo, assidua nell'esercizio, suffragata dalla testimonianza
di virtù reali, avida di progredire e di far giungere gli uditori alla
sicurezza della fede, all'intuizione della coincidenza fra la Parola divina
e la vita, e agli albori del Dio Vivente.
96. Noi dovremmo infine accennare a coloro a cui si rivolge il nostro dialogo.
Ma non vogliamo prevenire, anche sotto questo aspetto, la voce del Concilio.
Essa si farà udire, a Dio piacendo, tra poco.
97. Parlando in generale circa questo atteggiamento di collocutrice, che la
Chiesa cattolica oggi deve assumere con rinnovato fervore, vogliamo semplicemente
accennare che essa dev'essere pronta a sostenere il dialogo con tutti gli uomini
di buona volontà, dentro e fuori l'ambito suo proprio.
Con chi il dialogo
98. Nessuno è estraneo al suo cuore. Nessuno è indifferente per
il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo.
Non indarno si dice cattolica; non indarno è incaricata di promuovere
nel mondo l'unità, l'amore, la pace.
99. La Chiesa non ignora le formidabili dimensioni d'una tale missione; conosce
le sproporzioni delle statistiche fra ciò che essa è e ciò
ch'è la popolazione della terra; conosce i limiti delle sue forze; conosce
perfino le proprie umane debolezze, i propri falli; conosce anche che l'accoglimento
del Vangelo non dipende, alla fine, da alcuno suo sforzo apostolico, da alcuna
favorevole circostanza d'ordine temporale: la fede è dono di Dio; e Dio
solo segna nel mondo le linee e le ore della sua salute. Ma la Chiesa sa d'essere
seme, d'essere fermento, d'essere sale e luce del mondo. La Chiesa avverte la
sbalorditiva novità del tempo moderno; ma con candida fiducia si affaccia
sulle vie della storia, e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate,
ciò di cui voi mancate. Non promette così la felicità terrena,
ma offre qualche cosa la sua luce, la sua grazia per poterla, come meglio possibile,
conseguire; e poi parla agli uomini del loro trascendente destino. E intanto
ragiona ad essi di verità, di giustizia, di pace, di civiltà.
Sono parole queste, di cui la Chiesa conosce il segreto; Cristo glielo ha confidato.
E allora la Chiesa ha un messaggio per ogni categoria di uomini: lo ha per i
bambini, lo ha per la gioventù, lo ha per gli uomini di scienza e di
pensiero, lo ha per il mondo del lavoro e per le classi sociali, lo ha per gli
artisti, lo ha per i politici e per i governanti. Per i poveri specialmente,
per i diseredati, per i sofferenti, perfino per i morenti. Per tutti.
100. Potrà sembrare che così parlando Noi ci lasciamo trasportare
dall'ebbrezza della nostra missione e che trascuriamo di considerare le posizioni
concrete, in cui l'umanità si trova rispetto alla Chiesa cattolica. Ma
non è così, perché Noi vediamo benissimo quali siano tali
posizioni concrete; e per darne un'idea sommaria Ci pare di poterle classificare
a guisa di cerchi concentrici intorno al centro, in cui la mano di Dio Ci ha
posti.
Primo cerchio: tutto ciò ch'è umano
101. Vi è un primo, immenso cerchio, di cui non riusciamo a vedere i
confini; essi si confondono con l'orizzonte; cioè riguardano l'umanità
in quanto tale, il mondo. Noi misuriamo la distanza che da noi lo tiene lontano;
ma non lo sentiamo estraneo. Tutto ciò ch'è umano ci riguarda.
Noi abbiamo in comune con tutta l'umanità la natura, cioè la vita,
con tutti i suoi doni, con tutti i suoi problemi. Siamo pronti a condividere
questa prima universalità; ad accogliere le istanze profonde dei suoi
fondamentali bisogni, ad applaudire alle affermazioni nuove e talora sublimi
del suo genio. E abbiamo verità morali, vitali, da mettere in evidenza
e da corroborare nella coscienza umana, per tutti benefiche. Dovunque è
l'uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare
con lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti
e i doveri dell'uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci
fra loro. Se esiste nell'uomo un'anima naturalmente cristiana, noi vogliamo
onorarla della nostra stima e del nostro colloquio.
102. Noi potremmo ricordare a noi stessi e a tutti come il nostro atteggiamento
sia, da un lato, totalmente disinteressato: non abbiamo alcuna mira politica
o temporale; dall'altro, sia rivolto ad assumere, cioè ad elevare a livello
soprannaturale e cristiano, ogni onesto valore umano e terreno; non siamo la
civiltà, ma fautori di essa.
La negazione di Dio: ostacolo al dialogo
103. Noi sappiamo però che in questo cerchio sconfinato sono molti, moltissimi
purtroppo, che non professano alcuna religione; sappiamo anzi che molti, in
diversissime forme, si professano atei. E sappiamo che vi sono alcuni che della
loro empietà fanno professione aperta e la sostengono come programma
di educazione umana e di condotta politica, nella ingenua ma fatale persuasione
di liberare l'uomo da concezioni vecchie e false della vita e del mondo, per
sostituirvi, dicono, una concezione scientifica e conforme alle esigenze del
moderno progresso.
104. È questo il fenomeno più grave del nostro tempo. Siamo fermamente
convinti che la teoria su cui si fonda la negazione di Dio è fondamentalmente
errata, non risponde alle istanze ultime e inderogabili del pensiero, priva
l'ordine razionale del mondo delle sue basi autentiche e feconde, introduce
nella vita umana non una formula risolutrice, ma un dogma cieco che la degrada
e la rattrista, indebolisce alla radice ogni sistema sociale che su di esso
pretende fondarsi. Non è una liberazione, ma un dramma che tenta di spegnere
la luce del Dio vivente. Perciò noi resisteremo con tutte le nostre forze
a questa irrompente negazione, nell'interesse supremo della verità, per
l'impegno sacrosanto alla confessione fedelissima di Cristo e del suo Vangelo,
per l'amore appassionato e irrinunciabile alle sorti dell'umanità, e
nella speranza invincibile che l'uomo moderno sappia ancora scoprire nella concezione
religiosa, a lui offerta dal cattolicesimo, la sua vocazione alla civiltà
che non muore, ma che sempre progredisce verso la perfezione naturale e soprannaturale
dello spirito umano, abilitato, per grazia di Dio, al pacifico e onesto possesso
dei beni temporali e aperto alla speranza dei beni eterni.
105. Son queste le ragioni che ci obbligano, come hanno obbligato i Nostri Predecessori
e con essi quanti hanno a cuore i valori religiosi, a condannare i sistemi ideologici
negatori di Dio e oppressori della Chiesa, sistemi spesso identificati in regimi
economici, sociali e politici, e tra questi specialmente il comunismo ateo.
Si potrebbe dire che non tanto da parte nostra viene la loro condanna, quanto
da parte dei sistemi stessi e dei regimi che li personificano viene a noi radicale
opposizione di idee e oppressione di fatti. La nostra deplorazione è,
in realtà, lamento di vittime ancor più che sentenza di giudici.
Anche nel silenzio un vigile amore
106. L'ipotesi d'un dialogo si fa assai difficile in tali condizioni, per non
dire impossibile, sebbene nel Nostro animo non vi sia ancor oggi alcuna preconcetta
esclusione verso le persone che professano i suddetti sistemi e aderiscono ai
regimi stessi. Per chi ama la verità, la discussione è sempre
possibile. Ma ostacoli di indole morale accrescono enormemente le difficoltà,
per la mancanza di sufficiente libertà di giudizio e di azione e per
l'abuso dialettico della parola, non già rivolta alla ricerca e all'espressione
della verità obiettiva, ma posta al servizio di scopi utilitari prestabiliti.
107. È per questo che il dialogo tace. La Chiesa del silenzio, ad esempio,
tace, parlando solo con la sua sofferenza, e le fa compagnia quella d'una società
compressa e avvilita, dove i diritti dello spirito sono soverchiati da quelli
di chi dispone delle sue sorti. E quando il nostro discorso si aprisse in tale
stato di cose, come potrebbe offrire il dialogo, mentre non dovrebbe essere
che quello d'una voce che grida nel deserto? Silenzio, grido, pazienza, e sempre
amore diventano in tal caso la testimonianza che ancora la Chiesa può
dare e che nemmeno la morte può soffocare.
108. Ma se ferma e franca dev'essere l'affermazione e la difesa della religione
e dei valori umani ch'essa proclama e sostiene, non è senza pastorale
riflessione che noi cerchiamo di cogliere nell'intimo spirito dell'ateo moderno
i motivi del suo turbamento e della sua negazione. Li vediamo complessi e molteplici,
così da renderci cauti nel giudicarli e più efficaci nel confutarli;
li vediamo nascere talora dall'esigenza d'una presentazione del mondo divino
più alta e più pura, che non quella forse invalsa in cene forme
imperfette di linguaggio e di culto, forme che dovremmo studiarci di rendere
quanto più possibile pure e trasparenti per meglio esprimere quel sacro
di cui sono segno. Li vediamo invasi dall'ansia, pervasa da passionalità
e da utopia, ma spesso altresì generosa, d'un sogno di giustizia e di
progresso, verso finalità sociali divinizzate, surrogati dell'Assoluto
e del Necessario, che denunciano il bisogno insopprimibile del Principio e del
Fine divino, di cui toccherà al nostro paziente e sapiente magistero
svelare la trascendenza e l'immanenza. Li vediamo valersi, talora con ingenuo
entusiasmo, d'un ricorso rigoroso alla razionalità umana nell'intento
di dare una concezione scientifica dell'universo; ricorso tanto meno discutibile,
quanto più profondo sulle vie logiche del pensiero non dissimili spesso
da quelle della nostra classica scuola, e trascinato, contro la volontà
di quelli stessi che pensano trovarvi un'arma inespugnabile per il loro ateismo,
per la sua intrinseca validità, trascinato diciamo a procedere verso
una nuova e finale affermazione sia metafisica, che logica del sommo Iddio:
non sarà tra noi chi possa aiutare questo obbligato processo del pensiero,
che l'ateo-politico-scienziato arresta volutamente ad un dato punto spegnendo
la luce suprema della comprensibilità dell'universo, a sfociare in quella
concezione della realtà oggettiva dell'universo cosmico, che rimette
nello spirito il senso della Presenza divina, e sulle labbra le umili e balbettanti
sillabe d'una felice preghiera? Li vediamo anche talvolta mossi da nobili sentimenti,
sdegnosi della mediocrità e dell'egoismo di tanti ambienti sociali contemporanei,
e abili ad usurpare al nostro Vangelo forme e linguaggio di solidarietà
e di comprensione umana: non saremo un giorno capaci di ricondurre alle sorgenti,
che pur sono cristiane, tali espressioni di valori morali?
109. Ricordando perciò quanto scrisse il Nostro Predecessore, di venerata
memoria, Papa Giovanni XXIII, nell'Enciclica Pacem in terris, e cioè
le dottrine di tali movimenti, una volta elaborate e definite, rimangono sempre
le stesse, ma che i movimenti stessi non possono non evolversi e non andare
soggetti a mutamenti anche profondi, Noi non disperiamo che essi possano aprire
un giorno con la Chiesa altro positivo colloquio, che non quello presente della
Nostra deplorazione e del Nostro obbligato lamento.
Il dialogo per la pace
110. Ma non possiamo staccare il Nostro sguardo dal panorama del mondo contemporaneo
senza esprimere un voto lusinghiero: quello che il Nostro proposito di coltivare
e perfezionare il Nostro dialogo con le varie e mutevoli facce, ch'esso presenta
di sé, possa giovare alla causa della pace fra gli uomini; come metodo,
che cerca di regolare i rapporti umani nella nobile luce del linguaggio ragionevole
e sincero; e come contributo, di esperienza e di sapienza, che può in
tutti ravvivare la considerazione dei valori supremi. L'apertura d'un dialogo,
come vuol essere il Nostro, disinteressato, obiettivo, leale, decide per se
stessa in favore d'una pace libera ed onesta; esclude infingimenti, rivalità,
inganni e tradimenti; non può non denunciare, come delitto e come rovina,
la guerra di aggressione, di conquista o di predominio; e non può non
estendersi dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle nel corpo delle
nazioni stesse e alle basi sia sociali, che familiari e individuali, per diffondere
in ogni istituzione ed in ogni spirito il senso, il gusto, il dovere della pace.
Secondo cerchio: i credenti in Dio
111. Poi intorno a noi vediamo delinearsi un altro cerchio, immenso anche questo,
ma da noi meno lontano: è quello degli uomini innanzi tutto che adorano
il Dio unico e sommo, quale anche noi adoriamo; alludiamo ai figli, degni del
nostro affettuoso rispetto, del popolo ebraico, fedeli alla religione che noi
diciamo dell'Antico Testamento; e poi agli adoratori di Dio secondo la concezione
della religione monoteistica, di quella musulmana specialmente, meritevoli di
ammirazione per quanto nel loro culto di Dio vi è di vero e di buono;
e poi ancora i seguaci delle grandi religioni afro-asiatiche. Noi non possiamo
evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo
rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero, e quasi
che autorizzassero i loro fedeli a non cercare se Dio stesso abbia rivelato
la forma, scevra d'ogni errore, perfetta e definitiva con cui Egli vuole essere
conosciuto, amato e servito; ché anzi, per dovere di lealtà, noi
dobbiamo manifestare la nostra persuasione essere unica la vera religione ed
essere quella cristiana, e nutrire speranza che tale sia riconosciuta da tutti
i cercatori e adoratori di Dio.
112. Ma non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori
spirituali e morali delle varie confessioni religiose non cristiane; vogliamo
con esse promuovere e difendere gli ideali, che possono essere comuni nel campo
della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura,
della beneficenza sociale e dell'ordine civile. In ordine a questi comuni ideali
un dialogo da parte nostra è possibile; e noi non mancheremo di offrirlo
là dove, in reciproco e leale rispetto, sarà benevolmente accettato.
Terzo cerchio: i Cristiani Fratelli separati
113. Ed ecco il cerchio, a Noi più vicino, del mondo che a Cristo s'intitola.
In questo campo il dialogo, che ha assuntola qualifica di ecumenico, è
già aperto; in alcuni settori è già in fase di iniziale
e positivo svolgimento. Molto vi sarebbe da dire su questo tema tanto complesso
e tanto delicato, ma il Nostro discorso non finisce qui. Esso si limita ora
a pochi accenni, e non nuovi. Volentieri facciamo nostro il principio: mettiamo
in evidenza anzitutto ciò che ci è comune, prima di notare ciò
che ci divide. È questo un tema buono e fecondo per il nostro dialogo.
Siamo disposti a proseguirlo cordialmente. Diremo di più: che su tanti
punti differenziali, relativi alla tradizione, alla spiritualità, alle
leggi canoniche, al culto, Noi siamo disposti a studiare come assecondare i
legittimi desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati. Nulla tanto
ci può essere più ambito che di abbracciarli in una perfetta unione
di fede e di carità. Ma dobbiamo pur dire che non è in Nostro
potere transigere sull'integrità della fede e sulle esigenze della carità.
Intravediamo diffidenze e resistenze a questo riguardo. Ma ora che la Chiesa
cattolica ha preso l'iniziativa di ricomporre l'unico ovile di Cristo, essa
non cesserà di procedere con ogni pazienza e con ogni riguardo; non cesserà
di mostrare come le prerogative, che tengono ancora da lei lontani i Fratelli
separati, non sono frutto d'ambizione storica o di fantastica speculazione teologica,
ma sono derivate dalla volontà di Cristo, e che esse, comprese nel loro
vero significato, sono a beneficio di tutti, per l'unità comune, per
la libertà comune, per la pienezza cristiana comune; la Chiesa cattolica
non cesserà di rendersi idonea e degna, nella preghiera e nella penitenza,
dell'auspicata riconciliazione.
114. Un pensiero, a questo riguardo, Ci affligge, ed è quello che fa
vedere come proprio Noi, fautori di tale riconciliazione, siamo, da molti Fratelli
separati, considerati l'ostacolo ad essa, a causa del primato d'onore e di giurisdizione,
che Cristo ha conferito all'apostolo Pietro, e che Noi abbiamo da lui ereditato.
Non si dice da alcuni che, se fosse rimosso il primato del Papa, l'unificazione
delle Chiese separate con la Chiesa cattolica sarebbe più facile? Vogliamo
supplicare i Fratelli separati a considerare la inconsistenza di tale ipotesi;
e non già soltanto perché senza il Papa, la Chiesa cattolica non
sarebbe più tale; ma perché, mancando nella Chiesa di Cristo l'ufficio
pastorale sommo, efficace e decisivo di Pietro, la unità si sfascerebbe;
e indarno poi si cercherebbe di ricomporla con criteri sostitutivi di quello
autentico, stabilito da Cristo stesso: "vi sarebbero nella Chiesa tanti
scismi quanti sono i sacerdoti", scrive giustamente S. Girolamo. E vogliamo
altresì considerare che questo cardine centrale della santa Chiesa non
vuole costituire supremazia di spirituale orgoglio e di umano dominio, ma primato
di servizio, di ministero, di amore. Non è vana retorica quella che al
Vicario di Cristo attribuisce il titolo: "il servo dei servi di Dio".
115. Su questo piano veglia il Nostro dialogo, che ancora prima di svolgersi
in fraterne conversazioni si esprime a colloquio col Padre celeste in effusione
di preghiera e di speranza.
Auspici e speranze
116. Dobbiamo con gaudio e con fiducia notare, Venerabili Fratelli, che questo
vario ed estesissimo settore dei Cristiani separati è tutto pervaso da
fermenti spirituali, che sembrano preludere a futuri consolanti sviluppi per
la causa della loro ricomposizione nell'unica Chiesa di Cristo. Vogliamo implorare
il soffio dello Spirito Santo sul "movimento ecumenico"; vogliamo
ripetere la Nostra commozione ed il Nostro gaudio per l'incontro pieno di carità
e non meno di nuova speranza, che abbiamo avuto a Gerusalemme con il Patriarca
Atenagora; vogliamo salutare con rispetto e riconoscenza l'intervento di tanti
Rappresentanti delle Chiese separate al Concilio Ecumenico Vaticano II; vogliamo
assicurare ancora una volta che guardiamo con attento e sacro interesse i fenomeni
spirituali, caratterizzati dal problema dell'unità, che muovono persone
e gruppi e comunità di viva e nobile religiosità. Con amore, con
riverenza salutiamo tutti questi Cristiani, nell'attesa che ancora meglio nel
dialogo della sincerità e dell'amore Ci sia dato promuovere con loro
la causa di Cristo e dell'unità da Lui voluta per la sua Chiesa.
Il dialogo nell'interno della Chiesa cattolica
117. E finalmente il Nostro dialogo si offre ai Figli della Casa di Dio, la
Chiesa una santa cattolica e apostolica, di cui questa romana è "mater
et caput". Quanto lo vorremmo godere questo domestico dialogo! quanto lo
vorremmo intenso e familiare! quanto sensibile a tutte le verità, a tutte
le virtù, a tutte le realtà del nostro patrimonio dottrinale e
spirituale! quanto sincero e commosso nella sua genuina spiritualità!
quanto pronto a raccogliere le voci molteplici del mondo contemporaneo! quanto
capace di rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi,
uomini sereni e forti!
Carità e obbedienza
118. Questo desiderio d'improntare i rapporti interiori della Chiesa dello spirito
proprio d'un dialogo fra membri d'una comunità, di cui la carità
è principio costitutivo, non toglie l'esercizio della virtù dell'obbedienza
là dove l'esercizio della funzione propria dell'autorità da un
lato, della sottomissione dall'altro è reclamato sia dall'ordine conveniente
ad ogni ben compaginata società, sia soprattutto dalla costituzione gerarchica
della Chiesa. L'autorità della Chiesa è istituita da Cristo, è
anzi rappresentativa di Lui, è veicolo autorizzato della sua parola,
è trasposizione della sua pastorale carità; così che l'obbedienza
muove da motivo di fede, diventa scuola di umiltà evangelica, associa
l'obbediente alla sapienza, all'unità, all'edificazione, alla carità
che reggono il corpo ecclesiastico, e conferisce a chi la impone e a chi si
uniforma il merito dell'imitazione di Cristo "fattosi obbediente sino alla
morte".
119. Per obbedienza perciò svolta a dialogo intendiamo l'esercizio dell'autorità
tutto pervaso dalla coscienza di essere servizio e ministero di verità
e di carità; e intendiamo l'osservanza delle norme canoniche e l'ossequio
al governo del legittimo superiore, resi pronti e sereni, come si conviene a
figli liberi ed amorosi. Lo spirito d'indipendenza, di critica, di ribellione
male si accorda con la carità animatrice della solidarietà, della
concordia, della pace nella Chiesa, e trasforma facilmente il dialogo in discussione,
in diverbio, in dissidio; spiacevolissimo fenomeno, anche se purtroppo sempre
facile a prodursi, contro il quale la voce dell'Apostolo Paolo ci premunisce:
"non vi siano tra voi degli scismi".
Fervore di sentimenti e di opere
120. Siamo cioè ardentemente desiderosi che il dialogo interiore in seno
alla comunità ecclesiastica si arricchisca di fervore, di temi, e di
locutori, così che si accresca la vitalità e la santificazione
del Corpo mistico terreno di Cristo. Tutto ciò che mette in circolazione
gli insegnamenti, di cui la Chiesa è depositaria e dispensatrice, è
da Noi auspicato: già dicemmo della vita liturgica e interiore e della
predicazione, possiamo aggiungere: la scuola, la stampa, l'apostolato sociale,
le missioni, l'esercizio della carità; temi questi che anche il Concilio
ci farà considerare. E tutti quelli che al dialogo vitalizzante della
Chiesa sotto la guida della competente autorità partecipano siano da
Noi incoraggiati e benedetti: i Sacerdoti in modo speciale, i Religiosi, i carissimi
Laici militanti per Cristo nell'Azione Cattolica e in tante altre forme d'associazione
e di azione.
Oggi più che mai la Chiesa è viva!
121. Noi siamo lieti e confortati osservando che un tale dialogo all'interno
della Chiesa, e per l'esterno che la circonda, è già in atto:
la Chiesa è viva oggi più che mai! Ma a ben considerare sembra
che tutto ancora resti da fare; il lavoro comincia oggi e non finisce mai. È
questa la legge del nostro pellegrinaggio sulla terra e nel tempo. È
questo l'officio consueto, Venerabili Fratelli, nel nostro ministero, cui oggi
tutto stimola a farsi nuovo, vigile, intenso.
122. Quanto a Noi, mentre di ciò vi diamo avvertimento, ci piace confidare
nella vostra collaborazione, mentre vi offriamo la Nostra: questa comunione
di intenti e di opere Noi chiediamo ed esibiamo appena saliti, col nome e, Dio
voglia, con qualche cosa dello spirito dell'Apostolo delle genti, sulla cattedra
dell'Apostolo Pietro.
123. E celebrando così l'unità di Cristo fra noi, vi mandiamo
con questa Nostra Lettera iniziale, in nomine Domini, la Nostra fraterna e paterna
Benedizione Apostolica, che volentieri estendiamo a tutta la Chiesa e all'intera
umanità.
Dato a Roma, presso San Pietro, nella Solennità della Trasfigurazione
di Nostro Signore Gesù Cristo, il 6 agosto 1964, anno secondo del Nostro
Pontificato.
Paulus PP. VI
ECCLESIAM SUAM
Prologo 1
La dottrina del Vangelo e la grande famiglia umana 1
Triplice impegno della Chiesa 2
Assiduo e illimitato zelo per la pace 4
I. La coscienza 4
La vigilanza dei fedeli seguaci del Signore 5
"Credo Domine!" 6
Vivere la propria vocazione 6
La coscienza nella mentalità moderna 7
Dal Concilio di Trento alle Encicliche dei tempi nostri 7
La scienza sul Corpo mistico 8
La vite e i tralci 9
Mistero è la Chiesa 10
Pedagogia del battezzato 11
II. Il rinnovamento 12
Perfettibilità dei cristiani 13
In quale senso intendere la riforma 13
Danni e pericoli della concezione profana della vita 15
Non immobilità, ma "aggiornamento" 16
Obbedienza, energie morali, sacrificio 16
Lo spirito di povertà 17
L'ora della carità 18
Culto a Maria 18
III. Il dialogo 19
Vivere nel mondo ma non del mondo 20
Missione da compiere, annuncio da diffondere 20
Il dialogo 21
La religione dialogo fra Dio e l'uomo 22
Superiori caratteristiche del colloquio della salvezza 22
Il messaggio cristiano nella circolazione dell'umano discorso 23
Chiarezza mutezza fiducia prudenza 24
Dialettica di autentica sapienza 24
Come avvicinare i fratelli nella interezza della verità 25
Supremazia insostituibile della predicazione 25
Con chi il dialogo 26
Primo cerchio: tutto ciò ch'è umano 27
La negazione di Dio: ostacolo al dialogo 28
Anche nel silenzio un vigile amore 28
Il dialogo per la pace 30
Secondo cerchio: i credenti in Dio 30
Terzo cerchio: i Cristiani Fratelli separati 31
Auspici e speranze 32
Il dialogo nell'interno della Chiesa cattolica 32
Carità e obbedienza 32
Fervore di sentimenti e di opere 33
Oggi più che mai la Chiesa è viva! 33
Note 35
Note
Ritorna ad Encicliche