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Dal dolore all’amore.
La vita è amore: questa è la mia testimonianza.
Ho battuto con gioia e determinazione le strade della mia esistenza, alla ricerca della felicità, attraverso l’amore di Cristo per me, e la Sua Parola che ha da sempre illuminato i miei passi.
Ho creduto, perseverato ed un giorno incontrai l’amore che genera amore, quello verso mio marito, che è stato fonte di vita per i miei figli. Da quel giorno la nostra famiglia è stata unita da un unico sentire, le nostre menti, le nostre necessità accomunate da un unico bene comune: l’amore reciproco.
Abbiamo insieme gioito delle piccole cose della vita, convinti che "l’essenziale è invisibile agli occhi", che la verità e la bellezza del mondo sono lontane dai giudizi avventati e dalle preoccupazioni del successo e del denaro. Le nostre giornate trascorrevano tra parole e sguardi, come a volerli conservare nei nostri giorni: questo era il mio motivo di ringraziare il Signore per la ricchezza della mia esistenza. La mia famiglia erano il mio mare, le mie stelle, i miei sorrisi, i miei arcobaleni, la mia VITA!
Lo scorso anno mia figlia si sposò e toccai il Paradiso, un mese e mezzo dopo ero in ginocchio davanti alla mia croce: una madre che accarezzava suo figlio di 23 anni, riverso su una strada sotto una macchina, che provava a stringergli la mano ma senza alcuna risposta.
Impietrita da quell’immenso dolore, urlai, poi il mio amore mi portò ad invocare la nostra grande Madre, affinché potesse continuare il mio compito, sostenendo mio figlio in un viaggio così difficile da intraprendere. Ero priva di energia vitale, incapace di abbracciare, stringere una mano, di donare un sorriso: le stanze del mio cuore non reggevano e pensavo come potesse il Sole portare tanta notte. Mi teneva viva solo l’amore per mia figlia, mio marito e mio genero , il quale ancora soffriva per la perdita di sua sorella diciannovenne avvenuta venti mesi prima, a causa di un incidente stradale: stessa strada.
Assurdo avere e sentire mio figlio esclusivamente nel mio cuore, attraverso il mio amore, nella mia mente, attraverso la memoria della sua vita.
Intorno a me c’era tanta comprensione, ma a volte percepivo la "PIETAS" della gente, se non l’indifferenza o meglio, il prendere le distanze dalla sofferenza e, comunque, comprendevo. Dentro di me non avvertivo il dolore come una "sfortuna", anzi in alcuni momenti mi elevava al Signore e soprattutto mi avvicinava a Sua Madre. Tutto questo, associato all’idea che io fossi l’essere dei miei figli, la risposta ai loro problemi, alla necessità di far continuare a vivere mio figlio e a prendermi cura della sua anima, mi hanno indotto a di re "SI’" al mio viaggio in Africa. Ritenevo che nella sofferenza e nei bisogni degli altri, avrei trovato la risposta al mio dolore; negli sguardi dei tanti bambini e giovani, gli occhi di mio figlio; nei lunghi respiri della terra, nei colori, nella natura primitiva, nella sua umanità, avrei ritrovato la forza esplosiva di Dio. Sì, proprio quell’amore che adesso teneva insieme mio figlio e Cristo e che sentivo implodere dentro di me. Quell’amore che era stato fonte della mia felicità.
E così è stato!
All’arrivo in Malawi mi ha accolto una natura incredibile: orizzonti disegnati da baubab, sterpi, alberi immensi, da cui provenivano cinguettii e suoni che come musica si espandevano intorno a me. Di tramonti rosso arancio e rosa lilla che coloravano le acque del lago, le nuvole rade e i rilievi che di tanto in tanto si intravedevano.
L’incontro con la gente di questo luogo, fece salire in me lo stupore di constatare che finalmente i diversi eravamo noi bianchi, noi le persone da accogliere.
I Malawaiani hanno profuso dentro di me gioia e stupore infinito: già, il mio primo ritorno alla vita. Era festa intorno a me; i più adulti elargivano saluti di benvenuto, sempre, mentre i bambini mi affiancavano stringendomi le mani, sforzandosi di comunicare. Ho ritrovato così la bellezza di un abbraccio, di una stretta di mano, di sorrisi offerti per la novità che rappresentavamo nei loro giorni sempre uguali, di sussurri bisbigliati alle mie orecchie, accompagnati da un inchino, per ringraziarmi del poco messo nelle loro mani.
Grande è l’amore di Dio!
Un amore che ti segna una volta conosciutolo e ti accompagna passo dopo passo, perché ormai è dentro di te e ti fa sentire unico. E lo leggi nei canti, nei suoni, nelle danze di un popolo che celebra il Signore nonostante la loro vita fatta di stenti e fatica, di un’aurora e di un tramonto che li vede assorti nella ricerca del loro pane quotidiano, per la sopravvivenza della famiglia. I loro figli ancora piccoli, già appartengono alla vita, ne sono travolti. Indossano vesti consunte e luride, non hanno scarpe e chiedono "suiti", per qualche momento di dolcezza nelle loro giornate. Ma la loro povertà materiale è portata con dignità, accettata consapevolmente e condivisa perché consci del loro bisogno reciproco nelle tribù; inoltre, non è, come da noi, fattore discriminante. Hanno tradizioni e cultura propria ben radicata sul territorio e questa è una grande ricchezza che i missionari rispettano. Alcuni bambini già sopportano la fatica, insieme alle loro madri: donne possenti al centro dell’universo familiare.
Grande è l’amore di Dio!
E lo scopri nel calore che sono capaci di dare o forse nella gioia che si prova nel donare, ma soprattutto nella sofferenza e nella sopportazione di essa; nell’esistenza di nonni costretti a crescere i propri nipoti, i cui genitori sono morti di AIDS o le cui madri sono morte di parto; di numerosi figli che vivono solo con un genitore, perché l’altro è venuto a mancare. Il 60% della popolazione è di età inferiore ai 18 anni: questo è un dramma per loro che devono subire questa realtà, ma soprattutto per noi, che pur avendo i mezzi economici e di conoscenza per cambiare le loro sorti, non lo facciamo. Eppure, sono pronti a regalarti sorrisi, a stringerti le mani, ad accoglierti nelle loro case e offrirti il poco che posseggono.
L’esperienza fatta nelle carceri mi ha sconvolta a tal punto da fare dono delle mie lacrime a Cristo per i carcerati: assurda, disumana e inaccettabile la loro condizione. Per la gran parte di essi era evidente l’espiazione, oltre che fisica, anche morale del peccato; è bastato ricordare che anche la loro esistenza è importante agli occhi del Signore, alla pari di una qualsiasi persona sulla terra, per farli cantare e pregare con noi all’unisono. "Beati gli afflitti perché saranno consolati ……….Beati gli ultimi perché di essi è il regno dei cieli". E’ stato forse mio figlio privato dei beni di questa terra? Delle meraviglie create dal Signore per noi? Dei suoi affetti terreni e delle sue splendide amicizie? No! Mio figlio ha condiviso con tutti coloro che lo hanno avuto a fianco e con la sua famiglia, 23 anni di amore, perché ha saputo donare se stesso con gioia ed ora, sono sicura, vive nella beatitudine; come dice Sant’Agostino: "alla fine sarà senza fine". A quei carcerati, invece, così come ai bambini incontrati nell’orfanotrofio, manca sin d’ora sulla terra, l’amore di una moglie o di un marito, dei propri genitori, ma al cospetto del Signore avranno gioia eterna.
A proposito dell’orfanotrofio visitato, devo ammettere che la struttura era rispondente ai bisogni materiali dei bambini che ospitava, ma i miei occhi di madre guardavano il loro cuore e piangevo. I figli vanno allattati e nutriti dall’amore delle proprie mamme e da esse cullati come il moto del mare calmo, cantando loro nenie suadenti, baciati sulla fronte e attraverso i loro sguardi sfiorare i pensieri dei loro piccoli e comprenderne le necessità.
Altra simile esperienza l’ho fatta incontrando il bambino da me adottato: un volto spento, senza sorriso. Strano, avrei voluto fargli subito dono del mio amore, ma egli non rispondeva alle mie effusioni, ai miei doni. Mi sono sentita mortificata, poi ho pensato che sarebbe stato più sensato accantonare la soddisfazione del mio corpo e della mia anima, mettendomi al servizio dei bisogni affettivi e corporali della creatura affidatami: era orfano e tanto doveva bastarmi per comprendere i suoi problemi. Ci sarà tempo ed io farò strumento dell’amore verso mio figlio e dell’aiuto del Signore, per ridare sorriso a un volto senza più luce. D’altronde questa è la bellezza spirituale dei tanti padri monfortani e dei religiosi che ho incontrato sulla mia strada: grande è la loro generosità. Essi hanno rinunciato alle famiglie, al loro mondo, al loro "io", ai loro affetti. Hanno annullato la parte materiale del corpo e nutrito la loro anima dello Spirito e della parola di Cristo, riconoscendo il Suo volto nel prossimo, in questa nuova umanità.
Grandi opere ha compiuto il Signore!
Così il mio amore è tornato ad esplodere: ho ritrovato il calore negli abbracci di mio marito e della gente. La mia mente, la mia anima, il mio dolore, il mio amore hanno riconosciuto, grazie al discernimento spirituale, che è l’umanità intera a vivere la povertà, sia essa spirituale o materiale e che della vita è bello coglierne il senso, attraverso la mediazione della Parola di Cristo, attraverso il filtro del nostro cuore e della nostra coscienza.
Vorrei fare mie le parole di un ragazzo oggi undicenne, malato di tumore dall’età di 3 anni: "La nostra vita è un passaggio che ci condurrà a Dio, sono felice quando gioco a pallone, il mio dolore fa parte della vita. W la vita!". Mattia. Questo messaggio lo ha scritto a 8 anni.
Nell’Apocalisse vi è la risposta al nostro grido di dolore del perché della sofferenza, perché il Signore permette tutto questo dolore e non pone fine all’ingiustizia ed al peccato: <<Ecco il tabernacolo di Dio fra gli uomini! Egli abiterà con loro: essi saranno il suo popolo e Dio stesso dimorerà con gli uomini. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più morte, né lutto, né grido, né pena esisterà più, perché il primo mondo è sparito>> ….. "Non vi sarà più notte; non hanno più bisogno né della luce di una lampada, né di quella del sole, perché il Signore Iddio splenderà su di loro e regneranno nei secoli dei secoli." Ed ora questa è la vita di mio figlio!
Ringrazio i sacerdoti che mi hanno accompagnato in questa esperienza di vita e cammino di fede:
Padre Eugenio, sacerdote confortano missionario nella Rep. Democratica del Congo, per la sua forza spirituale , il suo essere sapiente in Cristo;
Padre Giovanni, sacerdote monfortano in Santeramo , col suo carisma di persona umile, semplice e dolce, ma allo stesso tempo determinato e trascinatore;
Padre Domenico, sacerdote monfortano missionario in Zambia, persona sensibilissima, "bravissima", direbbe padre Eugenio, umilissima, con cui ho trascorso poco tempo, anche lui con un grande carisma.
Il mio secondo "SI’" a Maria è avvenuto attraverso padre Eugenio: io e mio marito abbiamo dato la nostra adesione alla costruzione di una grotta, come luogo di preghiera per la Madonna, in memoria di mio figlio Luigi, nella Rep. Democratica del Congo.
Concetta Di Pace